Paura e delirio a Fiera Milano

campus party tgm

Non è stata la prima volta che mi sono trovato a tenere un discorso davanti a una platea. Non è stata neanche la più difficile. In passato ho avuto il piacere e l’onore di parlare di fronte a studenti, a uomini d’affari, a ricercatori, spesso all’estero e in inglese. È stata però la prima volta in cui ero davvero emozionato. “Dai, non potrà essere peggio che la discussione della tesi, o dell’orale della maturità”. Prima di salire sul palco, manco a dirlo, salivazione fantozzianamente azzerata e mani due spugne.

Sto parlando del talk che io e il buon Davide Mancini abbiamo tenuto a Campus Party, giovedì scorso, per raccontare – a modo nostro, ossia facendo più cabaret che altro – gli ultimi vent’anni di The Games Machine, da quando la redazione si massacrava a Micro Machines e Puzzle Bobble ai giorni nostri, con il recente cambio di rotta, le difficoltà delle riviste e di chi decide – sventurato! – di intraprendere il lavoro di quelli che ci scrivono sopra. E quindi, dicevo, ero emozionato. Tanto. Almeno fin quando il tecnico non ha acceso i microfoni e abbiamo cominciato a parlare. Due ore, tra talk e workshop (in cui ci siamo divertiti a costruire e inventare, nel 2017, una rivista cartacea che parla di videogiochi), che sono letteralmente volate. Tra racconti, aneddoti e altre faccende un po’ più serie, mi sono trovato davanti a persone curiose, attente, interessate. E mi sono divertito un sacco.

campus party tgm

questa volta parlavo della storia di TGM, che per mille motivi è anche la storia di me stesso

Ripensandoci, in questi giorni, mi sono reso conto che l’emozione, l’ansia che provavo prima di salire sul palco erano legate non tanto alla legittima preoccupazione di “floppare”, quanto al fatto che, diversamente dalla maturità o dalla tesi, questa volta parlavo della storia di TGM, che per mille motivi è anche la storia di me stesso. La storia di una scommessa, iniziata per caso quasi vent’anni fa, ostinatamente inseguita e costruita negli anni. La storia di un amore che non raggiunge quello per la mia famiglia, ma è anche quello che gli si avvicina di più.

Sono poi tornato, a Campus Party, nei giorni successivi, fermandomi più a lungo sabato, quando anche il nostro Marietto ha parlato, insieme a Emilio Cozzi e Stefano Leoni di edi (Effetti Digitali Italiani), di realtà virtuale con la competenza e il carisma di cui solo lui è capace. Sono rimasto a seguire un po’ di talk e di barcamp, chiacchierate sugli effetti speciali di Guerre Stellari, sulle fake news e sulla parità di genere, e persino sul doppiaggio, dove ho potuto stringere la mano a René Ferretti. L’achievement di una vita, per intenderci. Ho anche incontrato un paio di lettori storici che si sono fatti un “selfino” col sottoscritto, roba che mai nella vita avrei creduto possibile.campus party tgm

Da universitario, avrei pagato per un evento del genere

Mi sono ritrovato, per qualche giorno, in una fiera piena di giovani, con gli occhi stanchi per aver dormito poco, ma carichi dell’entusiasmo di chi sta cercando di lanciare una startup, di fare “networking” con altre aziende e università, di realizzare un videogioco, di costruire un sogno. Da universitario, avrei pagato per un evento del genere. E quindi, lo ammetto candidamente: per un po’, li ho invidiati. Perché capisco quell’entusiasmo, e la ricerca di quel sogno. Lo capisco, perché è lo stesso entusiasmo che mi pervade ogni singolo giorno, nel lavoro che ho la straordinaria fortuna di poter fare, con le ancor più straordinarie persone che lo fanno con me.
L’emozione che ho provato prima di salire sul palco non era una novità: è la stessa che provo ogni mese, quando mandiamo in stampa un nuovo numero di TGM. Un numero che parla di videogiochi, parla di intrattenimento, ma in fondo parla anche di noi stessi.

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