Con molta probabilità senza Alone in the Dark non avremmo mai avuto Resident Evil, o almeno non nel modo in cui lo conosciamo oggi. Dalle stesse parole di Shinji Mikami, papà dell’iconico franchise Capcom, quando gli venne affidato di creare un progetto da seguito spirituale di Sweet Home (1989), ancor prima che prendesse il nome di Resident Evil (Biohazard sul suolo orientale), nella mente di Mikami il gioco si sarebbe dovuto sviluppare in prima persona.
Poi Mikami giocò al primo Alone in the Dark (1992) e di colpo tutto cambiò. Il titolo sviluppato da Frédérick Raynal permetteva al videogiocatore di muovere i personaggi all’interno di ambienti che vivevano nello splendore di alcuni dettagli. Non era tutto, infatti tutta la macchina estetica e artistica si incastrava perfettamente nelle meccaniche ludiche, per quello che riguardava gli enigmi, l’esplorazione e anche nei combattimenti.
senza alone in the dark non avremmo avuto giochi come resident evil
No, il futuro Resident Evil doveva ripartire da zero e avere in testa Alone in the Dark come modello di ispirazione, ed è un grandissimo peccato rendersi conto di come negli anni proprio Alone in the Dark, riconosciuto universalmente come il padre dei survival horror, abbia perso smalto e riflettori, cercando di rincorrere il fenomeno da lui generato. Proviamo dunque a ripercorrere sommariamente tutti i passi di questo franchise, in occasione dell’arrivo della nuova (e purtroppo non particolarmente fortunata) riproposizione sotto THQ Nordic.
ALONE IN THE DARK, LE ORIGINI DEL MALE
Se Resident Evil è l’orrore commerciale, frutto di ispirazioni pop occidentali, tra multinazionali cattivone, zombie e bocche da fuoco, Silent Hill è sempre stato l’orrore personale, il purgatorio di espiazione dove mettere sul banco fantasmi e scheletri nell’armadio. Di mezzo c’è Alone in the Dark che sin dal suo primissimo capitolo attingeva ad un horror non ben definito. Con un occhiolino a Lovecraft, il primo Alone in the Dark attingeva proprio dalla definizione sommaria di orrore. Il buio, come luogo mistico e sinistro dove poter vedere o percepire la nascita del male, che in tal caso si costruiva di una villa dove il baffuto Edward Carnby (o Emily Hartwood a seconda della scelta) rimaneva intrappolato, dei sotterranei sinistri, zombie e magia nera.
Il secondo capitolo, chiamato semplicemente Alone in the Dark 2 (1994), è il mio preferito. Cambiando di poco la formula di gioco, dove la componente horror diminuisce, aumentando di gran lunga tutti gli scontri, la trama si sposta in un contesto estremamente più colorito e interessante, con la presenza di pirati simil zombie, le solite maledizioni e la presenza della piccola Grace Saunders che aggiungeva il giusto brio nelle sezioni a lei dedicate.
Chiude il cerchio Alone in the Dark 3 (1995) che ci prende gusto nel cambiare ogni volta setting e ispirazione, dunque dopo la casa oscura e i pirati, ora si viaggia verso il genere western, con le indagini su di una troupe cinematografica misteriosamente scomparsa, mentre Carnby se la vede con dei cowboy mutanti. Insomma tre titoli che riuscirono a mettere il punto nel proporre valide alternative nel genere dell’horror, stimolando lo stesso settore a riprendere quell’impostazione di meccaniche come di scelte estetiche per poi sperimentare. Da qui in poi, purtroppo, Alone in the Dark ha sempre dovuto rincorrere i suoi figliocci.
I NUMEROSI RILANCI
Nel 2001 si tenta il colpaccio rilanciando il marchio Alone in the Dark con un secco e deciso reboot. Niente più ambientazione storica da anni ’20, bensì una storia ambientata ai giorni nostri con Alone in the Dark: The New Nightmare. Lo stesso Carnby venne fortemente rivisitato, con uno stile da cantante grunge datato, con giacca lunga e capellone nero all’indietro. La soluzione proposta divise nettamente il pubblico, tra chi apprezzò questo tentativo, ad altri che invece non riuscivano ad entrare in sintonia con questa formula estremamente stravolta. Altri invece facevano notare come il gioco applicava meccaniche già ottimizzate dai diversi Resident Evil e Silent Hill. Anche un Parasite Eve di turno era riuscito a strapparsi un suo pubblico inserendo una meccanica da GDR. The New Nightmare dunque per alcuni era un goffo tentativo di cavalcare un trend pur non introducendo nulla di nuovo.
Alone in the Dark The New Nightmare non riuscì mai a fare breccia nei cuori dei fedelissimi della prima trilogia
Al netto del feedback ricevuto, pochi anni dopo si decide nuovamente di cambiare nuovamente e nel 2008 esce Alone in the Dark (conosciuto anche come Inferno), un reboot che per grazia della trama può considerarsi anche un sequel di quel Alone in the Dark 3, giacché senza entrare in tediosi spoiler, in qualche modo i giochi sono strettamente collegati. Proprio questo espediente risultò terribilmente imbarazzante da riuscire a contestualizzare in tutta l’opera, ma questo era l’aspetto minore, infatti il gioco era minato da un quantitativo impressionante di problemi tecnici, tra cui bug e una mediocrità generale di produzione tangibile. Flop di vendite e di critica, dunque chiuso l’ennesimo reboot, si passa ad altro.
Questo altro purtroppo ha il nome di Alone in the Dark: Illumination, folle gioco simil FPS cooperativo uscito esclusivamente per PC nel 2015 dove ci troviamo a prendere i comandi di inediti personaggi (discendenti di altri storici eroi del franchise) presi a combattere contro l’ennesima minaccia oscura di turno. Se non eravate a conoscenza di questa triste iterazione del franchise, tranquilli è assolutamente normale.
UN FRANCHISE ORFANO DI UN PUBBLICO
Il nuovo capitolo uscito da pochi giorni, come abbiamo già detto più nel dettaglio nella nostra recensione, sembra essere l’ennesimo tentativo non riuscito nel migliore dei modi, ma con qualche punto a proprio favore. Al netto della resa finale di un prodotto, è bene sottolineare come il problema odierno di Alone in the Dark sia quello di non avere un pubblico di riferimento, o meglio, dei fan lì fuori. Dalla fine della prima trilogia ci sono stati sempre e solo tentativi che non hanno mai lasciato il segno e di conseguenza, il franchise di Alone in the Dark non è mai riuscito ad essere tramandato in modo adeguato alle nuove generazioni e mi rendo anche conto che proporre oggi ad un pubblico giovanissimo i primi tre giochi, è un forte azzardo che difficilmente potrà veder nascere nuovi appassionati.
Seguiremo da vicino il percorso di questo nuovo arrivato nella famiglia di Alone in the Dark, osservando anche ciò che gli riserverà il futuro, se l’ennesimo reboot o la possibilità di correggere gli errori e tentare una seconda carta più convincente.