Mamma, mi si è ristretto il cervello

videogiochi cervello

Aveva ragione la maestra, quando mi diceva che “quei cosi (i videogiochi, ndr) finiranno per rincretinirti“. Nei giorni scorsi è stato pubblicato, su un’autorevole rivista di psichiatria, un articolo a cura di due ricercatori dell’università di Montreal, secondo cui i videogame d’azione porterebbero a una sensibile riduzione della massa cerebrale, in particolare la zona dell’ippocampo, quella destinata alla memoria a lungo termine e alla navigazione spaziale. Alcuni soggetti, sottoposti per novanta ore a Call of Duty, Killzone, Grand Theft Auto V e Borderlands 2, hanno evidenziato una riduzione del 2% della massa dell’ippocampo, la prima a essere attaccata da malattie come schizofrenia, depressione, disturbo da stress post-traumatico e Alzheimer (di cui ci parlava il Tasso proprio settimana scorsa). La conclusione è ovvia, a questo punto: i videogiochi fanno male, e non perché ci riducono a individui asociali e con tendenze omicide, ma proprio in senso fisico, danneggiando il nostro cervello. L’allarme è lanciato, il pericolo è alle porte, corriamo ai ripari! !

I VIDEOGIOCHI FANNO MALE! CORRIAMO AI RIPARI PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI!

Ora, quello che avete letto potrebbe essere – provocatoriamente – un qualunque articolo di un qualunque giornale alla ricerca di un buon filler per continuare la crociata contro i videogiochi, che non fa mai male, soprattutto d’estate. Non ne avete letti ancora molti in giro, perché anche i giornalisti vanno in ferie, e apparentemente in pochi si sono accorti della notizia (in Italia ne ha parlato solo Repubblica.it, con un pezzo discreto, immancabilmente rovinato dal pessimo titolo a effetto).

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UN PROBLEMA DI CERVELLO

La questione è seria, però, ben oltre il solito tentativo di associare comportamenti violenti e videogiochi, e merita di essere trattata in maniera un po’ più esaustiva. Nel senso che lo studio è uscito veramente, è stato pubblicato lo scorso 8 agosto su Molecular Psychiatry, e si intitola “Impact of video games on plasticity of the hippocampus” (qui l’abstract della ricerca, occorre pagare per poter leggere il paper completo).

Una cosa è certa: videogiocare porta a dei cambiamenti nel nostro cervello

«I videogiochi hanno dimostrato di avere effetti positivi in determinati sistemi cognitivi del cervello, in particolare per quel che riguarda l’attenzione visiva e la memoria a breve termine», ha detto il professor West a UdeMNouvelles, il sito della facolta di Montreal. «Ci sono però evidenze comportamentali secondo cui la cosa potrebbe avere un costo, in termini di impatto sull’ippocampo. Ecco perché abbiamo deciso di fare uno studio scannerizzando i cervelli di gamer abituali, per paragonarli a quelli di non gamer, e abbiamo notato una minor presenza di materia grigia nell’ippocampo dei giocatori abituali. Abbiamo allora effettuato due ulteriori studi per studiare la correlazione tra le cose, e abbiamo scoperto che sono proprio i videogiochi a portare il cambiamento nel cervello».

videogiochi cervelloL’ippocampo, dicevamo, è la parte di cervello che aiuta le persone a orientarsi (memoria spaziale), e a ricordare esperienze passate (memoria episodica). In generale, così dicono, più è esteso l’ippocampo, meglio sta il cervello. C’è però un’altra porzione di cervello, chiamata striato, o nucleo caudale, che – in estrema sintesi – ci permette di formare abitudini, ricordare cose come andare in bicicletta, quando mangiare o fare sesso. I videogiochi (d’azione, in questo caso) stimolano il nucleo caudale più dell’ippocampo, perché viene attivato da stimoli associali alla ricompensa – di cui i videogame, soprattutto ultimamente, abbondano – a discapito dell’ippocampo, le cui cellule tendono così ad atrofizzarsi.

METODOLOGIA DI STUDIO

I ricercatori hanno chiamato 51 uomini e 46 donne per farli giocare a un po’ di giochi d’azione, da Call of Duty a Killzone, ma anche con alcuni dei più recenti Super Mario (quelli 3D), per un totale di novanta ore. Per capire quali partecipanti allo studio fossero “apprendisti spaziali” (ossia soggetti che usano maggiormente l’ippocampo) e quali “apprendisti da risposta” (quelli che usano maggiormente lo striato), West e il suo team li ha fatti prima affrontare un labirinto virtuale – al computer – nel quale, partendo da un hub centrale, i pazienti dovevano muoversi lungo quattro percorsi identici per raccogliere degli oggetti, e poi percorrerne altri quattro per uscire dal labirinto.

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dopo novanta ore di Super Mario, tutti quanti hanno mostrato un incremento della zona dell’ippocampo

Per ricordare le strade già fatte e non perdere tempo a cercare oggetti già raccolti, gli apprendisti spaziali si orientavano con elementi del paesaggio (una roccia, delle montagne o degli alberi), mentre gli altri ignoravano il paesaggio e si concentravano maggiormente sulla sequenza di svolte a destra e a sinistra. Una volta definite le strategie, i soggetti sono stati messi davanti ai videogiochi di cui sopra, coi seguenti risultati: dopo i vari Call of Duty e Borderlands, gli “apprendisti da risposta” hanno mostrato una riduzione dell’ippocampo; dopo novanta ore di Super Mario, tutti quanti hanno mostrato un incremento della zona dell’ippocampo. «Dal momento che le strategie spaziali si sono dimostrate legate all’aumento della materia grigia dell’ippocampo mentre giocavano, è possibile che gli apprendisti da risposta possano essere incoraggiati a usare strategie spaziali per contrastare gli effetti negativo sull’ippocampo». In altre parole, l’apprendimento spaziale viene incoraggiato maggiormente nei giochi – come quelli di Super Mario – in cui non c’è un GPS integrato, o una via indicata in sovrimpressione sullo schermo, perché stimola il cervello a studiare l’ambiente alla ricerca di punti di orientamento.

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TL;DR

Le conclusioni dell’articolo non lanciano nessun allarme né paventano la fine dell’umanità se continuiamo a giocare a Call of Duty o Grand Theft Auto. Dicono però diverse cose, che val la pena riassumere:

  • i medici dovrebbero prestare particolare attenzione ai titoli che consigliano ai propri pazienti come terapia per promuovere skill cognitive come la memoria a breve termine o l’attenzione visuale, perché i loro risultati potrebbero essere controbilanciati dalla riduzione dell’area dell’ippocampo. Nello specifico, lo studio sconsiglia apertamente l’uso di videogiochi per trattare le patologie citate all’inizio: schizofrenia, depressione, disturbo da stress post-traumatico e Alzheimer. Che, capite bene, è un po’ diverso dal dire che i videogiochi le favorirebbero.
  • lo studio dice che gli effetti a lungo termine della riduzione dell’ippocampo sono tutti da verificare (il che equivale a dire che potrebbero essere temporanei, e sparire da soli dopo un tot di tempo, o facilmente contrastati in altro modo)
  • che questo genere di effetti dipendono da come un videogame è studiato e progettato, ma che la sola presenza di GPS/mappe integrate nel gioco non è sufficiente a giustificare la riduzione dell’ippocampo, e occorrono ulteriori ricerche per capire quali aspetti del design di un gioco possono portare a questi cambiamenti nel cervello

Ah, certo: lo studio dice anche che Super Mario fa bene alla vita, ma questo lo sapevamo già!

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