Ci vorrebbe un La La Land

Ci vorrebbe un La La Land

L’altra sera ho visto per la seconda volta La La Land al cinema, e come e più della prima volta, il film di Chazelle mi è sembrato strutturalmente perfetto, una sorta di manuale della cinematografia classica aggiornato al 2017. Dunque, ancora più della prima volta, uscito dal cinema, fra un sospiro e un passo di tip tap, mi è balenato lo stesso pensiero: al mondo dei videogiochi manca un La La Land. No, non sto dicendo che dovrebbero embeddare Just Dance in ogni titolo (benché a me non spiacerebbe, chiaramente), ma parlo da un lato di linguaggio e, dall’altro, di tematiche.

La La Land

Il primo elemento, più generale, riguarda l’esclusività della messa in scena: la pellicola di Chazelle può funzionare solo e soltanto come film e il merito è tutto nella padronanza del linguaggio cinematografico. La storia è tutto sommato “banale”, non c’è nulla che non sia stato visto, ma tutto, sullo schermo, funziona in un gioco di rimandi, citazioni e immagini efficaci che si sposano con la musica e una performance pazzesca degli attori. Insomma, il giovanissimo regista americano ha puntato sulla componente immaginifica propria dei film e sulla messa in scena, piuttosto che sulla scrittura vera e propria, e ha tirato fuori una bomba.

La domanda è: quanti videogiochi riescono a fare lo stesso? Senza nulla togliere a Naughty Dog e alle loro capacità di storytelling, dato che sono gli unici, insieme a CD Projekt, a saper davvero scrivere storie per il nostro medium, quanti videogiochi dall’alto impatto emotivo, scenico e narrativo possono dire di far leva solo sui tratti proprio del medium interattivo? Senza fare troppe ricerche, su due piedi mi vengono in mente The Stanley Parable, Portal e The Witness, mentre tra le produzioni tripla A più radicali forse solo Dishonored e i Souls si avvicinano al concetto per cui è il gameplay a condurre le fila del discorso, anche di significazione narrativa. Fermo restando che la tendenza sta cambiando, e Horizon: Zero Dawn ne è una dimostrazione abbastanza eloquente, benché ancora imbrigliato in una forma di rappresentazione che dal cinema trae molta ispirazione. Mi spiego meglio, la storia di Aloy potrebbe essere serenamente raccontata in un film, ma il gameplay, nel titolo di Guerrilla Games, è comunque alla base di tutto.

Perché i videogiochi non raccontano storie normali?

Questo, però, mi porta a una seconda riflessione, che è poi è quella si ripropone sovente ogni volta che esco dal cinema emozionato dopo aver visto un film in grado di colpirmi al cuore: perché le storie “normali” i videogiochi non le raccontano? Perché non si può parlare di amore e realizzazione personale in maniera diretta, sfruttando anche le armi del game design canonico in chiave diversa? Non mi capacito del fatto che, anche chi utilizza un linguaggio deferente nei confronti di altri media, come Telltale, non abbia mai pensato a sviluppare giochi dalle tematiche più vicine alla commedia, o ancora meglio al drama sentimentale. Motivi di target? Possibile, ma perché non provarci? Per chi teme la mancanza di conflitto, cosa c’è di più complesso, avventuroso e difficile di affermare se stessi nel mondo, venendo a patti con tutto pur di ritagliarsi uno spazio di serenità in compagnia di un’altra persona?

Gli strumenti a disposizione sono tanti, dalle dinamiche di gioco a tempo per evitare un momento Sliding Doors, alla risposta istintiva ai dialoghi in stile Telltale, passando anche per sequenze d’azione che danno il senso delle difficoltà vissute in un percorso del genere. L’unico ad averci provato, nonostante tutto, è David Cage, con alcune sequenze nei suoi giochi: la vuota mattina di Ethan Mars in Heavy Rain, ma soprattutto il periodo da senzatetto di Jodie Holmes o la meravigliosa scena della cena romantica, sempre in Beyond: Two Souls, dove, a mio avviso, il mio discorso trova compimento estremo. Ogni volta che penso a quei momenti, beh… credo che se Beyond avesse avuto quella cifra lungo tutta l’avventura sarebbe stato un gioco perfetto, umano come pochi; e invece, al solito, David Cage non ha saputo resistere alla tentazione di mandare (un po’) in malora la situazione con le sue ambizioni di scritture sci-fi, che ci “regalano” gli elementi meno riusciti dei suoi giochi. Ecco, proprio questo continuo “bullismo” da parte dei temi fantastici sulla quotidianità, secondo me, è uno degli ultimi miti da sfatare per consegnarci un medium maturo in grado di parlarci di tutto. E magari di darci un La La Land da giocare.

EDIT: Grazie a una segnalazione del buon Lorenzo, c’è che mi sono dimenticato l’unico gioco in grado di farlo quasi perfettamente, ovvero Life is Strange che, insieme agli esempi del buon Cage, riesce a rompere uno schema altrimenti fin troppo regolare e omogeneo. Tra l’altro, il mio amore per Max e Chloe è risaputo, però vedi cosa succede a scrivere alle 7 di mattina?

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