Paratopic, dello studio di sviluppo Arbitrary Metric, è un’interessante rielaborazione in salsa weird ed eerie del genere walking sim.
«Che cos’è avvenuto per originare quelle rovine, quell’assenza? Che genere di entità è coinvolta? Che tipo di essere ha prodotto quel grido inquietante?».
Si apre così l’opera del compianto Mark Fisher, The Weird and the Eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo, pubblicata in Italia da minimum fax.
«Il tratto comune di weird ed eerie è un’ossessione per ciò che è strano. Strano, non raccapricciante. Il fascino di weird e eerie non è sintetizzabile nell’idea di ricaviamo piacere da ciò che ci spaventa. Ha piuttosto a che vedere con l’attrazione per lo strano, per ciò che sta al di là della percezione, della conoscenza e dell’esperienza comune». (p. 8)
Il caso vuole che mi sia imbattuto in questo libro poco prima di aver portato a termine Paratopic, un’esperienza breve ma intensa che ha molti tratti in comune con le elucubrazioni del filosofo britannico. Paratopic è contraddistinto da una narrazione fumosa e all’apparenza imperscrutabile, sorretta da un montaggio alienante che distorce la cognizione spazio-temporale del giocatore. Prima di addentrarci nel discorso vero e proprio, è bene cercare di spiegare brevemente di cosa parla Paratopic.
La storia si svolge in un mondo dove le VHS sembrano avere effetti sulla psiche e sul corpo di chi le guarda. Il racconto ruota attorno a tre personaggi: un assassino, un contrabbandiere ed un birdwatcher. Data la natura del gioco – e data la sua breve durata – eviterò di fornire ulteriori dettagli su un’opera che sembra puntare più sull’esperienza del giocatore che sull’esperienza di gioco.
IL WEIRD
La natura weird di Paratopic si manifesta con l’utilizzo di colori acidi, modelli poligonali low-res ed un doppiaggio sconclusionato. La sensazione di trovarci in un mondo governato dal caos ci accompagna sin dai primi minuti di gioco: veniamo coinvolti in conversazioni in corso, come lo spettatore che corre a prendere posto in sala a film già iniziato.
La sensazione di trovarci in un mondo governato dal caos ci accompagna sin dai primi minuti
Questa sensazione di trovarci in un mondo profondamente sbagliato è fortificata dalla consapevolezza di non poter riuscire a comprendere le leggi che determinano il mondo di Paratopic: similmente a Mulholland Drive di David Lynch, si tratta di una illusione del mistero (p. 66). Ogni tentativo di comprendere il mondo di gioco è destinato a fallire miseramente, poiché la natura stessa dell’opera e degli elementi che la compongono sono pensati per non essere compresi nella loro interezza.
«la forma artistica che è forse più appropriata al weird è quella del montaggio – la combinazione di due o più elementi che non appartengono allo stesso luogo.»
L’EERIE
«L’eerie, per contrasto, è costituito da un fallimento di assenza o un fallimento di presenza. La sensazione di eerie si verifica quando c’è qualcosa dove non dovrebbe esserci niente, o quando non c’è niente dove invece dovrebbe esserci qualcosa.» (p. 72).
Gli spazi di Paratopic sono pregni di eerie: passeggiando in ambienti naturali come una foresta, può capitare di imbattersi in bunker segreti o container la cui provenienza è ignota. Questi elementi estranei rafforzano l’idea che il mondo di Paratopic sia abitato da entità invisibili ma onnipresenti, sempre in agguato.
Le sessioni di guida – che simboleggiano più di tutte il senso di straniamento – rappresentano un momento di riflessione sul mondo di gioco: chilometri di cemento desolato e desolante dove il tempo ha esaurito la sua funzione, il tutto accompagnato da una trasmissione radio che, allontanandoci dall’epicentro apocalittico di quello che un tempo poteva chiamarsi città, si fa sempre più incomprensibile. Arrivati ai confini della città, resta soltanto un suono distorto, un lamento fatto di onde radio.
Paratopic getta un seme destinato a crescere lentamente nella nostra mente, insinuandosi come il più terribile dei pensieri: quello che non riusciamo a comprendere
Be seeing you, friendo.