Vi prego, smettete di giocare ai videogiochi

Giardinaggio. Bricolage. Pittura. Cucina. Canto. Scultura utilizzando scatolette di tonno aperte. Costruzione di aeroplani di carta igienica usata dopo una gara a chi mangia più uova scadute. Cosa sto facendo? Vi sto suggerendo delle passioni. Perché? Perchè vorrei che smetteste di passare tempo sui videogiochi per dedicarvi ad altro, e che coinvolgeste tutti i vostri amici gamer nel seguirvi verso nuovi orizzonti dell’intrattenimento che non prevedano pad, tastiere, controller, gesture, joystick, periferiche o diavolerie assortite.

videogiochi editoriale

Incipit bizzarro, da parte di uno che scribacchia su TGM, che così dal nulla suggerisce ai lettori di abbandonare i videogiochi. Sarebbe come se un salumiere invitasse i clienti a diventare vegetariani, o se un barbiere vendesse lozioni per far cadere i capelli. Invece sono assolutamente convinto di ciò che scrivo, e lo faccio per il fine più nobile che videogiocatore possa concepire: salvare il nostro universo. Chiedo il vostro sacrificio in cambio di un mondo migliore. O siete contenti della situazione attuale? Facciamo un passo indietro. C’era un tempo felice in cui a infilare monetine nei coin op eravamo sempre noi, i soliti quattro gatti. Facevamo parte di un mercato di nicchia, che però non ha mancato di sfornare una miriade di capolavori, da Bubble Bobble a Ghosts ‘n Goblins. Lo stesso dicasi per gli home computer: Commodore 64, ZX Spectrum, Amiga e i primi PC da gaming erano in un numero ristretto di case, così come le console Sega e Nintendo. Eppure il mercato era fiorente lo stesso, i John Carmack della situazione avevano ugualmente la loro Ferrari e ci deliziavano con i complessi parti delle loro menti. Come si suol dire, eravamo pochi ma buoni.

E VENNE IL GIORNO

Ma un bel giorno, in una sala riunioni all’ottocentesimo piano di uno dei più prestigiosi palazzi di chissà quale metropoli, un amministratore delegato deve aver detto: e se ci inventassimo qualcosa per far videogiocare tutti? Ecco! Lui era l’eroe di cui avevamo bisogno, il Giulio Cesare in grado di attraversare il Rubicone del gaming e portare la nostra passione a chiunque fosse dotato di pollice opponibile. Ci pensate? Se un mercato nato per soddisfare pochi milioni di persone aveva comunque sfornato meraviglie di un certo calibro, immaginate cosa si sarebbe potuto osare se si fosse allargata la platea all’intera popolazione terrestre. C’era invero un problema da risolvere: come mettere al passo videoludico persone che non avevano idea di cosa significhi expare, ressare, buffare, micrare, platinare? Nel piano di far giocare tutti, si è dovuto tenere in considerazione che la stragrande maggioranza della popolazione non era in grado di giocare. E il problema è che alla fine non hanno fatto nuovi giochi per noi. Hanno fatto nuovi videogiochi per loro. E quale miglior modo di solleticare il palato di chi non è mai andato oltre Prato Fiorito, oltretutto cliccando a casaccio senza capirne le regole, se non producendo giocherellucci di una facilità disarmante? Nacquero così puzzle in cui bisogna cercare gli oggetti nascosti, allineare tre banane, contare quante palline rosse ci sono sullo schermo, e così via.

ARRIVARONO I COSIDDETTI VIDEOGIOCHI PER TUTTI. E DA LÌ, MIEI CARI LETTORI, EBBE INIZIO UNA CATASTROFE SENZA PARI

Erano finalmente arrivati i cosiddetti giochi per tutti. Produzioni dal gameplay banale sono sempre esistite, sia chiaro, ma una volta venivano usate per riempire i buchi rimasti liberi nei vari CD-ROM della collana Twilight, dopo che erano stati inseriti tutti i titoli seri. Hey, abbiamo ancora due mega a disposizione, infiliamoci anche quell’affare in cui devi allineare tre stelline dello stesso colore, così chiudiamo la release. E invece a un certo punto la mediocrità videoludica è diventata il nuovo trend. Ho capito che il mio mondo aveva preso una deriva distopica quando iniziarono a circolare quelle pubblicità in TV in cui tutta la famiglia giocava divertita a Wii Party, Wii Sports, Wii Qualsiasicosa, con espressioni entusiaste nello shakerare con movimenti random il controller osservando personaggi disegnati per compiacere bambini di tre anni compiere azioni banalissime. Io ci tenevo tanto a venir considerato un debosciato dai miei genitori per passare i pomeriggi alle avventure Lucasfilm, nonostante grazie a esse imparai l’inglese. I miei vecchi dovevano preoccuparsi dell’esistenza dei videogame in casa, non accoglierli con calore in soggiorno. “Amore, sono entrato in camera di Emanuele e l’ho sorpreso a… a…“ – “Non dirmelo! A giocare a quei cosi!” – “No, no, era lì che si masturbava guardando video di disastri aerei, e con l’altra mano fumava del crack, probabilmente acquistato con del denaro procuratosi scippando e borseggiando” – “Oddio, meno male, che spavento mi hai dato”. Questi sono gli educatori che ricordo e rimpiango.

E invece eccoci tutti qui, circondati da brain games che sembrano dei software per il recupero cognitivo dopo che sei uscito da tre secoli di coma. Ecco, guarda, qui ci sono due pere, dobbiamo trovare la terza e fare in modo di allinearla alle altre. Non preoccuparti se non ci riesci, è difficile, lo so, ma tra dieci secondi un comodo sistema di hint eseguirà la mossa al posto tuo. Non sto assolutamente facendo razzismo videoludico, sia chiaro. Ho anche amici che giocano a Candy Crush, solamente cerco di non frequentarli molto, perché se mentre ti sto raccontando i miei successi in PvP competitivo tu sfoderi lo smartphone e inizi compulsivamente a impilare caramelle, beh, la situazione potrebbe degenerare in un batter d’occhio. Esagerato, direte voi. Non è possibile che giochino tutti, ma proprio tutti sul serio. Per quanto facile sia un puzzle, sarà sempre troppo complicato per chi su Facebook si cimenta ai quiz “scopri che varietà di melanzana eri nella vita precedente” oppure “trova il tuo nome Vikingo associando a ogni numero della tua carta di credito una lettera, e scrivilo nei commenti”.

I VIDEOGIOCHI IN CUI NON GIOCHI

Ma nel famoso ottocentesimo piano, in quella maledetta riunione, avevano previsto anche quello. E idearono gli Idle Game, i videogiochi che giocano per te quando non giochi. Non sei capace di spostare la forma triangolare nella drop zone triangolare? No problem. Non provarci nemmeno. Lo facciamo noi per te. Torna tra mezz’ora e troverai l’enigma risolto. Idea fantastica, vero? Proprio quello che ci voleva.

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Cavalcando l’onda dell’accessibilità ho deciso infatti di aprire una IdlePizzeria, alla quale siete tutti invitati. Come funziona una IdlePizzeria? È semplice: entrate, vi sedete e ordinate una bella Margherita, o una prosciutto e funghi, o una calcinacci e vomito, non importa, tanto non dovete mangiarla, perché qui entra in ballo l’idea rivoluzionaria. Una volta scelte pietanze e bibite, vi alzate e ve ne andate a cenare a casa vostra. Poi tornate da me, che vi dirò: “complimenti! Nei 40 minuti in cui avete interrotto ogni attività nella mia IdlePizzeria, avete consumato tre pizze, quattro birre medie e un tiramisù. Fanno 70 euro”. Vi sembra una truffa? Guardate più lontano: potete mangiare dieci IdlePanini con la mortadella senza ingrassare. O bere venti IdleSambuche e poi guidare tranquilli e beati, certi di non avere alcol nel sangue in caso la Polizia vi pizzicasse. Vi sembra ancora una truffa? A dire il vero, lo è. Allora perché il mondo ha accettato di cimentarsi in quelle IdleSchifezze nei telefonini? Perché devono giocare tutti. Anche chi non sa giocare. Anche chi non gradisce giocare. Pensate che una volta per contrastare la pirateria si diceva “A game worth playing is a game worth buying”. Oggi siamo arrivati a “Un gioco che non vale la pena giocare, è un gioco che vale comunque la pena comprare, tanto mica ci giochi tu”. Ora mi citerete Elden Ring, titolone AAA ad alto tasso di profondità e spettacolarità, per dimostrarmi che in realtà i videogame viaggiano su due binari paralleli, da una parte i capolavori così come li conosciamo, e dall’altra gli hyper casual. Due mondi che possono tranquillamente coesistere.

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Sbagliato. Stiamo vivendo l’ultimo atto della nostra era. Il capolavoro FromSoftware ha venduto moltissimo sdoganando anche uno dei generi più ostici del settore: il Soulslike. Il prossimo passo, dopo che la stragrande maggioranza l’avrà abbandonato ai primi ceffoni presi, sarà renderlo alla portati di tutti. Come? Per esempio modificando i combattimenti con i boss, che potrebbero avvenire con un gameplay simile a Bejeweled, in cui devi allineare tre armi uguali. Se ci riesci, vinci. Anche in un futuro GTA, le missioni saranno improntate su un gameplay simile a Bejeweled, in cui devi allineare tre macchinine uguali. Se ci riesci, vinci. E i prossimi giochi di calcio potrebbero essere improntati su un gameplay simile a Bejeweled, in cui devi allineare tre palloni uguali. Se ci riesci, vinci.

Se avete notato, è in arrivo Diablo Immortal su mobile, e anche il mondo di Azeroth sta per sbarcare sul piccolissimo schermo. Da qui a convertire il gameplay in qualcosa di simile a Bejeweled, in cui devi allineare tre disegnini uguali – o magari anche diversi! – per vincere, sarà un attimo, nel nome dei videogame per tutti. E noi invece dobbiamo prendere gli sviluppatori in contropiede. Appendere i pad al chiodo. Guarda, non gioca più nessuno. Penseranno che la gente si è stufata di mettere in fila fragoline sorridenti e si inventeranno qualcosa di nuovo. Non oggi, non domani, tra un po’. La guerra è quasi perduta, e serve un’azione decisa. Smetti di giocare. Convinci i tuoi amici a fare altrettanto. Salva i videogame.

EDIT: È giusto avvisarvi, per massima correttezza, che una frase dell’articolo – e una sola, brevissima – è stata modificata per i motivi che riportiamo qui.

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