Hanno incluso tutti tranne te, tranne te, tranne te, tranne te - L'Opinione

Facce da TGM – L’Opinione è lo spazio dedicato alle “columns” di The Games Machine: articoli e visioni su argomenti caldi o fortemente dibattuti che animano le discussioni, anche molto dure, all’interno della redazione di TGM, talvolta con posizioni – davvero o solo in apparenza – antitetiche. L’obiettivo è dar voce ai nostri redattori come specchio del quadro complesso e articolato, talvolta persino controverso, che circonda il mondo dei videogiochi, all’interno di confini dettati da etica e buon gusto ma senza depotenziare il messaggio e, così, la ricerca di confronto su temi sensibili e delicati. Buona lettura!

L’inclusività nei videogiochi è un tema sempre più centrale nello sviluppo e nella cultura del gaming, ma hanno incluso tutti, tranne te. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un grande impegno da parte delle software house per creare videogame sempre più accessibili e rappresentativi di ogni tipo di genere, etnia, orientamento sessuale, cultura e religione. Siamo anche arrivati al punto di sospettare che ci sia una sorta di checklist segreta da spuntare se si vuole arrivare al grande pubblico, inserendo diversità come se si stesse preparando un minestrone buttando in pentola un po’ di tutto, così nessuno si potrà mai lamentare della mancanza dello scalogno o della carota. Volevi anche funghi? Quali funghi? Non dirlo, li aggiungo tutti, per non sbagliare. Non sta a me giudicare se siamo di fronte a una colossale operazione di marketing o alla reale volontà di creare un Mondo Migliore, ciò che conta è come sempre il risultato, e direi che sotto questo aspetto siamo a buon punto: non mi viene in mente un altro medium in cui la diversità sia così promossa e celebrata.

Plot twist: non sono i videogame ad aver ispirato il massacro di Columbine, ma è il massacro di Columbine ad aver ispirato i videogame, come questo mod di Doom.

Da fruitori di videogame, dovremmo essere orgogliosi che la nostra passione sia responsabile di un cambiamento di tale importanza. E soprattutto, i produttori dovrebbero tenerci in enorme considerazione i dato che siamo noi consumatori, con i nostri soldini, a decretare il successo di un gioco permettendogli di diventare un fenomeno di costume e portare il messaggio positivo in ancora più case. La storia di Ellie è diventata una serie TV grazie a noi che per primi ci siamo innamorati di The Last of Us. Nella mia infinita umiltà, non chiedo di essere considerato un eroe per divulgare questa forma d’arte, in verità gioco essenzialmente perché mi piace e senza nobili fini, però non vorrei nemmeno esser preso costantemente a calci. In realtà, i videogiocatori e in generale tutti gli appartenenti al mondo digitale vengono ancora discriminati, nel silenzio delle case produttrici impegnate a rappresentare ogni minoranza ma dimentiche di chi si nutre delle loro opere. Vi pare giusto?

NON FAI SPORT PERCHÉ PERDI TEMPO CON I VIDEOGIOCHI

Lo scorso ottobre Alberto Mantovani, patologo, immunologo e divulgatore scientifico tra i più quotati in Italia in base all’indice di Hirsch – una specie di Pagerank di Google applicato agli scienziati – tuona che l’Italia ha il record di bimbi inattivi che non fanno nessuno sport, e siamo secondi solo alla Spagna per numero di ragazzini in sovrappeso. Non è dato sapere se Alberto sia andato casa per casa armato di bilancia, in stile Elon Musk col lavandino in spalla, a pesar marmocchi; sfortunatamente vuole il caso che lui abbia un buon indice di Hirsch mentre io al massimo compaio nell’indice delle recensioni di TGM, dunque mi vedo costretto a dargli ragione di default.

Occhiaie e sigaretta, a quando occhiaie e joystick?

Il suo strale rimbalza un po’ in tutti i siti di news che a loro volta vengono ripresi dai social, con tutto il bailamme di commenti per opinare il fenomeno. Complici anche le immagini utilizzate da alcune principali testate per introdurre l’articolo, raffiguranti ragazzini annoiati con lo smartphone in mano, due sono le motivazioni che vanno per la maggiore: il costo da sostenere per far praticare ai figli un’attività sportiva e la sedentarietà volontaria dei ragazzi, che preferirebbero rincitrullirsi – in realtà molti utilizzavano il termine che inizia per “rinco” piuttosto che “rinci” – di fronte a smartphone e videogame invece di andare in palestra o al campetto. E la mente viaggia agli anni ‘80, quando nell’immaginario collettivo il gamer era un ragazzo emarginato che, non godendo di vita sociale, si rintanava nella cameretta consolandosi al computer.

Il suo strale rimbalza un po’ in tutti i siti di news che a loro volta vengono ripresi dai social, con tutto il bailamme di commenti per opinare il fenomeno

Vi sono in realtà molte spiegazioni, oltre all’aspetto economico, che possono portare un ragazzo a non praticare sport: forse preferisce studiare il pianoforte; forse nel pomeriggio aiuta i genitori nella pasticceria di famiglia; forse è oberato di compiti; forse gli piacerebbe praticare judo ma nei paraggi c’è solo il calcio, e prendere a pedate una palla solo per non far arrabbiare Mantovani mi suonerebbe eccessivo. Possibile che sia sempre e solo colpa di Rayman e soci? Negli ultimi anni abbiamo visto crollare molti stereotipi, ma il Bambino Sedentario Videodipendente resiste granitico alle onde del tempo, e non c’è goccia che scavi questa roccia. Non sono parole di Mantovani, sia chiaro, ma è l’insindacabile giudizio del Popolo Social, aka le persone che incontriamo tutti i giorni in autobus, al supermercato, al cinema; il che se vogliamo è pure peggio, perché di Mantovani ce n’è uno, e questi sono una legione. E la discriminazione non si limita all’ambito sportivo.

COLUMBINE? LA PUNTA DELL’ICEBERG

Spesso quando si vuol citare un esempio di criminalizzazione insensata dei videogame ci si riferisce al massacro di Columbine. I videogiochi che istigano alla violenza sono come le voci che si sentono nella testa. Avete mai sentito una persona affermare che una Voce Dentro la Testa gli ha ordinato di cercarsi un lavoro o di smettere di fumare? No, le Voci Dentro la Testa ordinano solo nefandezze: uccidi tua moglie, urina nella flebo della nonna e così via. Lo stesso accade con i videogame. Avete notizia di qualcuno che abbia mai incolpato Cooking Mama perché hanno aperto una tavola calda sotto casa sua? No, ma uccidi qualcuno e se potranno tireranno in ballo GTA. Questo discorso è trito e ritrito, ma rappresenta la punta dell’iceberg, poiché videogame e tecnologia sono stigmatizzati in quasi tutti i campi della nostra esistenza.

Questa scena è diventata famosa grazie a noi gamer. You’re welcome.

Se un ragazzo non studia perché esce con la fidanzata, si giustifica con “è l’età”. Se non studia perché deve prender parte al raid di gilda, è un debosciato e bisogna intervenire. In entrambi i casi, il quattro in storia è assicurato, ma ci sono brutti voti sui quali si può soprassedere. Il bambino al ristorante che guarda i cartoni animati sul tablet è ritenuto più abbandonato a sé stesso del piccolo seduto all’altro tavolo intento a colorare un album, ma è chiaro che entrambi sono stati momentaneamente parcheggiati e tenuti occupati mentre papà e mamma tentano di cenare tranquilli parlando del più e del meno, controllando di tanto in tanto i match sull’ultima app di incontri fedifraghi. Un ragazzo che si porta un libro in spiaggia è un intellettuale e si vede che farà strada, chi arriva con la Switch è un caso perduto incapace persino di godersi una giornata al mare. Il de gustibus non est disputandum si applica a patto che non ci siano diavolerie elettroniche nei paraggi.

JAKE PAUL, LO YOUTUBER

Un’ulteriore prova che il mondo dell’intrattenimento digitale gode di scarsa reputazione ci è stata fornita in occasione dell’incontro/esibizione/recita/comevipare tra Mike Tyson e Jake Paul. Che il palmares del primo sia decisamente più pingue rispetto a quello dell’avversario è fuori di ogni discussione, e probabilmente saremo tutti d’accordo anche nell’affermare che l’Iron Mike al massimo della forma avrebbe tirato il collo a El Gallo nel giro di una manciata di secondi. Paul però è stato definito un pagliaccio, e l’incontro una farsa, anche perché era uno Youtuber. Cosa ci fa uno Youtuber sul ring? Non dovrebbe stare in giro a rincitrullirsi riprendendo stupidaggini con la sua action cam invece di cimentarsi in attività per grandi?

Wargames, un film da recuperare.

Che paradosso: i ragazzi non fanno sport perché si rincitrulliscono con videogame e social, e quando arriva uno che dimostra di saper coniugare entrambe le attività – non sarà il nuovo Ali, ma è un bestione in grado di mettere in un mare di guai un bel po’ di detrattori – e magari invogliare i suoi fan a emularlo, ecco che viene ridicolizzato. Quello “Youtuber” è stato usato in forma dispregiativa, gettando fango su un format che non è certo nato quest’anno, o ci siam dimenticati Floyd Mayweather Jr. contro Conor McGregor o Muhammad Ali contro Antonio Inoki? E sappiate che la lista continua. Influencer? Fancazzista. Tiktoker? Fancazzista. Cosplayer? Fancazzista col décolleté in bella vista. Urge darci un taglio.

SOFTWARE HOUSE, CI SIETE?

Sarebbe quindi ora che le software house scendessero in campo a difendere noi utenti, per mostrare al mondo che lo stereotipo del nerd imbranato è offensivo, poco inclusivo e definitivamente da cestinare. YouTube potrebbe creare un documentario mostrando quanto è complesso creare un canale di successo e quante competenze ci vogliano per mantenerlo tale. Deve pensarci lui però, perché un qualsiasi MrBeast che parli di sé stesso suonerà sempre come auto promozione. Nintendo, che nei tribunali è abbastanza di casa quando le interessa, potrebbe spedire qualche letterina a chi diffama i suoi clienti. Perché non ripartire da WarGames, classe 1983, nel quale un appassionato di videogame salva il mondo dalla terza guerra mondiale? Anche uno di noi può diventare un eroe, non necessariamente in seguito alla puntura di un ragno radioattivo. Voglio vedere pubblicità di archeologi di successo che dopo aver recuperato chissà quale reliquia invece di brindare con un amaro giocano a Zelda. Voglio vedere attori famosi mostrare orgogliosi il pad così come James Dean appariva fiero con la sua sigaretta. Proporrò la sigla NGTSYC+ a rappresentare Nerd, Gamer, Techie, Secchioni, Youtuber, Cosplayer più tutti quelli che non mi vengono in mente in questo momento, e piantare una grana incredibile a chiunque si permetterà di mancarci di rispetto, già che noi abbiamo dimostrato di saper accogliere tutti a braccia aperte.

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