Sono felicissimo! Ieri ho finalmente platinato Gioco Strafigo sbloccando anche l’ultimo, impossibile trofeo “uccidi millemiliardimila mostri”. Come li ho fatti fuori? E chi si ricorda? Sicuramente un po’ con il bazooka, un po’ con le granate, che importanza ha? Ciò che conta è che io sono un top player e voi i plebei del gaming, degni al massimo di pulirmi il monitor dopo una notte passata a girovagare sul sitarello bianco e azzurro. Tutti ci impettiamo un pochino, chi più chi meno, quando conquistiamo un trofeo nel videogame del momento. Ci scrissi pure un editoriale. Quanto segue forse potrebbe esserne il sequel, o magari una versione più deprimente, come la cover di Mad World dei Tears for Fears realizzata da Michael Andrews e Gary Jules per chiudere il film Donnie Darko. A volte la smania di accumulare crediti e riconoscimenti, una volta spento il computer, può rivelarsi controproducente e influire negativamente sulla qualità di vita. E adesso saltiamo apparentemente di palo in frasca parlando di Nick Pelling.
TUTTA COLPA DI NICK?
Nick è un programmatore nato nel 1964, conosciuto soprattutto per il platformer Frak! sviluppato per BBC Micro nel 1984 e per il porting di Duke Nukem 3D su PlayStation. Da bravo game designer, progetta nella sua testa una colossale versione di The Sims, ambientata nel mondo reale. Il 9 aprile 2003 fonda una società chiamata Conundra specializzata in gamification, neologismo proprio da lui coniato. E cosa sarebbe la gamification, che potremmo tradurre grossolanamente con gamificazione, o forse giochizzazione o ancor meglio ludicizzazione? Rappresenta l’utilizzo di elementi di gioco in contesti non ludici per motivare e coinvolgere persone altrimenti impiegate in mansioni solitamente ripetitive e noiose. Immaginate di essere operai in una catena di montaggio e venir premiati premiati con un trofeo, proprio come quelli di Steam, ogni cento, mille, centomila operazioni effettuate. Non è meraviglioso? Ding ding, abbiamo stretto il milionesimo bullone, rimaniamo in catena di montaggio però abbiamo la spilletta con il bullone d’oro. Color oro, sia chiaro, in realtà è di latta. Ma per noi, unici a possederlo in tutta la fabbrica, vale più di tutti i diamanti del mondo.
Come non amare un lavoro che regala così tante soddisfazioni? Pensate che meraviglia se tutta la nostra vita potesse diventare un grande videogioco in cui vincere trofei e competere con gli altri, manifestando e dimostrando, badge alla mano, la nostra superiorità. Voi avete sbloccato “Disegna Gatto Silvestro con l’urina sulla neve”? E “Non lavarti per un mese”? I tempi non sono maturi, e la startup Conundra morirà solo tre anni dopo, ma a Nick va riconosciuto il merito di aver tratto il dado. Gli hater diranno che in realtà non ha inventato nulla, e che possiamo trovare esempi di gamification già nel 776 a.C. quando ai primi giochi olimpici si stilavano classifiche premiando i vincitori con un bel rametto di ulivo. O magari nelle pratiche di raccolta punti e bollini vari presso botteghe e mercati per veder riconosciuta la propria fedeltà.
Nick è un programmatore nato nel 1964, conosciuto soprattutto per il platformer Frak! sviluppato per BBC Micro nel 1984 e per il porting di Duke Nukem 3D su PlayStation
IL LATO OSCURO DEL GIOCO
Il problema è che l’esistenza non è un videogame, non siamo personaggi che possono respeccare a seconda della mansione richiesta, non ci sono partite precedentemente salvate da ricaricare e il ragequit ha un nome inquietante: suicidio. Ma senza arrivare a casi estremi, una gamification così invasiva può portare a un approccio superficiale alle attività; così come si gioca ai vari match three game più per la gratificazione immediata che per amore del gameplay, si potrebbe preferire un supermercato a un altro non per vicinanza, convenienza o qualità ma per completare chissà quale task e ricevere in premio un set di asciugamani – con un contributo di 9.99 euro e senza il centesimo di resto – che finiranno in macchina pronti per essere utilizzati quando c’è da rabboccare l’olio senza sporcarsi le mani dato che, plot twist, incredibilmente eravamo già dotati di corredo da bagno. Negli ambienti lavorativi poi le classifiche possono esacerbare la competitività, portandola a livelli più tossici di quanto possano già naturalmente essere.
Va ricordato che il premio “cassiera del mese” giova solo all’azienda, in quanto la cassiera molto probabilmente rimarrà nella medesima posizione, con in più solo un po’ di invidia da parte delle colleghe e il peso di dover difendere il titolo nel periodo successivo
Il problema è che l’esistenza non è un videogame, non siamo personaggi che possono respeccare a seconda della mansione richiesta
DAI DIECIMILA PASSI AI DCA, GIOCANDO
Sembrerebbe la sparata di Zia Concetta quando avverte che si inizia fumando sigarette e si finisce iniettandosi eroina, ma la realtà è un po’ più complessa. Cominciamo con un bel bombardamento di corpi perfetti sfoggiati su tutti i social, conditi da frasi motivazionali troppo spesso simili a “no pain no gain” e troppo raramente del tipo “be a Photoshop master”; facile sentirsi inadeguati e voler cominciare seduta stante a seguire le orme degli influencer. E cosa c’è di meglio, mentre siamo al bagno con lo smartphone, di installare qualche app di fitness per contare i passi? E via, a camminare come pazzi per raggiungere l’obiettivo; il che sarebbe anche positivo, se al primo sgarro – ecco, già lo chiamiamo “sgarro” – il software non ci facesse la paternale, mostrandoci Thomas dell’Illinois che invece ha uno streak di ben centoquarantadue giorni. E dunque via, a emulare Thomas che forse nemmeno esiste, o forse è uno spacciatore che passa le giornate a scappare dalle gang rivali, non si sa, ciò che è certo è il numero centoquarantadue in rosso lampeggiante, che paragonato al nostro tre ci fa sentire piccoli, dato che Thomas sa che il nostro record è un misero tre.
E via, nuovamente a recuperare, domani undicimila e dopodomani dodicimila; chi di passo ferisce, di passo perisce. E per non sbagliare, spariamoci anche l’app che in base a una foto del piatto dice quante calorie stiamo assumendo confrontandole con il “reale” fabbisogno, calcolato in base a età, altezza e peso, metodo preciso quanto un lancio di dadi. E dirà che siamo bravi, che abbiamo vinto, quando stiamo due o trecento calorie sotto il fabbisogno inventato, che equivale a tentare di percorrere cento chilometri in macchina con il carburante necessario per ottanta. Per l’ottantunesimo ci inventeremo qualcosa, adesso l’importante è rientrare nel numerino e far vedere a Thomas di che pasta siam fatti, per poi pubblicare sui social i nostri progressi. E se non dovessero arrivare con facilità? Urge prepararsi una tripla carbonara celandola sotto un letto di rucola per ingannare la fotocamera, oppure cominciare a tagliare davvero le calorie, e tagliare, e giocare, e ancora tagliare, fino a diventare campioni di un gioco a cui non vince nessuno.
Fortunatamente nella maggior parte dei casi nel giro di un paio di settimane esce qualche nuovo hyper casual game a regalarci soddisfazione per aver contato fino a dieci