Perché mai scrivo di videogame? - L'Opinione

È sempre interessante quando arriva una new entry nella lista di domande alle quali non trovo il senso di dover dare una risposta, specie se c’entrano i videogame. In principio, nella prima fase dell’adolescenza, protagoniste indiscusse di tale malcostume erano le mie anziane zie con “allora, quando ti trovi la fidanzata?”, perché raggiunta una certa età devi assolutamente dar prova di essere un Casanova, infrangendo cuori e trasudando testosterone.

Seguirono “allora, quando ti sposi?”, “allora, quando arriva il nipotino?” e “allora, quando arriva la coppia?”, perché nel Vangelo secondo le Zie la vita è una corsa a tappe in cui bisogna spaccare il secondo come in un circuito di Super Mario Kart. Hey, siete passati in ritardo al lap del matrimonio, ora se volete recuperare avete solo sei mesi per riprodurvi, gestazione compresa. Fortunatamente il bello delle famiglie è che vengono sempre al mondo nuovi parenti da tediare, consegnando all’oblio la generazione precedente. Archiviata la questione zie, il testimone delle domande inutili passa a conoscenti vari che di tanto in tanto mi chiedono se gioco ancora ai videogame. L’enfasi è sulla keyword “ancora”.

Giochi ANCORA ai videogame? Come se si trattasse di un’attività accettabile per un qualche tempo, stabilito da non si sa bene chi, dopodiché le persone perbene dovrebbero girar pagina. Qualsiasi risposta dia, ricevo un “sei rimasto uguale”, detto con un tono che fatico a interpretare come un complimento. Nulla che probabilmente non conosciate anche voi che state leggendo, arriviamo dunque alla new entry: ma perché scrivi di videogame? Questa è la versione light, la completa sarebbe: ma perché scrivi di videogame quando potresti impiegare quel tempo in attività più produttive? Già, perché scrivo di videogame? Se avessi le physique du rôle di Raz Degan risponderei come nella famosa pubblicità “sono fatti miei”, o citerei l’esempio di quel tale che non impicciandosi dei problemi altrui è campato cent’anni, però qui siamo su una testata che tratta videogame, e anche se non me l’avete chiesto, a voi voglio rispondere. Prima però devo spiegare cosa rappresentano i videogiochi per me. Facciamo un saltino indietro nel tempo.

UN GIOVEDÌ POMERIGGIO QUALSIASI VERSO LA FINE DEL 1986

Andiamo in un giovedì pomeriggio qualsiasi di dicembre 1986; sul mio giradischi suona in heavy rotation il 33 giri Notorious dei Duran Duran, che ha appena affiancato The Singles 81-85 dei Depeche Mode. Perché proprio un giovedì e non un mercoledì o un venerdì? Perché il giovedì avevo il rientro pomeridiano a scuola, e uscivo alle 16 quando già stava per imbrunire. Arrivato a casa con il buio, mi chiudevo in camera, accendevo il Commodore 64 e mi perdevo nei suoi mondi, con l’ultima compilation di videogame acquistata in edicola, o con un originale noleggiato in un negozio di dischi che vendeva anche accessori per computer.

Potevo tranquillamente dire ai miei genitori che non avevo compiti per l’indomani, dato che li avevo svolti a scuola – mentendo, poiché al pomeriggio c’era la lezione di disegno tecnico – e uscire dal mio antro solo quando mi chiamavano per cena, per poi ributtarmi a capofitto, joystick alla mano, fino all’ora di dormire. La gioia con la quale infilavo le chiavi nella toppa in quei giovedì sarà sicuramente un frame del famoso filmato della vita che dovrebbe scorrere davanti agli occhi quando si sta per lasciare questa valle di lacrime. Questo è il mio approccio con un nuovo videogame: aprire la porta di casa in un giovedì di fine 1986, pieno di entusiasmo. Ricordatevelo, perché ci torneremo.

OK, SI PUÒ SAPERE ADESSO PERCHÉ SCRIVI DI VIDEOGAME?

Anche se sono nuovo del mestiere, in realtà scrivo di videogame da sempre. Leggevo Zzap! e quando giocavo ai titoli recensiti, li recensivo nuovamente nella mia testa, assegnando loro pure un voto, immaginando il commento che avrei lasciato. E prima ancora di Zzap! leggevo le introduzioni creative dei libretti allegati alle cassette pirata, e fantasticavo sul come le avrei scritte io. Con voto, ovviamente. Il salto dalla fantasia alla realtà è stato, oltre che fortuito, naturale. La differenza tra ora e allora è che adesso c’è veramente qualcuno che legge ciò che scrivo.

Dunque il primo motivo potrebbe essere che scrivo di videogame perché mi viene naturale. Immagino non basti come risposta. Dunque continuiamo; immaginate di dover chiedere al vostro partner se può attendere una mezz’oretta per iniziare quel film in streaming perché dovete assolutamente completare una quest. Direi che finisce in instant litigata con notte passata sul divano. Un conto è dire “arrivo, lasciami solo uccidere altri otto Ragni Sanguinari Rabbiosi così mi daranno la Spada Inutile”, altro paio di maniche è un quasi irritato “porta pazienza, mi hanno incastrato con questa recensione, ormai ho preso l’impegno, domani mi sentono, però!

Come un sommelier vengo invitato ad assaggiarli per poi proporre quelli a voi più congeniali.

Faccio io un bel discorsetto, deve finire quest’abitudine di assegnarmi l’impossibile!”. In realtà sono io che mi propongo anche per Ultimate Tic-Tac-Toe, ma sarà il nostro piccolo segreto. Dunque aggiungiamo che scrivo di videogame perché mi permette di giocare di più ai videogame. Ma c’è dell’altro: quando trovo un videogioco particolarmente coinvolgente, in grado di regalare una bellissima esperienza, vorrei che chiunque potesse goderne, proprio come quando consigliate un film a un amico o semplicemente condividete un contenuto sui social affinché anche i vostri follower ne vengano a conoscenza. Ne ho fatto una specie di missione personale, quindi scrivo di videogame per consigliarvi quali dovreste giocare. Come un sommelier vengo invitato ad assaggiarli per poi proporre quelli a voi più congeniali.

CENTO COSE DA FARE PRIMA DI MORIRE NEI VIDEOGAME E NON SOLO

Scrivere per TGM, e successivamente per Zzap!, le riviste che una volta attendevo spasmodicamente stalkerando gli edicolanti, è la coronazione di un mio sogno. Una voce nella lista delle cento cose da fare prima di morire. Il mio alter ego sedicenne sarebbe orgoglioso di me. I sogni più puri sono quelli che avevamo da giovani, poi quando si cresce si finisce col plasmare i desideri sulla base delle proprie possibilità. Suppongo non mi credereste se vi dicessi che fare la coda alle Poste per ritirare una raccomandata è sempre stato il mio sogno, e che ero contento di attendere seduto che chiamassero il numero 143 mentre sul display c’era appena il 91. Ma sui videogiochi sono sincero: scrivo di videogame perché ho sempre sognato di scrivere di videogame, e poco importa se è un desiderio infantile, è il mio e tanto mi basta. Non che gli altri rispecchino una grande maturità, dato che troviamo “Partecipare a una puntata di Jackass” e “Realizzare una action figure di me stesso con un pene enorme e snodato”. Tutto questo però, secondo alcuni, a discapito della produttività. Potrei dedicarmi ad altro, più remunerativo. Il problema è che non lo faccio per soldi, né per avere una voce sul curriculum, né perché è cool dire che scrivo di videogame. Fa parte delle attività che svolgo per aumentare la mia qualità di vita, come viaggiare, andare al cinema, mangiare al ristorante, allenarmi, fare un giretto per i boschi, eccetera. Nulla di tutto ciò accresce il mio capitale – anzi, lo erode – e a nessuno importa se nel mio curriculum c’è scritto quanti chilometri riesco a correre.

Scrivo di videogame perché migliora la mia vita, e ricevo pure un compenso. A questo punto sarei pazzo a rifiutare. Anche perché mi piace scrivere, e confrontarmi con persone più brave di me che rileggono i miei testi correggendoli e consigliandomi come svolgere al meglio il mio compito mi ha permesso di migliorare. Già che parliamo di soldi, quanto mi costerebbero delle ripetizioni di italiano? Io ne usufruisco gratis, dopo aver giocato a un videogame che mi piace e ricevendo pure un compenso. Ecco che allora scrivo di videogame perché mi aiuta a scrivere meglio.

È SEMPRE UN GIOVEDÌ POMERIGGIO QUALSIASI DI FINE 1986

Pur riconoscendo di aver mantenuto molto del mio spirito da ragazzino, anche io sono stato travolto da responsabilità e scadenze. Famiglia, figli, mutui, impegni e anche i primi acciacchi piegano anche il più scapestrato dei Peter Pan. E a volte non c’è la mente abbastanza sgombra per giocare. Poi però arriva un codice per riscattare un videogame e scriverne la recensione. Non è uno svogliato acquisto su uno store, destinato a ingrossare le fila del backlog. È una meraviglia – si spera! – che vedrò in anteprima. È una cassetta che fa capolino tra decine di riviste accatastate nel retro di un’edicola.

Pur riconoscendo di aver mantenuto molto del mio spirito da ragazzino, anche io sono stato travolto da responsabilità e scadenze

Non vogliamo vedere che prodigi si celano in quel nastro? Compro la cassetta, in quel giovedì pomeriggio qualsiasi verso la fine del 1986. Arrivo a casa, apro la porta pieno di entusiasmo sapendo che nessuno si aspetta che abbia compiti per casa. Accendo lo stereo, faccio partire Vertigo dei Duran Duran, sul lato B del 33 giri Notorious. Carico la cassetta, inizio a recensire il gioco con la mente, ma questa volta la recensione la leggerete anche voi. Scrivo di videogame perché così è sempre un giovedì pomeriggio di fine 1986.

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