Ti seguo benissimo, e devo dirti che la tua analisi è piuttosto lucida. Ti dico come la vedo io, a ruota libera:
Hello Games come anomalia virtuosa: NMS è partito con un disastro mediatico clamoroso, ma l’hanno trasformato in un caso scuola. È diventato un titolo “evergreen”, uno di quei giochi che non muore mai, proprio perché non hanno inseguito l’uscita compulsiva di sequel o di spin-off, ma hanno capitalizzato sul tempo, sulla community e su aggiornamenti che hanno trasformato il titolo in qualcosa di molto più grande di ciò che era. E il bello è che, senza far uscire “nulla di nuovo” per 9 anni, hanno fatto parlare di sé più di tante major.
Le major in affanno: quello che dici è verissimo. Colossi come EA, Ubisoft, Sega/Creative Assembly e compagnia devono garantire trimestri sempre verdi, e questo significa riempire il mercato di prodotti, spesso incompleti o raffazzonati. È la stessa logica di Netflix: quantità prima di qualità, per nutrire il bilancio. Ma questa corsa alla produzione seriale li rende fragili, perché basta un paio di flop e i conti crollano.
Il cortocircuito dell’industria: negli anni ’90 e 2000 uno studio medio poteva sopravvivere facendo uscire un gioco ogni 2-3 anni. Oggi la struttura è elefantiaca: team da migliaia di persone, budget da centinaia di milioni. Ogni titolo “tripla A” deve vendere come un blockbuster cinematografico, ma non tutti possono diventare GTA, Zelda o Elden Ring. Quindi si creano montagne di titoli che non hanno anima, solo per “tenere acceso il motore”.
Hello Games come simbolo di sostenibilità: loro invece sono un esempio di come meno sia di più. Piccolo team, costi più contenuti, libertà creativa. Non devono giustificare ogni scelta con un ROI trimestrale, e quindi possono permettersi di lavorare su un gioco per 9 anni senza andare sotto. È quasi un modello “artigianale” in un mercato industriale.
Io credo che tu abbia centrato il punto: c’è troppa gente, troppa sovrapproduzione, troppa dipendenza dagli investitori. E il rischio è proprio quello che hai scritto: che i colossi collassino sotto il loro stesso peso, lasciando spazio ai “piccoli” che lavorano in modo più sostenibile e con una visione più a lungo termine.