Nei giorni immediatamente seguenti all’uscita dell’ottimo Return to Monkey Island, vale la pena riflettere su alcuni titoli che hanno cercato di interpretare diversamente il genere delle avventure grafiche, sia stilisticamente che meccanicamente.
Facciamo che ho scritto un sufficientemente lungo preambolo in cui parlo delle avventure grafiche come di un genere pionieristico. Facciamo pure che ho parlato di Monkey Island, del ritorno della creatura di Gilbert proprio in questi giorni, di come il genere sia rimasto tutto sommato inalterato nonostante gli opportuni aggiornamenti a una versatilità più adeguata ai tempi, come il coccodrillo che anni di evoluzione hanno affinato ma non stravolto. E, infine, facciamo pure che abbiamo stabilito un tacito accordo in base al quale non sindacheremo sulle caratteristiche tipo di un’avventura grafica – del resto, esiste un più evidente soliloquio del discutere di cosa è un genere e di cosa vi sia contenuto? – e ci facciamo andare bene l’atomistica definizione di “quei giochi in cui si raccolgono oggetti, si dialoga e poco altro”. E arriviamo direttamente al corpo centrale di questo scanzonato articolo tripartito: tre avventure grafiche che si sentivano un po’ strette nella scagliosa epidermide bitorzoluta del coccodrillo e ciascuna a modo suo ha provato a esplorare un percorso evoluzionistico separato.
Tendershoot è uno sviluppatore indie ai più sconosciuto, ma se vi dico che è anche quello-che-ha-fatto Hypnospace Outlaw, forse le antenne di qualche svogliato lettore di questo articolo sobbalzeranno. Dropsy è l’opera precedente, ed è il racconto di un grosso e raccapricciante clown dal cuore tenero: così tenero che non può fare a meno di abbracciare chiunque e qualsiasi cosa (intendo: qualsiasi cosa), baciare persone e animali, e cercare di risolvere i problemi che affliggono gli abitanti di questa sperduta cittadina americana, in qualche modo tutti avvinti a una verità retrostante gli eventi di gioco.
L’aspetto ludico eredita questo setting e lo incardina nei propri sistemi. Su una base che è quella che possiamo tutti riconoscere – raccogliere oggetti, trovarne un’utilità, parlare con i personaggi, risolvere puzzle – Dropsy ci aggiunge il suo. Lo scopo del nostro clown è primariamente quello di farsi accettare; o, ancor meglio, di redimersi per qualcosa situato in un passato fumoso e angosciante. Le azioni che intraprenderemo nel corso del gioco hanno tutte il fine precipuo di affrancarsi da questa stigma sociale e di guadagnare la fiducia del prossimo. Pertanto, il pingue clown, nonostante uno scoglio che separa lo stesso e il resto della contrada (scoglio, vedremo, anche comunicativo), compirà tutto ciò che è possibile per rientrare nel consorzio umano.
E tutto questo ci porta all’elemento ludico. Ci è data facoltà come giocatori di poter abbracciare: questo azione, oltre a contribuire al flavour di gioco, può essere la chiave per avanzare nel plot. Possiamo acquisire dei companion nel corso dell’avventura, convinti mediante le “buone azioni”: questi componenti del party sono cruciali al punto da scandire le tappe narrative dell’opera, e garantiscono possibilità ludiche prima inattingibili, “aprendo”, ad esempio, nuove sezioni della mappa. Ecco, la mappa: è open world, la cittadina è quasi del tutto priva di limiti e la risoluzione dei puzzle è scardinata, grossomodo, da un pattern prestabilito; il videogioco indica il prossimo obiettivo, ma non costringe il giocatore a seguire un cammino lineare. Del resto questo margine di libertà è amplificato da un altro aspetto caratterizzante Dropsy: è un’avventura grafica senza linee di testo.
FRA LE VARIE PARTICOLARITÀ DI DROPSY, C’È ANCHE QUELLA DI ESSERE UN’AVVENTURA SENZA LINEE DI TESTO
Dall’altra parte del fiume, NORCO percorre una strada diversa rispetto a Dropsy. Se quest’ultimo è saturo, wholesome, privo di linguaggio verbale, il videogioco del collettivo Geography of Robots è uggioso, decadente, le sue storie riempiono lo schermo. Nacque originariamente come un documentario artistico teso a catturare con un colpo d’occhio la skyline e le atmosfere di quella zona intorno New Orleans, chiamata proprio NORCO (acronimo per New Orleans Refining Company), incastonata fra gli acquitrini del bayoux e le ciminiere delle raffinerie che sembrano esistere da sempre, ancor prima della venuta dell’uomo. Natura eterna e artificialità ingombrante, una riverenza tribale verso quelle acque limacciose e misteriose, e un’insopprimibile tensione ad evadere, magari verso il cielo, sfruttando proprio le prerogative della tecnica umana.
guerra, povertà, incomprensioni familiari sono solo alcuni dei temi di NORCO
Ed è iniziando da questo aspetto che NORCO palesa la sua volontà di sincretismo ludico. I pensieri della nostra Kay sono rappresentati visivamente con una specie di “diagramma delle idee”, non dissimile da quello già utilizzato da Ice-Pick Lodge in Pathologic 2. Persone e fatti sono icone, legate da una linea ad altre persone e fatti, a formare una ragnatela di relazioni, deduzioni e induzioni, che si inspessisce e chiarisce man mano che si avanza nella storia.
NORCO INCLUDE ANCHE COMBATTIMENTI IN STILE JRPG
In Beautiful Desolation, l’humus culturale sudafricano si respira in ogni pixel
Sì oggetti da raccogliere e combinare; sì dialoghi a cui prestarsi; sì pixel hunting. Ma anche una malcelata presenza di elementi da gioco di ruolo, che si evidenziano specialmente nei punti nodali di avanzamento della trama, quando il gioco costringerà l’utente a prendere decisioni; decisioni che, come da prassi nelle esperienze che vogliono emulare il reale, porteranno a conseguenze negative per qualcuno e positive per altri. Scelte che modificheranno in qualche modo il prosieguo della partita e che indirettamente incideranno su un altro degli elementi di discontinuità con il genere: un’arena di combattimento in cui selezioneremo le unità da far scendere in campo, ciascuna con propri punti difesa e specifici attacchi – per intenderci, un incrocio fra un card game e Pokémon.
il viaggio dell’eroe raccontato in Beautiful Desolation ha quasi il sapore di un safari, dislocato sull’intera superficie del pianeta e condotto per mezzo di una navicella spaziale
Allora, anche Beautiful Desolation, come Dropsy e NORCO, può essere visto come un esempio di ridiscussione del paradigma. Tre videogiochi che, ciascuno a modo suo, hanno dato fondo al bagaglio culturale, agli esempi illustri del passato, all’adesione ad un modo di veicolare la propria narrativa, senza per questo abdicare alla propria vis creativa, nel tentativo di posizionare il proprio minuscolo mattoncino alla perpetua edificazione collettiva che è il videogame.
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.