Proprio in questi giorni esce Arranger: A Role-Puzzling Adventure, carinissimo titolo di Furniture & Mattress (nome che nasconde tre talenti del videogioco come Nick Suttner, scrittore che ha collaborato alla sviluppo di Carto, Celeste e Guacamelee 2, David Hellman, artista dietro l’estetica di Braid, qui riconoscibilissima, e Nicolas Recabarren, puzzle designer di ETHEREAL) che fa un sacco estate, mette di buon umore e soprattutto rappresenta l’ennesimo e riuscito twist sullo “Zelda-like”, sotto-genere che, negli ultimi anni, è diventato terreno fertile per tantissime piccole produzioni di alto livello.
In Arranger la classica esplorazione zeldiana di overworld e dungeon diventa un enorme puzzle a “piastrelle”, dove ogni elemento interattivo si sposta sulla riga/colonna della protagonista, dando vita a enigmi e combattimenti super ingegnosi e appaganti. Un titolo che arriva lo stesso anno del ritorno di uno Zelda 2D made in Nintendo, quell’Echoes of Wisdom presentato nell’ultimo Direct che arriverà ben 9 anni dopo l’ultimo capitolo 2D originale, A Link Between Worlds per 3DS (mentre nel 2019 uscì l’ottimo remake di Link’s Awakening). In questi 9 anni, però, il mondo indie, sempre in fermento, non è stato ad aspettare, sfruttando la “pausa” in quel di Kyoto per esprimere le loro visioni, interpretazioni, suggestioni sulla saga. Una formula semplice, per così dire, immutata da 30 e passa anni a questa parte: una visuale chiara, a volo d’uccello, azione e avventura in parti uguali, enigmi unici per ogni zona della mappa a mettere in moto il cervello. Ma come ben sapete, le cose più semplici sono anche le più difficili da fare, a volte.
AVVENTURE PER TUTTI I GUSTI NEI ZELDA-LIKE
Tra i primi ad avere successo, con un vero e proprio neoclassico, Hyper Light Drifter di Heart Machine e la sua fantasia post-apocalittica, raccontata per immagini, molto vicina all’esperienza ermetica del primo Zelda per NES, misteriosa e inquietante, dai colori acidi e dall’azione frenetica in stile slash ‘em up. Un altro highlight recente è stato sicuramente Tunic, magistrale one-man-game confezionato con una cura commovente, anch’esso ispirato alle primissime avventure di Link, misterioso e graziato da un level design clamoroso. Due titoli molto più simili di quanto sembri, dalla scelta di non usare parole per raccontare e guidare, fino al mistero ancestrale che celano e che spinge a immaginare teorie. Io però ho un debole per Hob, ultima opera di Runic Games prima della chiusura, un’altra avventura “muta”, estremamente meccanica, col mondo di gioco che cambia i suoi connotati per fare spazio a strutture, piattaforme, scale che spuntano dall’ambiente, tutte connesse a leve e interruttori sparsi per le aree di gioco; molto particolare e sfortunato.
Ma se finora ho parlato di tre titoli che non usano le parole per esprimersi, Chicory ne usa molte e molto bene, raccontando depressione, discriminazione e il peso delle aspettative in un esperimento tra i più originali e deliziosi sul genere; l’opera di Greg Lobanov è un’avventura esplorativa presentata come se fosse un libro per bambini. Ogni area una pagina animata, in bianco e nero, tutta da colorare, sia per puro relax che per procedere, risolvere enigmi, aprirsi nuove strade (si può addirittura giocare con le tavolette grafiche, su PC!), scoprendo e stupendosi continuamente. Per me uno dei giochi più belli e geniali di questa generazione! Di tutt’altro tenore Death’s Door di Acid Nerve, dove all’esplorazione e al ritmo rilassato si sostituiscono combattimenti frenetici, boss fight cattivissime e un’atmosfera da oltretomba spettrale, ironica, un po’ burtoniana.
Una formula semplice, per così dire, immutata da 30 e passa anni a questa parte
Perché si dà per scontato che Nintendo sia irraggiungibile o quasi, quando tira fuori un capitolo di una delle sue serie più famose, ma il potere delle idee e le capacità tecniche di piccoli sviluppatori sparsi in giro per il mondo riescono ad assottigliare clamorosamente il gap tra i due tipi di produzione. L’essenza dell’avventura, il viaggio dell’eroe alla ricerca di sé stesso e di un modo per esorcizzare la fine del mondo. È questo che ci piace così tanto, di Zelda e di tutti i giochi che ci si ispirano; quel senso di pericolo a cui contrapporre il coraggio, portare la luce nell’oscurità, diventare, per qualche ora, portatori di speranza, combattendo il male. E se lo si riesce a fare in modo così originale, viene da sé che non se ne hanno mai abbastanza, di “Zelda-like”!