Anche quest’anno i Game Awards di Geoff hanno provato a raccontare l’annata videoludica in premi e (soprattutto) annunci di giochi futuri, nel poco spazio tra l’ego del presentatore e gli spot pubblicitari. Dieci anni di un evento che volenti o nolenti è riuscito a ritagliarsi il suo spazio e di fatto diventare la notte degli Oscar del videogioco. Dieci anni effettivamente celebrati con una serata un po’ al di sopra dell’evento medio di Keighley, per quanto molto meno entusiasmante di quanto lui stesso stia cercando di far passare, come al solito. Del resto se chiedete com’è il vino all’oste… Però i Game Awards di quest’anno hanno sollevato alcuni temi che ciclicamente ritornano a infestare il discorso attorno ai videogiochi, riuscendo di fatto a fotografare non tanto l’industria a questo giro, ma il pubblico stesso.
In primis penso sia il caso di concentrarsi sul vincitore del premio più ambito (e non solo), quell’Astro Bot che è stato un po’ il mattatore di queste premiazioni vincendo sia il gioco dell’anno sia la miglior direction, come anche altri due premi importanti come miglior action/adventure e miglior gioco per famiglie. Forse quest’ultima categoria – che continua ad avere un nome orrendo – è per certi versi la più significativa: il regno di Nintendo in cui trionfa un gioco che è di fatto la cosa che più si è avvicinata a un Mario 3D apocrifo. Astro Bot è senza dubbio uno dei giochi più belli a cui ho giocato quest’anno. È un platform quadratissimo che stupisce per tutta la sua durata e si fa giocare con un sorriso costantemente stampato sul viso.
Astro Bot ha anche una bella storia produttiva e rappresenta la vittoria di uno studio piccolo e di una produzione a budget ridotto con un genere non esattamente mainstream. Ho trovato particolarmente bello il discorso di Swen Vincke di Larian nell’introdurre il premio, che poneva l’accento su come i videogiochi migliori siano quelli su cui si è lavorato meglio, senza urgenze, senza seguire logiche di mercato, dando il tempo e il modo alle persone di sviluppare con passione. Ma non solo, l’ho trovato anche ironicamente azzeccato per il gioco che inconsciamente stava per premiare, tra una parte due di un remake e una grossa espansione di un grande successo.
UN ROBOTTINO PER BAMBINI
Il pubblico però non è d’accordo. Perché su dai, è solo un gioco per bambini. Non scherziamo, andava premiato Wukong palesemente, che quello sì è un gioco per veri gamer. Al massimo Metaphor o Elden Ring potevo capirlo, ma non questo giochino del robot, siamo seri. Quindi giù di review bombing. No, non ad Astro Bot, a Baldur’s Gate 3, perché diretto da Vincke che ha la colpa di avere aperto la busta e letto il nome del vincitore. Un ragionamento perfettamente lineare.
I momenti interessanti di questi Game Awards non mancano, come ad esempio il premio a miglior gioco di debutto indipendente assegnato a Balatro (che ha vinto anche miglior gioco indipendente). Ritirano il premio due delegati dello sviluppatore (anonimo) LocalThunk che parlano per lui e invitano il pubblico a sperimentare i tanti altri giochi indipendenti che continuamente arrivano sul mercato e addirittura nominano Arco, uscito lo scorso agosto, a cui il dev di Balatro potendo assegnerebbe il premio.
I momenti interessanti di questi Game Awards non mancano
ANNUNCI DIVISIVI
CD Projekt ha subito un enorme ricambio di figure professionali in questi quasi dieci anni che l’hanno resa praticamente un team diverso durante il difficile processo di trasformazione da software house di nicchia a peso massimo. Il ricambio è avvenuto sia prima che durante che dopo il disastroso lancio di Cyberpunk 2077, gioco su cui tutti avevamo altissime aspettative e solo dopo anni dall’uscita (e solo su console di nuova generazione) è riuscito a diventare un’esperienza appagante. Tra l’altro restando comunque molto lontano dal gioco che era stato promesso durante lo sviluppo e molto lontano da un gioco di ruolo interessante, funzionando molto meglio come immersive sim.
L’idea che un team di fatto stravolto torni a lavorare sulla sua saga più di successo per rientrare in una zona di conforto commerciale la trovo molto preoccupante, anche perché mi è parso tutto abbastanza affrettato. Inoltre il fatto che ludicamente non si sia visto né detto nulla di rilevante mi sembra un’ulteriore motivo di preoccupazione. In quale direzione vuole andare questo The Witcher 4? Un more of the same del 3 oggi risulterebbe abbastanza obsoleto. Ma ovviamente non è di questo che si preoccupa il pubblico. Il problema è chiaramente Ciri, accusata di non essere abbastanza bella. E il problema è ovviamente non interpretare un personaggio maschile, cosa che impedirà al giocatore medio di intrattenersi sessualmente con tutte le donne presenti in game. Giustamente, rompe l’immersione, mi sembra ovvio.
I VERI PROBLEMI DEL VIDEOGIOCATORE MEDIO
Infine, l’ultima polemica riguarda l’ultimo trailer della serata, che annuncia la nuova IP su cui sta lavorando Naughty Dog già da diversi anni. Intergalactic: The Heretic Prophet si è mostrato per circa quattro minuti di trailer, svelando un immaginario molto distante da quanto fatto finora dal team californiano: un retrofuturo anni ‘80 denso di riferimenti. La software house dal mio punto di vista ha una credibilità enorme, dopo aver confezionato in The Last of Us Parte 2 un gioco eccezionale e al tempo stesso di massa. Ha anche già dimostrato una particolare sensibilità verso certe tematiche, che danno tanto fastidio a delle fette di pubblico, con il coming out di Ellie già dieci anni fa e la rappresentazione di personaggi “non conformi”.
La software house dal mio punto di vista ha una credibilità enorme
Questi Game Awards fotografano una volta di più un pubblico chiuso, misogino e (nemmeno tanto) vagamente omofobo. Un pubblico a cui ormai siamo purtroppo abituati, e che non è composto solamente da qualche troll su internet senza nome che alimenta la polemica. Mi sono trovato in chat di gruppo con persone normalissime che si chiedevano ingenuamente “perché l’hanno fatta così brutta?” parlando di Ciri o lamentavano che Naughty Dog si era fissata con un certo tipo di rappresentazione o ironizzavano sulla vittoria di Astro Bot. Mi sono trovato in difficoltà nel cercare di far passare una narrazione diversa da quella che va per la maggiore.
Questi Game Awards fotografano una volta di più un pubblico chiuso, misogino e (nemmeno tanto) vagamente omofobo