Prima volta ad Arkham: fra le celle dell'Asylum

La saga di Rocksteady Studios è un pezzo di storia dei videogiochi, ma che effetto fa a chi vi si approccia per la prima volta con oltre un decennio di ritardo? In questa serie di articoli cercherò di raccontare la mia personale esperienza, partendo dal capostipite Batman: Arkham Asylum. Nota per i lettori: ci sarà una discreta quantità di spoiler. Ma davvero c’è qualcuno che come me non ha mai finito questi giochi?

Batman Arkham Asylum

Probabilmente per la maggior parte di voi il titolo più corretto sarebbe “Ritorno ad Arkham”, ma non è il mio caso. A mia parziale discolpa posso dire di aver provato a giocare ad Arkham Asylum almeno due o tre volte, ma mi sono sempre fermato dopo poche ore. Durante il 2022, dopo aver visto e apprezzato tantissimo The Batman di Matt Reeves, ho deciso di impegnarmi seriamente e ho recuperato l’intera trilogia di Rocksteady. Parlo di trilogia non a caso: per adesso ho scelto di ignorare Arkham Origins e i vari spin-off VR e su piattaforme mobili. Dovete capirmi, c’era la Batmobile parcheggiata che mi aspettava con gli occhi dolci.

INTO THE ARKHAMVERSE

Batman: Arkham Asylum arriva nel 2009, nel pieno del successo della trilogia di Nolan, eppure fa una scelta coraggiosa: non solo non è un tie-in dei film, ma ne rifiuta completamente l’immaginario, andando invece a ispirarsi ai fumetti e alle serie animate del DC Animated Universe, da cui eredita in primo luogo il doppiatore dell’Uomo Pipistrello, il mitico Kevin Conroy (lacrimuccia in arrivo). A fare da contraltare al Cavaliere Oscuro c’è un Joker interpretato magistralmente da Mark Hamill, pure lui arrivato direttamente dall’universo animato. Ho percepito anche un pizzico del Batman di Tim Burton, le cui architetture e atmosfere gotiche fanno spesso e volentieri capolino durante l’esplorazione del manicomio.

Quella di Arkham Asylum non è una storia delle origini, ma presenta un Batman fatto e finito, che agisce in un universo già ben delineato. Certo, gli avversari principali alla fine sono i personaggi più famosi, ma chi non ha grosse conoscenze della mitologia del personaggio si perderà sicuramente la tonnellata di citazioni presenti nel gioco.

Quella di Arkham Asylum non è una storia delle origini, ma presenta un Batman fatto e finito

Diversamente dalle opere cinematografiche, che si sono sempre focalizzate su un numero limitato di antagonisti, Rocksteady non si è fatta problemi a buttare dentro alla storia una tonnellata di cattivoni usando l’artificio narrativo del manicomio dove vengono “casualmente” ospitati quasi tutti i supercriminali di Gotham nello stesso momento. Questa soluzione andrà poi a ripresentarsi nei capitoli successivi, portando a delle trame più di quantità che di qualità e a uno sviluppo dei personaggi che, escludendo forse il timido tentativo di Arkham Knight, risulta quasi nullo. Lo stesso Batman parla poco e sembra sempre distante dalle vicende, anche quando dovrebbero coinvolgerlo emotivamente… ed è pure un po’ stronzo se proprio vogliamo dire le cose come stanno. È voluto? Probabilmente sì, ma non mi sarebbe dispiaciuto un protagonista più umano.

Mi piace considerare Arkham Asylum un prodotto d’altri tempi, ma con un’accezione assolutamente positiva. Oggi è davvero difficile trovare un gioco ad alto budget così compatto e focalizzato. Siamo abituati ai giochi moderni, dove si vanno spesso a infilare quante più componenti possibili e si cerca di allungare il brodo, e così il lavoro di Rocksteady sembra quasi vuoto. Possiamo individuare tre elementi principali in Asylum: i combattimenti, lo stealth e l’esplorazione. Solitamente non è così facile scindere un gioco nelle sue componenti di base, ma in questo caso è il gioco stesso che lo fa, dividendo le varie sezioni in maniera piuttosto netta e schematica.

L’INCUBO DEGLI ORTOPEDICI

Dopo una decina di minuti di preambolo giocabile, Arkham Asylum ci butta subito nel bel mezzo dell’azione, con Joker pronto a mandarci contro i suoi sgherri. Del Freeflow si è parlato in lungo e in largo con accezioni sia positive che negative, per cui non mi dilungherò troppo.

Il sistema di combattimento è pensato per essere intuitivo e adatto a un pubblico il più ampio possibile

Il sistema di combattimento ideato da Rocksteady è in primo luogo pensato per essere intuitivo e adatto a un pubblico il più ampio possibile, per cui il numero di comandi da memorizzare è limitato e il loro utilizzo molto diretto. A essere premiata è soprattutto la capacità di mantenere un buon ritmo alternando le varie mosse (attacco, contrattacco, stordimento e schivata) senza farsi colpire per aumentare il moltiplicatore e sbloccare una delle poche mosse speciali, come il lancio o il takedown. La lotta si trasforma così in una spettacolare danza a base di botte, talmente efficace dal punto di vista visivo che pure The Batman ha cercato ispirazione in questo sistema.

Batman Arkham Asylum

Il rovescio della medaglia sta nella scarsa precisione dei movimenti, dovuta a un sistema di animazioni tanto vario quanto erratico, che a volte ci porta in posizioni dove non vorremmo essere. Nel corso degli anni questa problematica non è mai stata davvero risolta, ma lo sviluppatore è sempre stato abbastanza intelligente da non mettere mai il giocatore in situazioni che la rendessero insostenibile… a parte una sezione di uno dei DLC di Arkham Knight, che mi ha fatto sbroccare come poche altre volte nella mia vita. Ma ci arriveremo.

PIPISTRELLI E GARGOYLE

Terminato il primo scontro, Batman si lancia subito all’inseguimento del suo arcinemico, ma si trova ben presto costretto ad affrontare un altro dei suoi avversari: il serial killer Zsasz si è infatti barricato in una stanza e ha preso in ostaggio una guardia. Questa situazione permette al gioco di iniziare a introdurre le meccaniche stealth. Facciamo così conoscenza con le statue dei gargoyle, che permettono all’Uomo Pipistrello di rimanere nascosto in una posizione sopraelevata prima di colpire gli ignari avversari con un calcio volante ben piazzato. Meno male che i progettisti di Arkham hanno pensato anche a questa evenienza. Proseguendo nell’avventura le situazioni stealth andranno a complicarsi, con zone più grandi e articolate e con un numero sempre maggiore di sgherri, ma i concetti di base non cambiano più di tanto: si sfruttano gargoyle e condotti d’areazione per muoversi nella stanza e si fanno fuori i nemici utilizzando takedown furtivi o gadget come il batarang e il gel esplosivo, perfetto per organizzare delle deliziose imboscate. Qualche variazione sul tema comunque c’è: verso la fine, per esempio, gli scagnozzi di Joker mettono degli esplosivi sui gargoyle, costringendo Batman a usarli una singola volta prima che vadano in mille pezzi, oppure in un’altra situazione ci verrà richiesto di eliminare un nemico specifico prima di poterci dedicare agli altri.

Batman Arkham AsylumMesso in sicurezza Zsasz, Batman riparte all’inseguimento di Joker, salvo dover fare una nuova deviazione per salvare il Commissario Gordon, rapito da una guardia corrotta. Qui entra in gioco l’altra meccanica che, insieme al sistema di combattimento, ha fatto scuola: la modalità detective. Questa particolare visuale evidenzia una quantità pressoché infinita di elementi d’interesse: nemici, gargoyle, muri abbattibili col gel esplosivo, cavi interrati da seguire… la lista potrebbe andare avanti per pagine e pagine. Non ha torto chi afferma che negli Arkham si passa fin troppo tempo in questa modalità, fondamentale in pressoché qualunque situazione, anche nello stealth: non solo evidenzia i nemici, ma ci permette anche di scoprire se sono armati e di capire qual è il loro livello di paura, che ne influenza il comportamento (uno sgherro leggermente teso tende a guardarsi di più alle spalle, mentre uno preso dal panico è molto più semplice da eliminare).

IL MIO NOME È NIGMA, E-NIGMA

Superato uno stanzone piuttosto articolato da liberare senza farsi scoprire ecco che ci viene presentato uno dei personaggi più amati e allo stesso tempo odiati della saga di Rocksteady: Edward Nigma, per gli amici l’Enigmista. Qui inizia prepotentemente a uscire la componente esplorativa del gioco, perché questo simpatico buontempone ha letteralmente infarcito Arkham di sfide da risolvere. Come ci sia riuscito concretamente rimane un mistero, ma sono dettagli. Non sono mai stato grande fan dell’abuso dei collezionabili, perciò non mi faccio problemi a sottolineare come nel corso degli anni la saga abbia un po’ troppo calcato la mano su questo aspetto. Devo però ammettere che in Asylum sono stati inseriti in maniera tutto sommato intelligente: i trofei dell’Enigmista e i denti di Joker sono numerosi e non aggiungono niente all’ambientazione, ma sono ottimi per stimolare l’esplorazione e l’utilizzo dei gadget, mentre gli indovinelli non si rivelano quasi mai astrusi e sono una fonte pressoché infinita di citazioni all’universo dell’Uomo Pipistrello; infine non manca una vagonata di registrazioni da ascoltare per scoprire vari retroscena dei personaggi, tra le quali spiccano quelle dello Spirito di Arkham, che sono le più difficili da trovare e costituiscono una vera e propria storia nella storia, con tanto di colpo di scena finale.

il giocatore scopre che quello a cui sta giocando non è un semplice action/stealth lineare, ma un vero e proprio metroidvania

La vena esplorativa di Arkham Asylum esplode una volta abbandonata l’area di terapia intensiva, perché in quel momento il giocatore scopre che quello a cui sta giocando non è un semplice action/stealth lineare, ma un vero e proprio metroidvania. L’avanzamento, come è tradizione del genere, è lineare e vincolato allo sblocco dei vari gadget, ma si ritorna spesso e volentieri nelle aree già visitate, sia per proseguire con la trama sia per completare qualche sfida dell’Enigmista. Il backtracking non pesa perché la mappa è abbastanza piccola e il manicomio cambia progressivamente aspetto, diventando via via più pericoloso: se all’inizio diverse zone sono abbastanza sicure e pattugliate dalle guardie della struttura, andando avanti queste spariranno e dovremo vedercela con un numero sempre maggiore di avversari, tra cui pericolosissimi cecchini appostati sulle torri di guardia. Questo dinamismo coinvolge addirittura l’aspetto di Batman, che diventa sempre più malandato: il mantello si strappa, il costume si danneggia, spuntano qui e lì delle ferite, addirittura c’è la barba che cresce; tutto ciò rimane legato alla prosecuzione della narrazione (non c’è un sistema realmente dinamico come quello di Read Dead Redemption 2), ma sono dettagli che ho apprezzato tantissimo e che sono indicativi dell’amore e della passione con cui il gioco è stato realizzato.

COME TI PICCHIO IL SUPERCATTIVO

Avevamo lasciato Batman alla ricerca di Gordon, e vorrei riprendere un attimo il discorso. Le tracce del commissario ci portano al centro medico, che è il luogo dove si svolgono le prime due vere boss fight del gioco. I combattimenti contro i boss sono sempre stati croce e delizia degli Arkham, con una malsana alternanza tra idee geniali e momenti discutibili. La saga di Rocksteady non ha quasi mai brillato nei combattimenti diretti, quelli dove si affronta il villain di turno a muso duro, mentre è stata spesso originale quando si trattava di rimescolare un po’ le carte. Questo dualismo lo troviamo per la prima volta proprio nel centro medico.

Il primo avversario è lo Spaventapasseri, che avvelena Batman e lo costringe ad affrontare le sue paure in una serie di situazioni sempre più oniriche, che culminano nella prima delle celebri sezioni dove si deve attraversare un’ambientazione quasi bidimensionale ed evitare di farsi vedere da una versione gigante di Crane. Durante i successivi incontri le cose si fanno sempre più strambe, fino ad arrivare a un momento di rottura della quarta parete totalmente inaspettato; è un peccato che lo scontro finale si risolva in una semplice scazzottata con degli scheletri che non sono altro che reskin di nemici normali. La seconda boss fight del centro medico è contro Bane, che sembra preso di peso dal film Batman & Robin. Lo scontro si rivela molto meno brillante del precedente: una volta capita la meccanica – che tra l’altro viene riciclata diverse volte andando avanti – è davvero troppo facile avere la meglio; l’unica soddisfazione deriva dalla scena finale del combattimento, nella quale Bataman sfrutta la Batmobile per scagliare in mare l’avversario, mettendolo definitivamente ko.

I combattimenti contro i boss sono sempre stati croce e delizia degli Arkham

Un’altra boss fight non particolarmente apprezzata (eufemismo) è l’ultima, quella contro Joker in versione mostruosa. Non solo il suo aspetto è ai limiti del ridicolo (eufemismo), ma non è neanche un vero scontro contro di lui, visto che apparentemente ha deciso di potenziarsi col Titan solo per mandarci contro i suoi sottoposti; e poi dopo tutti questi mesi non ho ancora deciso se devo considerare la scena del pugno esplosivo un insulto all’intelligenza o un momento epico. Per controbilanciare la bruttezza del boss finale cito la sezione al cardiopalma ambientata nelle fogne abitate da Killer Croc, con il povero Batman che passa improvvisamente da predatore a preda. Niente di astruso ovviamente, bisogna semplicemente attraversare delle piattaforme galleggianti cercando di fare silenzio e di orientarsi nella labirintica (non troppo) ambientazione, possibilmente schivando gli attacchi improvvisi del lucertolone. Nella formula di Arkham Asylum un pizzico di survival horror alla Alien ci sta benissimo; peccato che questo avversario apparentemente quasi invincibile venga sconfitto in maniera molto banale in Arkham Knight.

Batman Arkham Asylum

Concludo con due aspetti che in Asylum non sono molto rilevanti, ma lo diventeranno molto di più nei seguiti. Il primo è il rampino, il cui ruolo è qui limitato alle poche zone esterne e a qualche fase di scalata molto guidata. Le mappe aperte degli altri capitoli permetteranno invece al giocatore di sbizzarrirsi e di sfruttare le capacità di planata del Cavaliere Oscuro. Il secondo è la componente ruolistica, nel cui ambito il capostipite fa il minimo indispensabile: le abilità sbloccabili sono una manciata e perlopiù passive, per cui non modificano molto il gameplay. Di tutt’altra pasta sono gli altri giochi, fino ad arrivare al complesso albero di Arkham Knight, così ricco da richiedere più di una partita per essere completato.

Sicuramente l’esaltazione derivante dalla visione di The Batman mi ha spronato a dedicarmi seriamente ad Arkham Asylum, ma da sola non sarebbe mai bastata a sostenermi per così tante ore, tanto più che ho deciso di recuperare i seguiti immediatamente. La questione è che il capostipite della trilogia è uno di quei giochi che partono a fari spenti, ma ricompensano enormemente chi riesce ad andare oltre a un inizio lento. Quello che poi mi davvero ha colpito è il bilanciamento sopraffino delle varie componenti, che dà vita a un prodotto quadrato, capace di fare tutto bene senza mai strafare. La sua compattezza ha un che di rassicurante. Sicuramente Arkham City e Arkham Knight hanno ampliato e raffinato la formula base, ma nessuno dei due è riuscito a raggiungere un amalgama così azzeccato. Ne riparliamo tra qualche settimana.


Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.

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