Sapete perché sono abbastanza fiducioso sul futuro dell’intrattenimento? Perché ho fiducia nella generazione di creativi che sta finalmente salendo in cattedra. La “mia” generazione e quella immediatamente precedente, pur facendo fatica a sopravvivere in qualunque settore per congiunzioni astrali più o meno sfavorevoli, sta dimostrando, con i fatti, un aspetto su cui spesso ci arrovelliamo, discutiamo, filosofeggiamo: che i codici linguistici sono fatti per essere mischiati.
I codici linguistici sono fatti per essere mischiati.
Pensate un po’ a quanti prodotti ibridi stanno avendo fortuna negli ultimi tempi: nel mondo dei videogiochi dai walking simulator alle avventure in stile Telltale è tutto un pullulare di esperimenti interessanti, così come nel mondo del cinema è innegabile che alcuni espedienti estetico/linguistici dei videogiochi siano diventati perfettamente accettabili sul grande schermo. Il punto è che, come dicevo prima, siamo arrivati in quel momento storico in cui i creativi sono persone cresciute immerse in un universo tanto contaminato quanto quello del proprio pubblico, dove la forma scelta per sviluppare una storia o una semplice idea non conta in senso assoluto, ma solo in funzione dell’efficacia espressiva. Per cui non mi meraviglio più di tanto che in Italia si stiano producendo film molto più interessanti, che sembrano usciti da un’altra dimensione: in effetti è proprio così, rappresentano la frattura generazionale che c’è, ed è evidente, tra chi è cresciuto in un mondo globalizzato dal punto di vista dell’immaginario e della tradizione narrativa. Questo passaggio, fondamentale, vale anche per il mondo dei videogiochi, con l’unico problema che, nel nostro settore, chi dovrebbe investire è ancorato ancora a schemi più tradizionali.
Una delle soluzioni, adesso come nel futuro, risiede di nuovo nell’ibridazione: figure professionali in grado di muoversi tra un settore e l’altro in agilità, perché l’obiettivo è il senso ultimo delle cose, comunicare un messaggio nella maniera ideale, avvalendosi di saperi specialistici solo nel momento della realizzazione. È il caso, per esempio, di Navid Khonsari, uno che di gavetta ne ha fatta tanta, sia nel mondo del cinema che nel mondo dei videogiochi: il suo primo cortometraggio guardava al mondo degli arcade come trofei di un furto, da cui il titolo “Arcade Angels”. Di lì a poco, però, è proprio il settore del gaming ad avergli offerto possibilità di carriera: dal 2001 al 2006 in Rockstar, ha poi lavorato su Alan Wake e Homefront, ed è stata proprio questa esperienza a fargli venire la voglia di raccontare la sua storia. E così, con l’aiuto della moglie Vassiliki Bessie Khonsari, antropologa visiva, è tornato alla sua infanzia in Iran, a quel 1979, anno di rottura nella sua vita. La Rivoluzione di quell’anno ha, infatti costretto la sua famiglia a emigrare in Canada: un episodio tragico che, in ogni caso, gli ha dato la possibilità di imboccare una strada che probabilmente non avrebbe intrapreso altrimenti. E dunque, a distanza di 37 anni da quel momento, Navid e Vassiliki hanno chiuso il cerchio e l’hanno fatto nella maniera più efficace possibile: con un videogioco. Black Friday ci rammenta che con i videogiochi, oggi, è possibile raccontare qualsiasi storia
1979 Revolution, di cui fra qualche giorno leggerete la recensione, è il risultato di un percorso di una persona, di un paese, ma anche di una generazione. Un titolo realizzato da due persone che sarebbe potuto essere null’altro che un videogioco, perché non bastano solo le immagini, a volte, a comunicare efficacemente il peso emotivo di alcuni contesti. Il primo episodio, Black Friday, ci rammenta che con i videogiochi, oggi, è possibile raccontare qualsiasi storia, con qualsiasi presupposto e che il medium può accogliere serenamente linguaggi diversi con cui coesistere felicemente, per dare vita a prodotti dalla natura profonda e complessa. 1979 Revolution mischia reportage fotografici, reperti storici, video dell’epoca e ci porta al centro di una rivoluzione in una maniera semplicemente unica, permettendosi il lusso di spostare il fuoco su una storia di un popolo che, nostro malgrado, tendiamo a osservare attraverso una lente deformante. 1979 Revolution, nel suo piccolo, riassume i perché di tutto il mio ottimismo sul futuro dei media di intrattenimento: non ci sono più confini, né di linguaggio, né di cultura, né di immaginario. Basta solo avere il coraggio di esplorare.