Ave Backlog, mio salvatore

Viviamo tempi interessanti, tempi in cui – forse – perfino quel simpatico disgraziato del maggo Scuotivento avrebbe poco di cui lamentarsi. Naturalmente mi riferisco al nostro bistrattato orticello videoludico, il discorso non è da estendersi al complicato mondo che fa da sfondo alle nostre postazioni da gaming. In virtù di ciò che purtroppo sta accadendo attualmente alle sale LAN italiane, con la speranza che la situazione possa essere regolamentata e regolarizzata quanto prima (vi sono vicino, ragazzi del MOBA di Milano, per non parlare degli amici di Frogbyte), ora come ora immagino sia difficile non solo darmi ragione ma anche soltanto resistere all’impulso di suonarmi come una zampogna, però datemi il tempo di spiegare cosa intendo mentre, quatto quatto, cerco un modo per fuggire in una galassia lontana lontana.

Backlog editoriale

Pensateci un attimo, posate i tirapugni e le cattive intenzioni. A differenza di molti anni fa, quando i CD delle riviste come la nostra stoica TGM erano lo zenit della gioia e i negozi come la mitica Newell di via Mac Mahon i luoghi sacri ove i miracoli accadevano veramente, oggi chi ama i videogiochi ha pressoché infinite possibilità per nutrire la propria passione.

TRA FALSI MITI E INSOSPETTABILI EROI

Mi sono svegliato particolarmente blasfemo e ho voglia di un simulatore di Gesù? No problem. Mi va il soulslike open world supremo? È già in offerta. Sono in cerca di una svolta professionale e voglio capire se posso trovarla nel business della marijuana? Il gestionale illegale è servito. Sento il bisogno fisico di tornare indietro nel tempo? Si può fare, un pelo di retro gaming tira più delle categorie Vintage e Classic sui siti per adulti messe assieme. Non intendo comprare i giochi ma voglio comunque godermene uno? Perfetto, se non mi ispirano i tanti free to play veri o finti in circolazione posso sempre scegliere fra gli abbonamenti mensili che strabordano di videogiochi oppure approfittare di chi regala fior fior di opere talvolta anche d’autore. A questo punto probabilmente sarebbe da citare la pirateria per completare il quadro, ma non sarebbe corretto per ovvi motivi e perché si sa, il pirata di videogiochi è il secondo mestiere più antico del mondo, mica sono tutti figli dell’oggi.

Che alienante abbondanza di alternative, nevvero? Cotanto ben di Dio naturalmente ha una conseguenza, un rovescio della medaglia che per taluni assomiglia più a un manrovescio: l’inarrestabile e incontrollabile aumento del backlog. Percepito da qualcuno come una sorta di maledizione primigenia contro cui è inutile combattere finché non inventeranno le giornate da 48 ore, tacciato d’essere un ingombrante impedimento al godimento della vita sociale (domanda: “Esci?” e risposta: “Verrei volentieri ma non posso, il backlog non vuole”) e perciò demonizzato da altri, il tanto temuto backlog è un’inevitabile catastrofe la cui fine non è visibile a occhio nudo. Ma siamo sicuri che sia effettivamente così?

NON TUTTO IL BACKLOG VIEN PER NUOCERE

Come ci insegna Capitan Jack Sparrow (no, non mi riferisco alla recente lezione sul non sposarsi), spesso “il problema non è il problema: il problema è il tuo atteggiamento rispetto al problema”. La dotta citazione mi è d’aiuto nello spiegare per quale motivo la moltiplicazione impazzita dei giochi in lista d’attesa non va considerata come una maledizione, bensì come un’autentica benedizione. Viviamo in tempi davvero interessanti, ma interessanti non significa perfetti. Vuoi per la complicata situazione mondiale, vuoi perché in nome del profitto e di vincoli milionari la macchina del business ha la precedenza su tutto il resto, con il passare degli anni la leggenda del dayone ha perso gran parte del suo fascino passando da momento memorabile a memorabile inc…avolatura.

In verità anche assai prima della comparsa del Covid 19 abbiamo avuto a che fare con una sfilza di titoli in condizioni non esattamente invidiabili, mi viene in mente The Witcher 3 o l’intero catalogo Bethesda ma sarebbe ingiusto menzionare solamente loro giacché nemmeno negli anni ’90 i bug ci erano sconosciuti (ce li tenevamo e giocavamo con quel che passava il convento, anzi!), senza contare che parliamo di opere d’indubbia rilevanza per il nostro medium. Non so voi cosa ne pensiate a tal proposito, ma personalmente ho l’impressione che negli ultimi anni questa tendenza si sia diffusa più velocemente del profumo di erba a un concerto di Bob Marley, me l’ha ricordato il recente Dying Light 2 Stay Human e lo stato in cui versava al dayone (o poco prima, tenendo conto della build che ho recensito).

Chiaramente ci sono situazioni e situazioni, le società che compongono la gaming industry sono formate dalle persone e le persone non sono uguali tra loro, sarebbe sbagliato fare di tutti gli stupefacenti un fascio anche perché un editoriale a spasso fra il faceto e il dramma come questo è l’ultimo articolo dove affrontare seriamente simili argomenti. Dunque in parte problemi vecchi e in parte problemi nuovi, ma per quanto mi riguarda c’è una differenza non da poco rispetto a qualche annetto fa: in passato non ho mai avuto un backlog di proporzioni e qualità simili alle spalle. Sebbene a noi maschietti faccia bene all’autostima pensare che le dimensioni non contino, la verità è che ci sono circostanze in cui non è così: più grosso è il backlog, meglio è perché in fin dei conti è proprio lui il miglior rimedio possibile alle sempre più consuete “fregature” del dayone.

NIETZSCHE, ULISSE E IL DAYONE

A ben vedere, il backlog consente di difendersi efficacemente da eventuali spiacevoli sorprese e dai tentacoli dell’hype, per non parlare del guadagno economico garantito dal procrastinare un acquisto videoludico o del beneficio in termini di contenuti e qualità dell’opera stessa. Il medium si è evoluto e con lui i nostri adorati videogiochi, volenti o nolenti il processo è irreversibile: la pubblicazione non è più la meta finale oltre cui si è obbligati a tenersi il gioco così com’è, adesso è piuttosto una semplice tappa di un percorso che, in alcuni casi, a volte non sa neppure lui dove è diretto e finisce per scoprirlo sui social.

parecchi degli ortaggi che arricchiscono il nostro orticello videoludico tendono a raggiungere uno stato apprezzabile di maturazione solo dopo tempo, patch, sforzi, hotfix, feedback e ribellioni

Forse, fra le tante cause e concause, il prodotto ottenuto dalla somma fra la crescente complessità dei giochi e la necessità di sfornarne il maggior numero possibile è uno dei motivi principali per cui parecchi degli ortaggi che arricchiscono il nostro orticello videoludico tende a raggiungere uno stato apprezzabile di maturazione solo dopo tempo, patch, sforzi, hotfix, feedback e ribellioni. Ve l’ho detto, viviamo in tempi interessanti, il consumismo galoppa feroce e il ripostiglio digitale in cui stipiamo orde di videogame in speranzosa e, a volte, vana attesa d’essere installati può rivelarsi oltremodo utile quando nemmeno i messia vedono la luce scevri d’imperfezioni pur avendo trascorso eoni in fase di sviluppo, in un periodo storico dove da un lato dello stivale c’è la pandemia e dall’altro una guerra che – volenti o nolenti, a prescindere da ideologie e schieramenti – stanno cambiando la nostra quotidianità e chissà quante altre realtà che nemmeno ci figuriamo.

Giunti al termine di questo delirio nero su bianco, miei cari compari gamer, la chiosa non può che essere la seguente: quando vi capita di sbirciare all’interno del vostro sgabuzzino-backlog non abbiate fretta di voltarvi dall’altra parte, guardate a lungo l’abisso infischiandovene di ciò che ne ha detto Nietzsche. Ignorando le squillanti e ipnotiche sirene del marketing a costo di farvi legare alla vostra sedia da gaming come fece Ulisse, rispondendo con un dito medio al sensazionalismo sfrenato di cui io per primo – sbagliando s’impara, ma la buona fede non assolve dalle colpe – potrei essermi macchiato, nascosto in un cestone di videogiochi senza fondo potreste imbattervi per pura casualità nell’eroe dimenticato in grado di salvarvi dall’ennesima inc…azzatura del dayone.

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