È un tema particolare e difficile quello della sessualizzazione del corpo femminile nelle opere d’arte videoludiche, specialmente se a parlarne è un maschio, bianco e cisgender come il sottoscritto. Per questo mi sembra doveroso specificare che l’articolo che andrete a leggere vuole essere un punto di comunicazione e un commento alle grande battaglia che il mondo del femminismo vero porta avanti da moltissimo tempo, senza, quindi, avere la pretesa di insegnare o peggio ancora imporre una particolare visione.
L’ottica, dunque, nella quale vado a concepire questo testo è quella che vuole la donna riconosciuta e rappresentata al massimo grado non solo nel videogioco ma in ogni campo. E se le molte battaglie hanno certamente portato un miglioramento, il mio spirito sospettoso e incalzante mi invita a considerare se davvero la rappresentazione che viene portata avanti in questo momento storico sia la migliore possibile per la donna o se, invece, nella volontà di desessualizzare la forma femminile non si finisca per ottenere una diversa discriminazione, pur se non voluta.
UNA STORIA TUTTA AL MASCHILE
È noto che fino a una decina di anni fa (facciamo anche due, NdMario) l’industria videoludica era un’industria che si rivolgeva quasi esclusivamente a un pubblico maschile in età adolescenziale. Una sorta di mito machista in piccolo, con eroi super pompati, spesso tamarri o super militari era la regola nei titoli degli anni ’90, con rare eccezioni. La maggior parte dei personaggi femminili, anche quando protagonisti, era rappresentata esteticamente con forme super prosperose e messe in evidenza, e caratterialmente con fare provocante da femme fatale. Lara Croft è il caso più eclatante in questo senso. Bisogna ammettere che salvo eccezioni (che poi sono i titoli che ricordiamo con maggior intensità e apprezzamento) in linea di massima non vi erano particolari velleità nella sceneggiatura e men che meno nella profondità dei temi trattati, quindi è naturale che se le storie già non aspiravano ad essere particolarmente profonde, i protagonisti maschili finissero per essere dei pupazzoni da combattimento, e dall’altro le donne non potevano che essere stereotipate e rappresentate solo dal punto di vista più immediatamente appetibile per un pubblico di giovani maschi, quello sessuale.
il target principale dell’industria videoludica erano i giovani maschi, e proprio a loro erano rivolti protagonisti e protagoniste dei videogiochi
Questa tendenza è andata avanti per parecchio, anche laddove la stampa e le sue penne si sono reinventate, qualche piccolo (eufemismo) scandalo c’è stato anche negli ultimi anni e se una certa news su una cinghialona porta solo a una Page not found, lo stesso non si può dire di tanti piccoli atteggiamenti e situazioni che ancora oggi si manifestano. Non è un problema relativo solo ai publisher e alla stampa, chiaramente, e nonostante il mondo dei videogiochi sia attualmente molto più rappresentativo e inclusivo, non tutto il pubblico ha fatto un salto di qualità ed è rimasto ancorato alle forme mentali più tossiche. In questo senso parliamo sia di attacchi e insulti rivolti a redattrici e sviluppatrici accusate talvolta di non capire nulla di videogiochi in quanto donne e altre volte di non essere sufficientemente belle per poterne parlare. Addirittura si arriva a criticare il viso di Aloy e la presenza di peluria, realistica, sul suo viso, non capendo (o essendo in malafede, che è un modo carino per non dire altro) che se si attacca un personaggio videoludico per questo tipo di questioni estetiche in realtà si sta attaccando e insultando un certo tipo di femminilità.
LA SVOLTA CHE IN REALTÀ È UNA ROTONDA
A partire da un periodo che potremmo collocare intorno al 2010-2015, con l’evoluzione e la differenziazione del mercato videoludico, si è potuto assistere a un ripensamento della rappresentazione femminile nei videogiochi con personaggi meno formosi e dalle forme psicologiche più variegate e profonde. Lara Croft nel reboot del 2013 non solo ha un seno più piccolo ma anche dal punto di vista caratteriale offre molte più sfaccettature e interpretazioni. Di pari passo si è andati anche nella rappresentazione delle minoranze LGBTQ+, anche se a volte in maniera un po’ forzata e naif (vedi l’abuso di camicie rosse a quadri). Ellie di The Last of Us, in particolare del suo secondo atto, è stata un po’ l’apripista per una certa visione che associa una riduzione delle forme a una riduzione della sessualizzazione del personaggio in questione.
È proprio con questa idea che in realtà vorrei fare i conti in questo articolo in quanto, a mio modo di vedere, essa produce un doppio problema proprio laddove invece voleva risolvere quello legato alla sessualizzazione della donna e del corpo femminile nei videogiochi. Perché dovremmo chiederci, nonostante le belle intenzioni, quale messaggio manda davvero questa visione?
L’IPERSESSUALIZZAZIONE DELLE FORME
“Se ho le forme, una quinta di seno, dei fianchi sporgenti o un sedere rotondo, mi dovrei sentire di più e legittimamente sessualizzabile?” Questo mi chiederei fossi una donna di questo tipo, pensando che se la rappresentazione videoludica spinge per proporre modelli senza forme (al netto della difficoltà tecnica di realizzarle) per evitare che i propri personaggi siano sessualizzati è automatico che se quelle forme ci sono c’è immediatamente anche la sessualizzazione. Eppure è pieno di ragazze e donne formose in una parte o nell’altra o in tutte del corpo e ognuna di loro ha una psicologia diversa, importante e rappresentabile. È pieno di fisici straordinariamente diversi in generale. Mi sembra assurdo che il terrore della sessualizzazione abbia portato a una rimozione sistematica della formosità con la conseguenza che una giocatrice donna con un po’ di seno o di fianchi si possa sentire immediatamente sessualizzata di rimando.
LA DESESSUALIZZAZIONE DI UN CORPO
“E io che sono più magra, con il seno appena accennato e il ventre e i fianchi piatti, al contrario non posso essere attraente sessualmente?” L’altra faccia della medaglia è proprio che, al contrario, si sta comunicando che una donna di questo tipo non possa avere alcuna velleità di apprezzamento sessuale, cosa che come nel caso precedente è terribile perché produce la discriminazione di tutta una serie di ragazze che per forza di cosa finiscono per non sentirsi attraenti. Poi ci chiediamo da dove nasca l’idea diffusa di rifarsi il seno e altre parti del corpo per ingrandirle.
HORROR CORPORIS
C’è così tanta paura di discriminare che forse non ci si rende conto della realtà. Una realtà, quella della forma femminile, così variegata che è impossibile rappresentarla tutta, ma di certo non viene tutelata dalla rappresentazione di corpi meno formosi possibili. Un buon lavoro è stato fatto con Alex di Life is Strange: True Colors, che ha un fisico lontano dall’idea di perfezione (che per gli esseri umani è nonsenso) ma non per questo privo di forme, e che rappresenta una possibile e normale ragazza, tanto quelle più magre quanto quelle più formose.
Bisognerebbe pensare semmai che la sessualizzazione negativa e tossica è quella che deriva sia da una rappresentazione che pone il personaggio femminile stereotipato dal punto di vista caratteriale e nelle azioni sia da un pubblico che, purtroppo, è in grado di sessualizzare ogni cosa e sessualizzerebbe, messo nelle condizioni, anche una caldaia da appartamento, letteralmente. Bisogna considerare, infine, che le storie di cui facciamo esperienza nei videogiochi sono molto spesso straordinarie e come tali prevedono personaggi straordinari. È difficile trovare il personaggio maschile con la pancia da birra e, al contempo, God of War non può essere certo un ragazzo mingherlino (oppure sì…). Tutto dipende dalla storia che si vuole raccontare, a quella bisogna dare la maggiore importanza e in questo senso sviluppare intrecci e personaggi verosimili e reali.
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.