God's Trigger - Recensione

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Un demone e un angelo mandati sulla Terra per fermare quattro cavalieri dell’Apocalisse a piede libero, una situazione di quelle che fanno canticchiare “it’s the final countdown”, quello che cercheremo di fermare con la ferocia che contraddistingue queste battaglie celesti. Ce lo insegna Devil May Cry, così come Bayonetta e tutta una lista di opere ludiche che basterebbero a riempire l’intera pagina. È quel pretesto deliziosamente blasfemo che molti sviluppatori amano riciclare e fare loro quando si tratta di giochi d’azione spettacolari, veloci ed esuberanti, pittura dissacrata in movimento dove il color rosso emoglobina domina con schizzi astratti, perpendicolari ai fendenti che dilaniano chi si para davanti agli eroi di turno. I polacchi di One More Level hanno preso questi elementi, giocato parecchio a Hotline Miami e portato tutto in un contenitore action/adventure testardamente démodé, almeno quanto il cell shading scelto per tratteggiare scenografie e interpreti. Ho capito subito che l’avrei adorato.

IN MISSIONE PER CONTO DI DIO

Anche se qui, a dire il vero, più che sentirsi Blues Brothers ci si immagina un po’ come dei virtuali Seth e Richard Gecko di Dal Tramonto all’Alba. God’s Trigger è così trash e poco ricercato nell’estetica da mettere subito a proprio agio il giocatore e farlo concentrare su un’azione che non prevede pause e tentennamenti. Uno stato d’emergenza dove l’Altissimo ha dato un colpo di spugna ai comandamenti, sostituiti con una sola legge, “uccidere”, secondo la regola del democratico “one shot, one kill”. Nessuna barra di energia, resurrezione immediata in caso di morte e tanta voglia di sentirsi belli e dannati, sensazione che solo un contatore delle combo sa trasmettere. Harry, l’angelo, armato di spada, Judy, il demone, di frusta, interscambiabili con la sola pressione di un tasto, ai nostri ordini. Una sensazione di onnipotenza che si manifesta anche grazie alla visuale a volo d’uccello, dai rimandi divini, con cui controllare i movimenti dei nostri bodyguard come quelli degli ignari nemici. Tempo di tirare un respiro a pieni polmoni, pensare a una strategia, tenere sotto tiro il nemico più vicino e sfondare la porta: un colpo di pistola vibra ancora nell’aria quando il tempo rallenta automaticamente, un fendente taglia come burro il primo degli incoscienti; raccogliamo il suo fucile poco prima di schivare un altro attacco, una selva di pallettoni ammutolisce gli astanti. Pochissimi ed eccezionali secondi di furia omicida che descrivono tutte le qualità di questo lavoro. Gli approcci sono molti, il level design versatile. Si può agire in silenzio, arrivando alle spalle dei più incauti per sfoltire il gruppo e poi banchettare con gli altri, così come sfruttare l’energia accumulata con le uccisioni per entrare ad armi spianate e freddare tutti in cinematografico bullet time, o ancora usare uno dei tanti poteri che sbloccheremo nel corso della missione, come il controllo mentale di Judy.

È così trash e poco ricercato nell’estetica da mettere subito a proprio agio il giocatore e farlo concentrare su un’azione che non prevede pause e tentennamenti

Ogni micro-situazione è esaltante e liberamente interpretabile, incastonata in livelli tendenzialmente compatti eppur barocchi, ricchi di piccoli puzzle ambientali che ricordano gli action/adventure di un paio di generazioni fa, perfettamente sincronizzati col ritmo tachicardico dell’azione. È uno dei titoli più divertenti degli ultimi mesi. Brutale, impegnativo, sporco e genuinamente imperfetto. Le collisioni non funzionano sempre benissimo, l’intelligenza artificiale è più istintiva che cerebrale e vale la regola d’oro che abbiamo imparato a sfruttare, da Hotline Miami in avanti, per questo genere di titoli: farsi vedere per poi nascondersi dietro la porta e seccare chi volta l’angolo è una strategia che paga. Però non c’è gusto e non si è neanche spinti a farlo, perché ogni scontro è stato pensato per risvegliare l’abilità del giocatore, stuzzicarlo e spingerlo a sperimentare soluzioni alternative con le varie armi da fuoco (dai proiettili limitati). Piazzando poi nei punti giusti anche situazioni scriptate che esaltano l’ego oltre i livelli di guardia, come forse la più bella sequenza ai comandi di una mitragliatrice fissa di sempre, squisitamente al rallentatore. Manca solo una certa cura nel feedback fisico dei colpi inferti. Nessun suono particolare, nessuna sensazione di potenza, una timidissima vibrazione. Solo un semplice grilletto premuto a fondo e una chiazza di sangue per terra. Rapido e indolore, poco croccante, più chirurgico che efferato. Un dettaglio che poteva fare ancor più la differenza per un sistema di combattimento semplice ma godereccio. Un titolo rozzo, onesto, che vive una seconda vita se giocato con un amico in co-op locale, esaltandone ancora di più il game design e il sano divertimento. Una danza della morte sincronizzata, coreografica, quasi olimpica.

BRUTTO COME IL PECCATO?

Non proprio, su, ma esteticamente God’s Trigger è abbastanza insipido, derivativo, trasandato. Non che non sia piacevole e in linea con l’umore generale e caciarone dell’opera, però adotta scelte stilistiche per lo meno discutibili. Il design dei personaggi, soprattutto dei boss, è pessimo (non che gli scontri in sé siano tra i momenti più memorabili, anzi), e in generale questo cell shading dal tratto spesso può rendere poco leggibile l’azione. A livello di fluidità invece il gioco si difende da dio, dando al giocatore tutti i frame di cui ha bisogno. Già ascoltate ma capaci di fare il loro sporco lavoro le tracce della colonna sonora, che vanno dal metal all’elettronica pesante, esattamente quello che ci si aspetta dal genere.

God’s Trigger è come un piatto da trattoria: grasso, ignorante, capace di saziare l’appetito dell’affamato più che deliziare chi si vanta di avere il palato fino. Un action/adventure vecchia scuola che riesce a mettersi al passo coi tempi facendosi ispirare dalla nouvelle vague dell’azione bidimensionale. Veloce, implacabile, viscerale, manca di stile ed eleganza, certo, ma diverte come poche altre opere e vanta un level design accurato, intelligente e tanto stimolante da volersi fare un secondo giro (dopo un primo di circa 7 ore) per ottenere l’ambito grado S in ogni livello. Se poi avete qualcuno con cui giocarci in co-op, non pensateci neanche se acquistarlo o meno. Ce ne fosse di più, in giro, di gente come One More Level.

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Pro

  • Azione veloce, versatile, viscerale.
  • Level design ottimo.
  • Esaltante in singolo, clamoroso in co-op.

Contro

  • Esteticamente anonimo.
  • Problemi di collisioni e feedback dei colpi “leggero”.
8

Più che buono

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