A me non interessa che la realtà virtuale nel gaming sia ancora una nicchia, a patto che continui a esserlo nel modo in cui è stata in questi ultimi mesi. Per la verità – spero sia emerso dalla rubrica – non sono mai mancati prodotti in grado emozionare me e i collaboratori della Virtual Reality Machine, e altri ce ne sarebbero stati e che, per un motivo o per l’altro, non hanno trovato spazio. Tuttavia, è indubbio che, tra l’ultima parte dello scorso anno e oggi, si siano intensificate le proposte di qualità, sia sul lato indipendente che su quello degli sviluppatori (e publisher, in taluni casi) di grande esperienza. E indovinate un po’? Anche questo mese e così, con quattro produzioni di alto profilo tra le quali, in particolare, Lone Echo e Duck Season raggiungono livelli tecnici e formali di assoluta eccellenza. Buona lettura.
LONE ECHO/ECHO ARENA
Piattaforma: Oculus Rift (supporto non ufficiale a HTC Vive)
Controlli: Oculus Touch (supporto non ufficiale a Vive Controller)
Comfort: Buono
Prezzo: 39,99€Il gioco di Ready at Dawn è, a mio modo di vedere, il migliore e più intrigante adventure mai prodotto in realtà virtuale. Basta giocarci appena cinque minuti per intendere la cosa, e la sensazione di meraviglia aumenta a ogni compito o manovra che dovremo espletare, mentre nel corpo di un evolutissimo androide (Jack) dovremo supportare le azioni di comando del capitano Olivia Rhodes. In Lone Echo ci troviamo all’interno di una stazione mineraria orbitante fra gli anelli di Saturno, presto al centro di una delicata quanto misteriosa rete di eventi: al di là dell’immersiva perfezione di ogni momento, compresi i tutorial di “calibrazione” del robot (meccanismi di interazione con gli oggetti, dialoghi, metodi di spostamento, che nella mente dell’IA potrebbero anche durare una frazione di secondo), gli sviluppatori hanno concentrato i loro sforzi in una precisa caratteristica, capace di cambiare faccia a tutta l’esperienza e, come vedremo, rendere imperdibile anche la controparte multigiocatore, Echo Arena, da qualche tempo gratuita per tutti i possessori di Oculus Rift: in soldoni, è possibile adoperare come appiglio qualsiasi oggetto solido per spingersi in assenza di peso, potendo poi usare piccoli propulsori inseriti nei polsi per perfezionare le direzioni.
Detta così può apparire semplice, come in effetti è, ma in realtà dona incredibili sensazioni di matericità a tutta l’ambientazione di Lone Echo, oltre a lasciare a bocca aperta per la mirabolante gestione tecnica e formale di qualsiasi aspetto: a fronte di una grafica assolutamente al top di questa generazione VR, anche solo la posizione delle dita al contatto con le superfici rappresenta un fulgido esempio di “cinematica inversa” applicata a un videogioco (angoli di un corpo flessibile e/o dotato di nodi per raggiungere una posa desiderata, questione cruciale nella robotica), accanto alla rappresentazione di tutto il corpo del sinuoso androide, con le gambe fluttuanti che, ad esempio, appaiono ai margini della visuale dopo un repentino cambio di direzione. Tutto il resto appartiene alla sfera di aspetti meritevoli ma già visti, nell’interazione con leve, pulsanti o pannelli tecnici equivalenti a piccoli puzzle, ma non senza mostrare piccole chicche di design VR un po’ in tutto, dagli strumenti nascosti nelle mani di Jack (scanner per analizzare/attivare, fiamma ossidrica per sbloccare passaggi/aprire pannelli) alle realistiche interazioni con il casco, per un risultato che, lo ripeto ancora, al momento non ha alcun termine di paragone nel mercato VR.
Per quel che riguarda Echo Arena, infine, basta aver visto il film Ender’s Game (o aver letto il libro, che pure descrive lo stesso addestramento) per intendere immediatamente regole e dinamiche dell’esport virtuale: un grande spazio a gravità zero – con un disco da contendersi e le porte delle squadre agli estremi – dovrà essere percorso e sfruttato servendosi di inerzia e momentum dei corpi, compresi quelli dei compagni e degli avversari. Da questa semplice base, che comprende sonori sganassoni agli avversari, spinte iniziali fondate sulla pura abilità e, ovviamente, complesse tecniche di squadra, viene fuori una delle migliori e più immersive pratiche “sportive” mai viste nei videogiochi, anche al di fuori dello stretto ambito della VR (anzi, forse proprio perché ci sta dentro).
Piccola comunicazioni di servizio per gli utenti HTC Vive, peraltro non nuova: sì, anche in questo caso è possibile usare il software Revive per godersi l’intera esperienza, col solito limite di doversi basare sulle rappresentazioni esemplificative degli Oculus Touch, trovando facilmente i comandi corrispondenti. Lone Echo ed Echo Arena sono esperienze da non perdere, a prescindere dal visore.
DUCK SEASON
Piattaforma: HTC Vive, Oculus Rift
Controller: Vive Controller, Oculus Touch
Comfort: Ottimo
Prezzo: 19,99€
Se Lone Echo si pone come massimo risultato per le avventure virtuali, Duck Season di Stress Level Zero è così originale nell’approcciare i temi di un thriller psicologico da non poter essere facilmente etichettato. La base è quella di una sorta di riscrittura VR di un vecchio classico NES, Duck Hunt, sempre più allucinata e ambigua via via che si prosegue nel gioco. Ci troviamo nel soggiorno di una tipica casa americana, grossomodo alla fine degli anni ’80, nei panni (e nel corpo) di un ragazzino intento a giocare ai videogame, guardare la TV e sollazzarsi con pupazzetti e macchinine: la differenza, che quasi pone il bimbo alla stregua di Alice attraverso lo specchio, è che una volta lanciato Duck Season ci troveremo all’interno del gioco, con un inquietante individuo in costume da cane a sottolineare le nostre capacità competitive, mentre in un furgoncino iniziano a cadere le anatre uccise.
Il livello descrittivo e l’interazione, con grafica da stiloso cartoon, sono assolutamente grandiosi: possiamo mangiare pizza e dolcetti, giocare con action figure, usare il telefono e addirittura adoperare gli altri videogiochi (semplici arcade 2D) e le videocassette VHS che troviamo sul pavimento. Tutto, però, inizia a diventare sempre più inquietante, ad esempio nella brutalità o nel morboso nonsense di alcuni filmati riproducibili, e tantissime sono le azioni più o meno nascoste che potremo compiere, da non rivelare in quanto parte integrante della struttura di gioco.
Solo per sommi capi, infatti, Duck Season è un esercizio di abilità nel tiro al bersaglio – pratica in cui, peraltro, pone un livello di sfida bilanciato e progressivo, con maggiore velocità e diverse reazioni di movimento (o di resistenza ai colpi) da parte delle anatre. La realtà è molto più violenta e potrebbe portarci a tante conseguenze, inizialmente difficili da percepire: il gioco vero e più intrigante riguarda la ricerca di tutti e sette i finali possibili, con gesti da compiere ed effetti tanto nascosti quanto geniali. Un piccolo capolavoro, a mio modo di vedere, che potrebbe stare accanto alla prima stagione di Stranger Things.
STARBLOOD ARENA
A cura di: Nicolò Paschetto
Piattaforma: PSVR
Controller: DualShock 4
Comfort: Variabile
Prezzo: gratis con PS PlusStarblood Arena mette in scena un fittizio programma televisivo di un lontano futuro, dove combattenti da ogni angolo della galassia conosciuta si ritrovano per scontrarsi a bordo delle proprie astronavi. Ovviamente possiamo scegliere il personaggio che più ci aggrada tra la decina a disposizione: ogni gladiatore spaziale si distingue per aspetti come velocità e punti vita, ma le differenze non sono poi così clamorose e, soprattutto, difficilmente portano a comportamenti diversi sul campo di battaglia. Una volta nel vivo dell’azione, non serve a molto valutare tatticamente i propri obiettivi, scegliendo le prede più deboli o lente a seconda del proprio stile. Al contrario, considerata la non eccelsa varietà, Starblood Arena premia di più chi si butta a testa bassa nell’attacco, anche complice un punteggio che conta le uccisioni effettuate, ma non tiene in nessun conto la quantità di morti subite.
Il roster offre buona varietà sulle armi: ogni combattente ne ha due primarie, oltre a una più potente dall’utilizzo limitato che può sortire, se ben usata, effetti devastanti. Continuare a fare esperienza con lo stesso personaggio è una pratica che viene premiata con miglioramenti e skill con cui variare il proprio loadout, ma questi bonus non portano a rivoluzioni copernicane nel modo di giocare. Trovo che nel complesso, per quanto non troppo intuitivo, sia un bene, perché evita un noioso grinding e permette di non finire massacrato da giocatori a livelli superiori; inoltre, in tal modo viene più voglia di sperimentare tanti piloti per cercare quello con cui ci si trova meglio. Il fulcro dell’esperienza, cioè volare in giro per le arene nella vostra astronave e sparare a chiunque, è molto godibile. In particolare, diverte guidare il nostro mezzo, e già dopo poche partite s’impara a sfruttare i cunicoli e gli anfratti dei vari livelli per tendere imboscate o trasformare una fuga in un assalto vendicativo.
Durante le prime sessioni di gioco le manovre più spinte si fanno sentire alla bocca dello stomaco e possono causare leggeri giramenti di testa anche a chi non è solito soffrire di motion sickness; c’è da dire, però, che l’effetto va diminuendo col passare del tempo, specie quando si riesce a ottimizzare la coordinazione tra direzione dello sguardo e della navicella. In definitiva, Starblood Arena è un’arena shooter che svolge un ottimo lavoro nella ricerca del libero divertimento, grazie a un modello di volo votato all’arcade puro, ma di certo avrebbe potuto godere di un livello di rifinitura maggiore su elementi sia secondari, come il comparto sonoro, sia centrali, come la varietà delle arene. In attesa di un simil Descent VR anche per il visore PlayStation (esistono già diversi emuli su HTC Vive, ndMario), e soprattutto visto che Starblood Arena è attualmente gratuito per gli abbonati PS Plus, ci accontentiamo.