Ora non si direbbe visto quello che gioco abitualmente, ma da bimbo, quando ancora stavo cercando di capire il mondo dei videogiochi, imparando passo passo a comunicare col gameplay, avevo paura dell’azione diretta.
Shooter, hack ‘n slash, per non parlare di horror e simili (quelli ancora adesso eh) mi mettevano ansia, non mi sentivo all’altezza, non ero abbastanza reattivo, forse non ero ancora pronto ad affrontare quei titoli che giocava mio fratello; roba da grandi oh, chi c’ha voglia di crescere? Ogni volta che ci provavo e fallivo, un po’ demoralizzato, avevo però un posto dove tornare, una comfort zone videoludica che non mi ha mai abbandonato fino all’adolescenza: i JRPG.
Da Final Fantasy VIII in avanti fu solo amore, come quello tra Squall e Rinoa
Poco importava se talvolta l’inglese fosse un ostacolo insormontabile, ci capivamo a gesti. Gli sfondi pre-renderizzati talmente dettagliati da sembrare in 4K, per un paio d’occhi estasiati come i miei, quelle armi leggendarie, i personaggi sempre over the top, tormentati, bizzarri, malvagi. Un amore che supera la crisi del settimo anno in scioltezza, con PS2 mattatrice del genere e Game Boy Advance a tirare fuori roba di una bellezza senza senso come i due Golden Sun e il primo Mario & Luigi Superstar Saga, tra i miei preferiti in assoluto.
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