Viva PS Plus, un abbonamento e non ci penso più?

E così ci risiamo. Da pochi giorni Sony ha rivoluzionato il suo servizio PS Plus, trasformandolo da un abbonamento per avere un catalogo di giochi on demand, a un abbonamento per avere un catalogo di giochi on demand, però con dei tier. E come ogni volta che qualcuno si permette di proporre un servizio in abbonamento, si levano cori di dubbi amletici come se avessimo di fronte la strega di Biancaneve con tanto di mela in mano.

PS plus

Ma i giochi sono miei? Cosa accadrebbe se Sony decidesse di rimuovere quel titolo dal catalogo? E se poi non avessi tempo per videogiocare? E se aggiungessero solo generi che non mi piacciono? E se appena sottoscritto il servizio per un anno si innescasse una tragica catena di eventi facendomi morire malissimo come in Final Destination, come funzionerebbe il refund? Meglio non fidarsi. Meglio non dare quei 30 centesimi al giorno per camminare lungo una via incerta. Oh guarda, è appena uscito in preorder il Next Big Game che tutti aspettano di cui si sono viste solo cinque concept art, tremila euro per la Steel Nonna Papera Edition, signore e signori questo sì che è un instabuy. Perché non è nemmeno detto che esca, ma se mai vedrà la luce, sarà mio. Veramente mio. Tutto mio. E come Gollum, mi crogiolerò al pensiero che ho per le mani il mio tessssoro. E pensare che in realtà io i videogiochi vorrei non doverli comprare mai più.

I SERVIZI AD ABBONAMENTO PIÙ IMPORTANTI SONO QUI PER DURARE

Sogno quel super abbonamento che da tempo si definisce amichevolmente “il Netflix dei videogame”, da sempre apparentemente dietro l’angolo ma ancora molto lontano. Intanto sottoscrivo quello che ho a disposizione, e non ho alcuna paura di venir truffato, per un semplice motivo che pare sfuggire ai detrattori di questo sistema: Sony non ha intenzione di chiudere nel 2023 ridendo dei cento euro una tantum che è riuscita a sottrarre alle persone. Ragionevolmente, vorrà mantenere anzi aumentare la schiera di abbonati, esattamente come piace agli investitori, di conseguenza ha tutto l’interesse nel fornire un buon servizio. Parliamo della casa nipponica, ma il discorso si estende a chiunque basi il proprio business sul recurring payment. Se il corriere di Amazon mi defecasse dentro i pacchi, io annullerei il Prime. Per questo non vi è traccia di escrementi in ciò che mi viene spedito, nonostante l’abbia ordinato alle 22 pretendendo la consegna alle 8AM del giorno successivo e quindi una bella pennellata di diarrea me la meriterei. Perché, prendendo in prestito la famosa frase di Vieni Avanti Cretino, il motto di queste aziende è: la vostra soddisfazione è il nostro miglior premio.

OBIEZIONI E AUTOBUS A NUMERO LIMITATO

Ma la fiducia fatica ad attecchire, come un fiore sulla Luna. La prima argomentazione che sguaina chi è contrario agli abbonamenti è il classico principio secondo il quale chi sottoscrive il servizio non è proprietario di nulla e appena smette di pagare si trova tagliato fuori, con in mano un pugno di mosche, magari dopo anni di spesa ricorrente che se diversamente investita gli avrebbe permesso di collezionare un parco giochi ben assortito e, soprattutto, suo per l’eternità, in saecula saeculorum. Sempre per lo stesso concetto di non proprietà, in ogni momento qualcuno ai piani alti potrebbe decidere che dal prossimo mese quel tal videogame non farà più parte del catalogo, che si paghi o meno. Teoria davvero inattaccabile. Sul serio, non ho nulla da ribattere. Anzi, improvvisamente mi sento stupido a rinnovare sempre l’abbonamento dell’autobus, consapevole che non sono proprietario del veicolo, e in qualsiasi momento potrebbero sopprimere una corsa, o cambiare un orario, così, senza preavviso alcuno, e – questa è grave – tutti ricordiamo quando con la puerile scusa di un virus che ha messo a letto mezzo mondo hanno deciso che nonostante la capienza fosse, che ne so, 50 persone, un bel giorno ne sarebbero potute salire solo 25. E indovinate di quale metà facevo parte io, a meno di non defenestrare Zia Concetta? Esatto, quella che pur pagando è rimasta a piedi.

E che dire di quegli sprovveduti dei datori di lavoro, che pagano mensilmente delle persone senza averne la reale proprietà. Poi a un certo punto uno va in pensione, e tutto il denaro investito sulla sua persona va in fumo. Erano molto più furbi i nostri antenati, che se avevano bisogno di manodopera se la compravano. Questo intraprendente tipo di rapporto lavorativo tra titolare e dipendente ha portato alla realizzazione di grandi opere come le piramidi, prosperando per molti secoli fino a quando il solito guastafeste decise di chiamarlo “schiavismo” e combatterlo. Così, di punto in bianco, non si poté più essere proprietari, anzi, voglio usare quella parola, padroni di un altro essere umano. Eppure, giustamente, viene visto come una grande conquista. Col passare del tempo, il concetto di proprietà si è fatto via via più labile e oggi abbiamo il car sharing, gli affitti, i contratti e tutta un’altra serie di diavolerie che sanciscono che abbiamo diritto a un bene o a un servizio fintanto che paghiamo per averlo, dopodiché amici come prima. E allora perché non potrebbe funzionare per i videogiochi?

QUESTO CONCETTO DI PROPRIETÀ DEI VIDEOGIOCHI NON SEMBRA COSÌ APPETIBILE SE RIFLETTIAMO SU QUANTO SIA DIFFICILE GIOCARE A TITOLI DEL LONTANO PASSATO

Per la seconda teoria del bastian contrario: il fornitore del servizio deciderebbe insindacabilmente quale gioco includere e quale no. Che è più o meno ciò che accade già: i publisher decidono quale titolo promuovere e quale no. Se realizzate un gioco porno pluribuggato con protagonisti gli Avengers senza detenerne i diritti, è facile che nessuno pubblichi la vostra opera maestra. E non c’è alcuna censura fascista a tarparvi le ali, semplicemente avete realizzato uno schifo che rischia violente cause per copyright infringement, dunque nessuno è disposto a rischiare il proprio capitale in una corbelleria del genere. Purtroppo, anche tranquillizzando il pubblico sulla solidità dell’investimento, poco si può contro la soggettiva soddisfazione di avere la piena proprietà di un titolo. Volete mettere poter dire “questo gioco è mio”? Acquista tutto un altro sapore. Solo chi ha veramente comprato Returnal potrà giocarlo anche tra trent’anni, a differenza di chi lo ha ricevuto sottoscrivendo il PS Plus Extra. Certo, ci giocherà tra trent’anni a patto di trovare un emulatore per PS5, o lo esporrà con tanto di obsoleta console in qualche fiera del retrogaming, esattamente come oggi troviamo giochi di 30 anni fa che funzionicchiano su polveroso hardware dell’epoca, vero resort a cinque stelle per gli acari.

E poi, quando l’orologio della vita segnerà che è ora di togliere il disturbo, tutte le cianfrusaglie di cui siamo stati fieri proprietari finiranno su Ebay, uppate da eredi che sperano di ricavarci qualche euro prima di arrendersi all’evidenza e disfarsene all’ecocentro, assieme a servizi incompleti di posate in simil argento ed enciclopedie mal assemblate a suon di release settimanali dall’edicolante di fiducia. Questa brama di accumulo potrebbe quindi avere dei risvolti pratici negativi tra qualche decennio. Non potremmo accontentarci di essere proprietari di tutto ciò di cui usufruiamo senza aver mai comprato niente? E siamo sicuri che i beni che acquistiamo siano veramente nostri? Permettetemi di illustrarvi un paio di esempi. Sulla mia autovettura, pagata per intero, con il mio nome sul libretto, non posso montare i pneumatici che più mi aggradano. Qualcuno ha deciso che sulla mia macchina non posso correre con le gomme slick o installarmi quelle diavolerie come in Fast & Furious che alla pressione di un bottone mi permettano di infrangere il muro del suono. Teoricamente, se è mia posso farci ciò che voglio, no? Sì, ma poi non mi lasciano circolare. Morale, mi stanno obbligando surrettiziamente a non esagerare con il tuning. Dall’altro lato di questo ragionamento, tra amici ci si invita con “vieni a casa mia?” anche se magari l’appartamento è in affitto. Non ho mai sentito dire “vieni nella casa di Agenzia Immobiliare Ruderelli in cui momentaneamente abito io ma dalla quale potrei venir cacciato in qualsiasi momento qualora venissi meno ai miei obblighi contrattuali, senza aver diritto a portare con me nemmeno un mattone?”. Non funziona così. Possiamo provare a oversemplificare il concetto di proprietà affermando che nel momento in cui ho il diritto a godere di un bene o di un servizio posso considerarlo mio qui e ora, e domani si vedrà, perché come diceva Rossella O’Hara, dopotutto domani è un altro giorno? Facciamo uno sforzo mentale e immaginiamo i titoli PS Plus come nostri, fintanto che li possiamo giocare sulla nostra TV? Il vero problema a questo punto potrebbe essere rappresentato dal catalogo. Difficile con una dozzina di euro al mese pretendere il prossimo GTA al day one. Vorrei dei tier più coraggiosi, anche di 40 o 50 euro mensili, con tutte le release. Magari modulabili a pacchetti, come Sky.

PS plus

Sottoscrivendo questo mese il pacchetto Roguelike, avrò il prezzo bloccato per un anno. No, il pacchetto RTS non lo voglio, non seguo quel genere di giochi. E chissà, magari se mi telefonasse un operatore per propormi qualche upgrade, potrebbe avere la mia attenzione anziché venir accolto a rutti e bestemmie come accade ai malcapitati che tentano di farmi cambiare contratto telefonico.

ANCHE IL RITARDO DEI TITOLI AAA NON SEMBRA POI COSÌ GRAVE

E sono anche disposto a subire un ritardo ragionevole nell’inserimento di titoli AAA in catalogo. Dell’ordine di due o tre mesi. Del resto che non è che perché esce un Horizon Forbidden West devo mollare tutto e spararmelo da subito. Magari sono già impegnato in altri giochi, ma so che presto sarà lì, pronto per il download. E anche chi è scettico riguardo un determinato titolo, potrebbe provarlo, tanto è incluso nel prezzo, e magari affezionarsi a un genere che mai avrebbe pensato di gradire. Supponiamo che a me piacciano i platformer, ma con tutto il buzz che ha sconvolto la rete mi sia venuta la curiosità di provare questo Elden Ring di cui tanto si parla. Sarebbe un bell’azzardo spendere 70 euro giusto per vedere questo benedetto Interregno, col rischio di abbandonarlo dopo dieci minuti poiché, a differenza dei miei giochi preferiti, lì non c’è il double jump [abbiamo buone notizie per te, Emanuele – NdR].

Con il mio Giochiflix Diamond, invece, lo metto in download, ci giocherello e vedo come mi trovo. E il puzzle indie? Installo, provo, decido. E lo shooter in pixel art? Installo, provo, decido. La mia vita videoludica sarebbe più varia se avessi un abbonamento come si deve. Tutto ciò, a una condizione sine qua non: se striscio la carta di credito per avere il pacchetto Mega Ultra Iper Pazzesc non voglio sentir parlare di battle pass premium, loot box, paccottiglia aggiuntiva a pagamento e qualsiasi altro reward che non sia esclusivamente skill based. Vi ho pagato il dovuto, ora lasciatemi giocare in pace. E la critica specializzata? Che fine farà una volta che tutto sarà accessibile senza doverne prima ponderare l’acquisto? Servirà ancora? Verrà forse il bellissimo giorno in cui boomer con la sindrome di Peter Pan e baldi YouTuber carismatici come NPC di contorno dovranno finalmente dedicarsi a osservare i cantieri o trovarsi un lavoro vero? Ma no, anzi una volta risolta la questione del vile denaro, i loro consigli saranno ancor più utili per gestire una risorsa ben più preziosa: il tempo. O volete provare tutti i cinquantamila giochi in catalogo? Continueremo a tediarvi con le nostre opinioni non richieste e voi continuerete ad arrabbiarvi poiché non siete d’accordo, nel grande cerchio della vita videoludica. Ma una rivoluzione così grande deve essere chiesta all’unanimità. Chi mi segue?

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