Ieri sera ho buttato via quasi due ore di vita per guardare Pixels, che mi ero perso all’uscita e che mi ero ripromesso di recuperare – prima o poi – più che altro per “dovere professionale” che per una sincera voglia. Ai titoli di coda non ho potuto non convincermi che, come direbbe il buon Mirko Marangon, sarebbe stato più prolifico e divertente darsi fuoco alle dita dei piedi o colpirsi i testicoli a bottigliate (Tafazzi docet), anziché sprecare tempo e corrente elettrica per una roba onestamente indifendibile, costruita sul nulla e che narrativamente non ha né capo, né coda (e sorvolo sulle capacità recitative di buona parte del cast, ché è meglio).
Successivamente alla visione non ho potuto non ragionare su come cinema e videogiochi siano due media che ammiccano da eoni l’un verso l’altro, ma che ancora non riescono a dichiararsi apertamente amore sincero. Agli albori di questo settore c’era la mania dei tie-in, una faccenda che in parte resiste tuttora e che trasportava in forma ludica un prodotto cinematografico, tentando di sfruttare la scia dell’esposizione mediatica per vendere più copie di quelle che avrebbe portato a casa se fosse stato messo sul mercato in beata solitudine. Negli ultimi anni, più che un copia/incolla diretto si è cercato di fagocitare il potere del nome, proponendo qualcosa di diverso dalla pellicola madre (vedi Star Wars Battlefront, giusto per fare un esempio recente). Nell’uno o nell’alto caso, tra le centinaia di videogiochi prodotti negli anni sono davvero pochissimi quelli ben riusciti e che possono vantarsi di aver fatto da “vero” compendio all’opera originale. Di primo acchito penso ai due The Chronicles of Riddick, a The Warriors della mai troppo lodata Rockstar Games, all’intramontabile GoldenEye 007, alle vecchie avventure grafiche di Indiana Jones firmate Lucasfilm, a Blade Runner, a Star Wars: Knights Of The Old Republic (a mio avviso il punto più alto della storia di BioWare) e a X-Wing vs TIE Fighter, a Dune II su Amiga e, infine, ad Alien vs Predator e al recente Alien Isolation. Per trovarne altri che siano degni di essere bollati come capolavori dovrei fare uno sforzo di memoria onestamente eccessivo per l’ora in cui sto scrivendo, ed è comunque palese come si stia parlando di una quantità risibile di videogiochi rispetto alla montagna di fuffa con cui abbiamo a che fare ogni anno.
Cinema e videogiochi soni due pianeti con più punti di contatto che differenze
Forse sarebbe ora che le case di entrambe le fazioni cominciassero a ragionare con una testa sola, intraprendendo percorsi paralleli che siano davvero figli della voglia di complementarietà, e non del semplice intento di fare cassa sfruttando un nome. Oppure, di confezionare un solo prodotto che incastri in modo coerente i due mondi: si può fare, come ha dimostrato Quantum Break, pur coi limiti di una formula neonata e per forza di cose ancora abbozzata. Resto dell’idea che cinema e videogiochi siano due pianeti con più punti di contatto che differenze. Basterebbe un po’ di coraggio e una scintilla da parte di qualcuno per accendere la fiamma dell’amore. Mi fa quasi strano, a 2016 inoltrato, pensare che, alla fine della fiera, i migliori videogiochi tratti da un altro media siano quelli ispirati dai libri. Ecco… io vorrei veder accadere fenomeni come quello di The Witcher, dove il videogioco ha di gran lunga superato la qualità dell’opera letteraria originale. Chiedo troppo? Ma soprattutto, perché Uwe Boll non è ancora morto soffocato dalle sue stesse emorroidi?