Questo l'ho fatto io: agli albori del modding - Speciale

Puntuale con lo zaino in spalla di buon mattino, eccomi qui per guidarvi alla scoperta degli albori del modding, una nuova tappa dello speciale sulla creazione di livelli e videogame che ha già attraversato la gloriosa epoca a 8 bit, deliziando legioni di semplici videogiocatori che hanno potuto assurgere, seppure con qualche limitazione, al ruolo di game designer.

DOOM

Arrivano gli anni ‘90 a regalarci la grande diffusione delle macchine a 16 bit, e se molti sono già più che soddisfatti con gli strumenti messi loro a disposizione dalle software house, a qualcuno inizia a stare stretto poter creare livelli o modificare parametri solo ai giochi dotati di editor, che pur essendo un buon numero rappresentano comunque una ristrettissima minoranza. A un certo punto arriva quindi la domanda in grado di rivoluzionare il mondo: e se scoprissimo dove i programmatori hanno inserito mappe, sprite, numero di vite, gestione delle collisioni, sonoro insieme a qualsiasi altra cosa legata al gioco e ci mettessimo a editare direttamente in loco, a nostro piacimento?

LE ORIGINI DEL MODDING

cccNasce così il concetto di modding, ovvero l’arte di modificare i videogame altrui piegandoli alla propria volontà. Niente di nuovo, in realtà. O perlomeno nulla di tanto diverso dal copiare i listati – così si chiamavano allora gli script, lo so, è un nome infame, mai come “programma” comunque – trovati all’interno di un qualsiasi numero di Commodore Computer Club e, una volta accertatisi del funzionamento, iniziare a giocherellarci e cambiare variabili. La semplice aggiunta di un’istruzione PRINT “BY EMANUELE FERONATO” mi avrebbe consentito di bullarmi con gli amici mostrando loro un videogame realizzato da me – c’è il mio nome? L’ho fatto io! – mentre ad esempio in un gioco di dadi con un’ipotetica riga D=INT(RND(1)*6)+1, cambiando il 6 con un 7 avrei potuto ottenere dadi con una faccia in più. Se vogliamo estendere il concetto, anche i cosiddetti trucchi a suon di POKE che si trovavano nella rubrica Top Secret di Zzap! erano dei mod, pur se utilizzati per scopi piuttosto banali quali ottenere vite infinite e sopperire alla mancanza di abilità al joystick.

Tutto è possibile e relativamente facile quando il codice è leggibile, ma ciò non accade quasi mai. Ecco che gli appassionati iniziano a percepire il modding non solo come un semplice editing, ma come una vera e propria sfida. Un esempio eclatante, tornando a Zzap!, è il PokeFinder inserito nel numero 46. pokefinderSviluppato da J. Brambilla, parte dal presupposto che, una volta caricato un gioco sul C64, da qualche parte nella sua memoria deve essere salvato il numero di vite. Con quanti omini partiamo? Cinque? Cerchiamo tutti i cinque. Ne abbiamo trovati a dozzine?  Non importa, restringiamo a tutti i cinque che a un certo punto si decrementano, perché quando moriamo il cinque deve trasformarsi in quattro. Ce ne saranno sicuramente meno, ma sempre molti. Ora restringiamo ancora a tutti i cinque che non solo ad un certo punto si decrementano, ma in seguito vengono anche confrontati con lo zero, condizione che sancisce la perdita di tutte le vite e il conseguente game over. Finalmente il numero di casi sospetti dovrebbe essere piuttosto basso e si può iniziare a sperimentare. Tutto questo lavoraccio solo per trovare un singolo dato? Certo, moddare come si deve è complicato, così complicato che diventa presto un modo per flexare le proprie abilità alla tastiera, attirando l’attenzione di aziende in cerca di personale qualificato, fino a quel momento alle prese con curriculum cartacei nei quali venivano millantate improbabili profonde conoscenze di questo o quel linguaggio di programmazione.

Un ruolo fondamentale nella scena modding, quasi fosse una predestinata, lo ricopre id Software, ma scavando ancora più a ritroso nel tempo dobbiamo viaggiare fino al 1957, anno in cui il romanziere scozzese Alistair MacLean scrive I Cannoni di Navarone. Nel racconto viene narrata l’impresa di un manipolo di Alleati in missione per distruggere una fortezza tedesca apparentemente inespugnabile che minaccia le navi alleate nel Mar Egeo e, così, impedisce il salvataggio di più di mille soldati dell’esercito di Sua Maestà. Nonostante l’isola greca Navarone non esista e tutta l’operazione militare sia opera di fantasia, la narrazione si svolge nel vero contesto storico della campagna del Dodecanneso del 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, ed è probabilmente ispirata alla battaglia di Lero.

THE BUTTERFLY EFFECT

NavaroneOk, ma il modding? Ne sto già parlando. In un universo alternativo senza I Cannoni di Navarone, forse i mod non esisterebbero. Il libro è il butterfly effect che ne determina la genesi. Quattro anni dopo, nel 1961, il regista J. Lee Thompson porta il romanzo sul grande schermo, con un film omonimo dal cast stellare – Gregory Peck e Anthony Quinn – che si aggiudica due Golden Globe e un Oscar, a cui si sommano altre sei candidature alla celebre statuetta. Una curiosità su J. Lee Thompson? Ha diretto 1999: conquista della Terra, quarta pellicola della saga Il Pianeta delle Scimmie, e Il Giustiziere della Notte 4, anch’esso, come potete vedere dal numero, quarto episodio di un’altra celebre serie di film con protagonista Charles Bronson nei panni di Paul Kersey. Il nostro effetto farfalla continua e, nel 1981, il programmatore Silas Warner nello stesso giorno vede il film e gioca a Berzerk, celeberrimo arcade. Colpito da entrambe le esperienze, decide di creare un videogioco con il gameplay multi directional shooter appena provato, ricreando al contempo le gesta raccontate nel film.

Nasce così Castle Wolfenstein, pubblicato da Muse Software per Apple II, Atari 8-bit, C64 e sistemi basati su MS-DOS, in cui nei panni di un prigioniero di guerra rinchiuso nel castello di Wolfenstein dobbiamo recuperare importanti piani di guerra nazisti e fuggire. Livelli generati proceduralmente, sintesi vocale e un interessante gameplay che mescola azione e stealth decretano il grande successo del gioco. Unico neo: la lentezza nel disegnare le 60 stanze che compongono la mappa, operazione che può portare ad attendere anche un minuto prima di iniziare a giocare.

Nel 1983 viene però rilasciato The Great Escape Utility, in grado non solo di velocizzare la creazione dei livelli, ma anche di permettere ai giocatori di scegliere la stanza di partenza e modificare altri parametri di gioco, diventando di fatto il primo trainer commercializzato nella storia dei videogame. Ma Castle Wolfenstein detiene anche un altro record, il più importante dal nostro punto di vista: è il primo gioco a venire completamente moddato, sempre nello stesso anno, con l’uscita di Castle Smurfenstein, che a questo punto è la prima total conversion dell’universo videoludico.

Castle Smurfenstein

Come avrete intuito dal titolo, gli odiati nazisti lasciano il posto agli ancora più odiati Puffi. In realtà Dead Smurf Software, questo il nome della compagnia, si era già cimentata nei mod con Dino Smurf, reskin in salsa puffosa di Dino Eggs per Apple II, ma non si poteva ancora definire una mod: Andrew Johnson e Preston Nevins, le bizzarre menti dietro questo progetto, avevano semplicemente scoperto che la maggior parte della grafica di Dino Egg era memorizzata in un unico file, che oggi chiamiamo Sprite Atlas. Sarebbe bastato quindi modificare il file, rispettando lunghezza e larghezza delle immagini originali, per cambiare l’aspetto grafico del gioco. Per Castle Smurfenstein invece il lavoro fu più certosino. La grafica fu trasformata facilmente una volta scoperto che era gestita da font ridefiniti. Per il sonoro fu più complicato perché, nonostante i file audio fossero stati individuati abbastanza presto, rimaneva il nodo del parlato. Ma, guarda caso, proprio Silas Warner, recitando egli stesso, aveva sviluppato un digitalizzatore vocale chiamato The Voice, il quale venne utilizzato per creare le voci dei nazisti di Castle Wolfenstein. Lo medesimo software fu impiegato dai Dead Smurf Software per ricreare le voci, eliminando qualsiasi problema di compatibilità. Infine anche il testo introduttivo fu cambiato, adattandolo allo spirito del nuovo videogame.

WHERE’S ALL THE DATA?

E il ruolo di id Software in tutto ciò? Nessuno al momento, ma nel 1992 producono Wolfenstein 3D, ispirato proprio a Castle Wolfenstein. Il videogame è un clamoroso successo, superiore alle aspettative di un team che, come già accaduto con la serie Commander Keen, rende disponibile il motore del gioco, il Wolf3D Engine, su licenza.

Wolfenstein 3D

Il gioco vero e proprio, però, non era stato progettato per permettere modifiche. Ma vallo a spiegare ai giocatori! Sull’onda delle numerosissime installazioni, nacquero editor non ufficiali di personaggi e livelli sollevando dubbi sul copyright, ai quali però Carmack e Romero non diedero alcun peso, giocando personalmente ai mod più famosi. Non solo, perché entrambi infatti intuirono la potenzialità di una struttura modder-friendly che avrebbe potuto creare una numerosa e attiva comunità attorno al gioco, generando un enorme buzz gratuito, praticamente il concetto di “virale” prima dei social. Non restava che mettere in pratica quest’idea.

file WAD

Dato che la grande domanda dei modder è sempre “dove sono i dati?”, con l’uscita di DOOM arriva la risposta: nei file WAD, acronimo di “Where’s All the Data?”, tenuti volontariamente separati dal motore principale del gioco. Non parliamo di sprite e asset inseriti a casaccio, ma di un vero e proprio sistema di archiviazione con header, directory e risorse facilmente accessibili, meglio se con uno delle centinaia di editor sviluppato dagli appassionati. Oltre a divenire un successo planetario ed un fenomeno di costume, DOOM riesce anche a creare e riunire la prima grande comunità di modder.

Tra questi vi è Tim Willits, uno dei tanti ragazzi rapiti dal gioco id Software e desideroso di intraprendere una carriera nel mondo dei videogame. Tim inizia per hobby, assieme alla sorella, a modificare WAD distribuendoli gratuitamente in internet; la sua abilità non passa inosservata, come testimoniano i conseguenti 24 anni di carriera in id Software con ruoli di grande rilievo quali lead designer di DOOM 3 e produttore esecutivo di Quake 4.

DOOMDavvero è partito tutto da I Cannoni di Navarone? Chi lo sa, è innegabile però che tutte queste produzioni sembrano proprio essere cause ed effetti le une delle altre. Quel che importa è che con DOOM sia esplosa la cultura del modding, che da lì a breve si sarebbe espansa al punto da consentire a semplici mod di diventare videogame con una propria vita e milioni di appassionati, come il fenomeno Counter-Strike nato da una costola di Half-Life. Vi è venuta voglia di addentrarvi nei meandri dei WAD e moddare DOOM, DOOM II o Quake per creare la total conversion definitiva? Ci sono moltissimi strumenti pronti ad aiutarvi, ma di questo parleremo nel prossimo episodio di “questo l’ho fatto io”.

Articolo precedente
Atelier Ryza 3: Alchemist of the End & the Secret Key

Atelier Ryza 3: Alchemist of the End & the Secret Key - Provato

Articolo successivo

Come raccontiamo i videogiochi - Editoriale

Condividi con gli amici










Inviare

Password dimenticata