Cosa c’è dopo la morte? Ogni essere umano se lo domanda. A volte cerca le risposte nei libri, in altre occasioni nei film e molto spesso nei videogiochi, mentre tanti si affidano alla religione. Arkane Lyon, che in Deathloop non ha badato a cosa c’è di giusto o sbagliato, se n’è infischiata del game over, giungendo ben oltre la tana del Bianconiglio e abbracciando uno stile mai adottato prima, perseguendo l’obiettivo di andare ben oltre il videogioco e la concezione stessa della morte. Prima di proseguire, un’avvertenza: occhio agli spoiler!
L’epica spiega che l’unico modo per raggiungere le porte dell’Ade sia attraverso il fiume Acheronte, discendendo in un limbo piramidale pieno zeppo di sofferenza e dolore. Se dovessi collegare Deathloop con un’opera letteraria, probabilmente menzionerei “L’Ultimo Viaggio” dello scrittore ceco Stanislav Grof, un medico psichiatra di fama internazionale che le sfumature della morte le ha studiate per quarant’anni, interfacciandosi con i malati terminali e persone ormai perse per sempre, sospese e prive dell’entusiasmo che solo la vita può offrire. Si muore anche senza chiudere gli occhi per sempre, ed è il modo di più truce fra tutti.
a Blackreef non c’è spazio per le lamentele, c’è solo da rompere il loop e salvarsi il collo prima che sia troppo tardi
Il loop non fa sconti e non ha alcuna pietà: chiunque può cambiare il corso degli avventi, ma nessuno è in grado di comandare il tempo e la morte. Se sopravvivere alla vita è dura, immaginate quanto sia complesso riuscire ad arrivare alla fine della giornata con la sanità mentale ancora intatta. Il peggio che può accadere è di ritrovarsi i bossoli dei proiettili della propria mitragliatrice nelle tasche dei pantaloni, ma a Blackreef non c’è spazio per le lamentele. C’è solo da rompere il loop e salvarsi il collo prima che sia troppo tardi. La condanna dantesca per arrivare all’obiettivo? Ripetere all’infinito lo stesso giorno per l’eternità, morendo, morendo e morendo per poi rinascere allo stesso modo in cui si è nati. E ripetere, di nuovo, l’ennesima routine. C’è chi si sveglia ogni giorno per andare al lavoro, e chi tenta di rompere un loop. Cose che accadono tutti i giorni, come lavarsi la faccia e bere dell’acqua dopo una sbronza. Tutto regolare.
L’UOMO SOPRAVVISSUTO A UNA CADUTA
E che caduta, oltretutto. Diciamocelo, ucciderebbe chiunque all’istante. E infatti Colt, il protagonista di Deathloop, è morto improvvisamente mentre guardava negli occhi qualcuno che conosce molto bene: sé stesso. Invece di raggiungere qualunque cosa ci sia oltre la fine, è rinato dal nulla – anche se non è mai morto. E non ci sono voluti tre giorni come nel Nuovo Testamento, bensì un secondo per riaprire gli occhi e rendersi conto di essere sopravvissuto a una persona di cui non sa nulla ma che lo vuole morto. Mentre si rialzava, sorseggiava una birra, ripulendosi dalla sabbia. Osservava l’orizzonte, ammaliato dall’alba e in cerca di una risposta al perché è sopravvissuto. Quel luogo lo riconosce, eppure non sa perché è lì: si trova a Blackreef, un’isola inospitale e malfamata, una terra contesa e governata da affari loschi e personaggi di dubbio gusto, dediti allo sperpero continuo di denaro, all’omicidio e al divertimento sfrenato.
Colt, il protagonista di Deathloop, muore improvvisamente mentre guarda negli occhi qualcuno che conosce molto bene: sé stesso
Anche se il rapporto fra Colt e Julianna non viene immediatamente approfondito, si comprende meglio cosa c’è oltre questo disprezzo solo quando il protagonista comprende che si trova davanti a sua figlia. Se inizialmente non si è ricordato di lei, del suo passato e dell’amore che un tempo provava, è causa dell’alternazione del loop, capace di cancellare le memorie più tristi e felici, sfilacciando interamente una realtà che Colt rammenta a fatica e per cui prova solo rimorso. Allo stesso modo, tuttavia, Julianna si ricorda del padre e del suo passato insieme, delle mancanze di quest’ultimo e delle tante, troppe assenze che le hanno causato delle profonde ferite. Potrebbe essere un canovaccio azzardato per sorreggere una storia, eppure Deathloop mostra cosa significhi trascurare qualcuno a tal punto da esserselo dimenticato a dispetto di un loop artificiale creato per propagare felicità e gioia accessorie. Tra sparatorie, salvataggi, duelli e battute offensive, c’è anche qualche sprazzo d’amore nella aria. O qualcosa che si avvicina al sentimento più bello di tutti, anche se inizialmente non sembra affatto così. Cosa si è disposti a compiere per tornare a chi si era prima, nonostante tutto? È la domanda che, alla fine, lo stesso Colt si pone, mentre stringe una pistola puntata alla tempia della figlia, indeciso del suo destino.
L’ARCHITETTURA DI DEATHLOOP
Il loop è un ciclo chiuso e continuativo che cambia la percezione della realtà, influenzandola e mutandola a proprio gradimento. Nel caso del gioco di Arkane Lyon, a tessere i filamenti del fato di Blackreef è la stessa Julianna, che ha le mani ovunque e controlla cosa accade al sicuro in una base sferica che si affaccia sull’intera isola. Mentre modificava il tessuto della realtà, intanto faceva il lavaggio del cervello ai suoi sottoposti, abituandoli a seguire il solito circolo vizioso che conduce a una felicità momentanea, sorretta dalla consapevolezza che il futuro è già scritto ed è uguale al presente, senza novità, rischi o eventi inevitabili.
Deathloop sfrutta l’insegnamento dell’eterno ritorno dell’uguale, denominato anche “Eterno ritorno”, una teoria filosofica di Frederich Nietzsche
Quando un giorno finisce, tutti muoiono e nessuno potrà raccontare cos’ha vissuto realmente. Mentre le lancette dei minuti e dei secondi scorrono sull’orologio, tutto rimane impassibile e immutato, come se l’universo avesse scelto di fermarsi per prendersi la giornata libera. Costruire il loop in un videogioco, specie in una produzione come Deathloop, non è affatto un’impresa facile. Arkane Lyon, tuttavia, è stata capace di seguire quanto si era prefissata in passato, spiegando il loop in modo del tutto inedito e diverso rispetto ad altre case sviluppatrici. Il tempo è al centro del loop, e ogni accadimento si evolve man mano che si avanza al suo interno, diventando parte dell’architettura di Blackreef. Se i greci pensavano che diseppellire i brutti ricordi fosse un modo come un altro per scacciare via i problemi, dall’altra Nietzsche credeva che il loop alimentasse il tempo in modo fin troppo imprevedibile. Parte dell’architettura del gioco non deriva solamente dalla realizzazione del contesto, bensì dai personaggi e da Colt stesso, la reale connessione fra il giocatore, la realtà e il loop. Arkane Lyon, in tal senso, ha studiato a lungo il metodo adatto per alimentare il loop in tutte le sue formule, proprio per arrivare all’occasione in forma smagliante e mostrare con precisione ogni sua particolarità.
Parte dell’architettura di Deathloop non deriva solamente dalla realizzazione del contesto, bensì dai personaggi e da Colt stesso, la reale connessione fra il giocatore, la realtà e il loop
“Uccido Fia o ammazzo qualcun altro? Seguo un indizio che potrebbe condurmi a un’arma nuova, oppure scelgo di non fare alcunché?” Spesso, e non mi spiace ammetterlo, non sapevo esattamente cosa fare. Scrivevo su un foglio cosa fosse prioritario in quel momento, preparandomi a dovere per affrontare le orde degli Eternalisti. Ben prima di raccontare il loop attraverso le sue ispirazioni, Deathloop mette al centro il giocatore e le sue decisioni. Imparare a togliere la vita, ben prima che a morire, è fondamentale per sopravvivere in giro per le temute strade di Blackreef. A rendere ancora tutto più affascinante, inoltre, è la costruzione del mondo di gioco, che si ricollega a Dishonored, l’iconica produzione che ha condotto Arkane Studio nell’Olimpo del panorama videoludico. Deathloop è ambientato qualche secolo dopo nel futuro rispetto al videogioco dedicato alle avventure di Corvo Attano ed Emily Kaldwin, di cui purtroppo non si sa altro.
LA MORTE DENTRO IL LOOP
La morte non è mai l’ultima spiaggia, non è soltanto il punto d’arrivo e non rappresenta la fine. All’interno del loop, in realtà, rappresenta l’inizio di altrettante sfide. Deathloop parla della morte in maniera poetica, toccante e travolgente, proponendo una scrittura casuale degli avvenimenti presente in ben poche produzioni. Se l’architettura del loop si rafforza ogni singolo giorno, morire diventa una liberazione, l’unica reale fonte di appagamento personale che permette di concludere temporaneamente la propria esistenza. Anche se non cambia le sorti di nessuno, né tanto meno il destino che il loop ha in serbo per gli abitanti di Blackreef, soccombere permette di non piegarsi alla volontà di Julianna e alla sua mania del controllo.
Se l’architettura del loop si rafforza ogni singolo giorno, morire diventa una liberazione, l’unica reale fonte di appagamento personale
Quanto è raccontato in Deathloop, dunque, è una conseguenza delle scelte intraprese dalla giovane. Colt uccide senza pietà e tentennamenti, sicuro di poter effettivamente tornare a chi era prima del loop e a vivere la sua esistenza. La speranza del ritorno a una vita libera è impossibile: il loop cambia le percezioni della realtà e di chi si ha attorno. A furia di uccidere ogni giorno le stesse persone e vivere all’interno di un involucro impossibile da perforare, è la follia a portare alla morte, non la vecchiaia o una pallottola ben assestata sulla tempia. Deathloop non si prende solo gioco della morte, del tempo o di Colt, ma mette il giocatore nella condizione di dover scegliere se tornare alla realtà, o se continuare a mietere le stesse vittime nel loop, oppure se uccidere Julianna, tornando a essere libero. La morte è risolutiva, ma la vita e le sue sfumature lo sono ancora di più. Vivere è questo. È il non-vivere a fare paura.
SONO ANCORA PERSO NEL LOOP
Deathloop è un videogioco che trovo poetico, triste e ironico perché si prende gioco di tutti, rispettando allo stesso modo il tempo del giocatore. Ed è proprio il tempo a essere rilevante all’interno della produzione: muta, si trasforma, non è mai lineare e non segue un percorso definito. Sono ancora perso in un loop da cui non voglio uscire perché, proprio come Colt, resto ancorato a qualcosa che mi fa sentire esageratamente vivo e assuefatto completamente dall’ultimo videogioco di Arkane Studio.
Deathloop è poetico, triste e ironico perché si prende gioco di tutti, rispettando allo stesso modo il tempo del giocatore
“La vita è un’offensiva diretta contro il meccanismo ripetitivo dell’universo” – Alfred North Whitehead.