Virtual Reality Machine #16

The InpatientÈ diventato ormai inutile ripeterlo tutte le volte: che si tratti di grandi nomi dello sviluppo di videogiochi o di perfetti sconosciuti, come in molti dei casi di questa VR Machine, il panorama attuale del gaming in realtà virtuale non manca mai di giochi divertenti e altamente immersivi. Oggi vi proponiamo una selezione che va dalla pura azione al concept dei racconti interattivi, passando dalla peculiarità di un puzzle platform 2D su profondità VR (sembra un gioco di parole senza senso, ma il nostro Nicolò si spiegherà egregiamente). Talvolta l’originalità e l’approccio creativo sfiorano l’eccellenza, come nei casi di In Death, The Impatient o Sairento VR, ed è sempre una buona notizia, in particolare per il titolo di Swag Soft, quando uno dei tanti giochi in Accesso Anticipato di Steam VR arriva al traguardo con tutti i crismi del caso. Buona lettura.


SAIRENTO VR

A cura di: Mario Baccigalupi
Piattaforme: HTC Vive, Oculus Rift
Controller: Vive Controller, Oculus Touch
Comfort: Variabile
Prezzo: 27,99€The InpatientSe volete un gioco che vi aiuti a distruggere il salotto, Sairento VR è il titolo che fa al caso vostro. Questo, però, paradossalmente dipende dai suoi pregi: Mixed Realms e Swag Soft hanno organizzato un’azione da ninja cyberpunk così coinvolgente che difficilmente riuscirete a trattenervi o fermarvi, anche nel momento, come è accaduto a me, in cui vi accorgerete di aver scheggiato un televisore nuovo di zecca. Quindi, almeno su questo, siete avvisati: organizzate una stanza spoglia di oggetti costosi, mettete il case del PC nell’angolo più lontano e, solo allora, iniziate a divertirvi come matti, magari dichiarando l’area off-limits da bambini e animali domestici.

The InpatientLa forza principale di Sairento, con la sua sarabanda di combattimenti con katane, pistole e mitragliette, è quella di aver sfruttato l’irrealistico teletrasporto (almeno, in tanti altri casi) come punto di forza: di base, non potrete mai apparire all’istante in un’altra posizione, ma solo “shiftare” rapidamente verso di essa, laddove Sairento usa la tipica parabola per la proiezione del movimento come veicolo di acrobazie da vero “Spedi” cazzuto (per usare il linguaggio di Altered Carbon, la cui trasposizione è attualmente su Netflix), saltando nella posizione dei nemici, scalando muri o balzando fra una parete e l’altra.

A disposizione, come dicevo, avrete spade e armi da fuoco, a cui sono stati associati piacevolmente poteri al rallentatore: soprattutto ai più alti livelli di difficoltà, però, non potrete accedere alle skill senza alcun sforzo o capacità competitiva, e anzi dovrete guadagnarvi munizioni, stamina delle mosse speciali e piccoli recuperi di salute compiendo prodezze fra le fila avversarie, in particolare accumulando power-up sul posizione dei nemici uccisi. Il gioco non è particolarmente competitivo sotto il profilo grafico (in fondo proviene da minuscoli team), ma in compenso offre una struttura ben realizzata: avrete a disposizione missioni libere, equivalenti a sfide custom, oppure una modalità storia che si dipana attraverso missioni parimenti definibili in termini di difficoltà (e guadagno di punti esperienza), che offre poi l’opportunità di spendere i punti acquisiti in una serie di armamenti e abilità accessorie.

The Inpatient

Talvolta gli obiettivi avranno quasi il carattere di un platform VR, ma molto più spesso assomiglieranno a tipiche azioni di infiltrazione e combattimento nelle strutture di corporation cyberpunk, condite da un gusto piacevolmente orientaleggiante. Qualcuno si potrà sentire come il Maggiore di Ghost in the Shell, qualcun altro come Takeshi Kovacs del citato serial Netflix, ma una cosa è sicura: se il giustamente osannato Raw Data rimane il re dei tower defence d’azione in salsa VR, Sairento rappresenta invece la rappresentazione più pura dei cyber-massacri smargiassi senza soluzione di continuità, così divertenti da far perdonare la scheggiatura di un costoso televisore. O quasi.

IN DEATH

A cura di: Mario Baccigalupi
Piattaforme: HTC Vive, Oculus Rift
Controller: Vive Controller, Oculus Touch
Comfort: Ottimo
Prezzo: 19,99€The Inpatient“Non so se sia arte, però la sento” (Batman, 1989). Se c’è una frase che la prova su In Death, notevole esperimento di roguelite VR, mi ha fatto venire in mente, è proprio quella pronunciata da Joker/Nicholson in un passaggio chiave del film di Burton. Non sono sicuro che il gioco di Sólfar Studio sia davvero il capolavoro a cui alcuni sono già pronti a inneggiare – a mio modo di vedere, manca ancora una bella massa di contenuti per diventarlo davvero – ma indubbiamente lo sviluppatore ha colto in pieno due prerogative fondamentali della moderna VR, capaci di donare a In Death un carattere tutto suo.

The InpatientLa prima regola è che è possibile sfruttare le limitazioni delle piattaforme attuali, ad esempio i controlli/monitoraggi ristretti a testa e mani, per costruire un sistema di movimento che può diventare perfettamente valido e funzionante quando, come in questo caso, è applicato a un mondo totalmente fantastico, privo di veri limiti. Nel contesto di In Death, ad esempio, lo scenario non è nemmeno etichettabile come fantasy puro, ed è anzi una sorta di “purgatorio medievaleggiante” dove, appunto, il gioco al massacro è stato malignamente definito da qualcuno o qualcosa. Ecco quindi che, nel ruolo esclusivo di un arciere passato a miglior vita (si fa per dire), possiamo spostarci scagliando una speciale freccia luminosa, schivare di qualche metro lanciando piccoli cristalli o ancora ripararci dai dardi in arrivo facendo apparire nella mano/controller di sinistra uno scudo di legno. Tutto questo non ha alcun senso realistico, ma lo assume nel momento in cui intuiamo, quasi in forma subliminale, che qualche oscuro angelo o demonio ha deciso queste meccaniche arbitrariamente per noi, e non possiamo che accettarle come unico e coerente sistema per avanzare e sopravvivere.

The InpatientLa seconda prerogativa azzeccata da Sólfar è l’opportunità di adoperare schemi rodati – e con una buona dose di sperimentalità, pure nel gaming “normale” – per farli brillare nella nuova prospettiva di presenza, ovvero con la sensazione di essere davvero in quello strano luogo. Nello specifico, le regole di In Death sono quelle di un roguelite con generazione procedurale di eterei dungeon, ovviamente con permadeath nel momento in cui le tacche della vitalità (segnate sul manico dell’arco) si consumano del tutto. Al di là dei nemici (zombie, guerrieri bardati, arcieri che possono magicamente teletrasportarsi in una migliore posizione di tiro, resistenti golem e via cosi), che potrebbero senz’altro migliorare nella varietà iniziale, il termine “roguelite” dipende dalla presenza di un’ulteriore opzione, una sorta di sfida suprema in cui il level design rimane lo stesso e i nemici rappresentano quanto di peggio possiate immaginare in termini di potenza di fuoco, mobilità e resistenza. Se In Death è il Purgatorio, ciò che trovate oltre uno specchio sospeso (accessibile scoccandogli contro una freccia di movimento) rappresenta senz’altro l’Inferno.

A condire il gioco ci sono altri particolari, come il loot da raccogliere in forma di vitalità o frecce speciali (con gas venefico, infuocate o paralizzanti, tra quelle più comuni), acquistabili anche negli immancabili negozi (vedrete apparire il punteggio spendibile sul dorso della vostra mano), ma per la verità non c’è molto altro da dire: posso solo consigliarvi di far vostro In Death, perché, al netto della necessità di ampliare i suoi contenuti, rappresenta comunque un esperimento impegnativo, divertentissimo e sostanzialmente imperdibile.

THE INPATIENT

A cura di: Nicolò Paschetto
Piattaforma: PSVR
Controller: PS Move/DualShock 4
Comfort: ottimo
Prezzo: 39,99€The InpatientFocalizzato da diverso tempo su titoli VR per Sony, lo studio britannico Supermassive Games sforna un altro titolo collocato nell’universo narrativo di Until Dawn. Ambientato nel manicomio di Blackwood Pines, il gioco viene contestualizzato negli anni ’50, quando la struttura era ancora pienamente funzionante. Nel corso delle vicende vestiremo i panni di un paziente affetto da amnesia: il nostro obiettivo sarà, appunto, di recuperare la memoria e fare chiarezza sugli eventi che ci hanno portato ad essere “ospiti” del sinistro ospedale.

The InpatientTrovo fondamentale mettere subito in luce un aspetto chiave: The Inpatient non é un gioco d’azione, e nemmeno un titolo survival. Dal punto di vista della giocabilità, le possibilità di interagire con l’ambiente sono molto limitate: non dobbiamo preoccuparci di evitare o eliminare mostri, né ci sono risorse da recuperare per poi utilizzarle in qualche modo. Dunque, che si fa? In sostanza, influenzeremo l’andamento della vicenda attraverso opzioni di dialogo, che si renderanno disponibili durante le conversazioni con gli altri personaggi.

The Inpatient mutua da Until Dawn il cosiddetto “effetto farfalla”, connesso alla teoria del caos e sfruttatissimo da romanzi, film o videogiochi: alcune nostre scelte, in apparenza insignificanti, innescano un effetto a cascata che porta a risultati drammatici nel prosieguo della trama. Mentre la meccanica invoglia a buttarsi in diverse sessioni per scoprire altrettante versioni alternative del racconto, non più di quattro ore ognuna, dall’altra parte i vari passaggi di causa-effetto renderanno impossibile interpretare le conseguenze di conversazioni apparentemente senza importanza. Riguardo la sceneggiatura, ho trovato elementi brillanti alternarsi ad altri meno riusciti: nella prima parte del gioco ci troviamo a vivere alcune scene da incubo all’interno del manicomio; queste sono genuinamente terrificanti e, senza (quasi) ricorrere a jump scare, riescono a mettere davvero paura. Essere addentro la vicenda in VR amplifica le sensazioni, naturalmente, che rimangono bene impresse nella memoria. Nella seconda metà non ci imbatteremo più in situazioni simili, e anzi ci troveremo spesso a seguire altri personaggi attraverso lunghi corridoi, ascoltando conversazioni dallo scarso mordente, senza che succeda niente di incisivo.

Se, quindi, questa volta lo studio non ha fatto centro sull’aspetto narrativo, va comunque riconosciuto un comparto tecnico di tutto rispetto. Partiamo dai modelli facciali: il livello di dettaglio ottenuto garantisce espressività e realismo mai visti prima su PSVR; anche gli ambienti in cui ci si aggira (con movimento libero, niente teletrasporto) risultano molto ricchi di dettagli, nonché frequentemente interattivi. Il metodo di controllo offre la scelta tra DualShock e PS Move, questi ultimi a mio parere preferibili per via della maggiore immersività, risultando comunque immediati da padroneggiare. Infine, l’implementazione del riconoscimento vocale nei dialoghi va ad aumentare la sensazione di presenza: davvero un bel tocco, senza nemmeno il bisogno del nostro miglior accento “oxfordiano” per farci capire. In sostanza, la tecnologia alla base di The Inpatient segna un nuovo traguardo per PSVR e può essere la pietra miliare su cui costruire una nuova generazione di titoli. Nel complesso, però, sento di poter consigliare il titolo solo agli appassionati dei avventure non lineari disturbanti, composte da innumerevoli finali alternativi.

POP-UP PILGRIMS

A cura di: Nicolò Paschetto
Piattaforma: PSVR
Controller: DualShock 4
Comfort: ottimo
Prezzo: 16,99€The InpatientIn Pop-up Pilgrims impersoniamo niente di meno di una divinità nipponica del cielo, alla guida di uno sparuto gruppo di intrepidi (ma piuttosto indifesi) seguaci. Tutto questo attraverso una cinquantina di livelli, cercando di assicurare che il maggior numero possibile giunga sano e salvo alla fine di ogni scenario. Spero che questa descrizione vi porti alla memoria il mitico Lemmings, e in effetti il concept dell’ultima opera dei gallesi Dakko Dakko non si allontana poi molto.

The InpatientIl titolo si presenta fin da subito per alcuni aspetti fortemente caratterizzanti: colpisce l’unicità dello stile grafico, molto cartoonoso e “cute”, che mi ha ricordato Eets, opera prima di Klei Entertainment; i nostri simpatici protetti si muovono all’interno di un cosiddetto 2D VR Engine, definizione che sembra un ossimoro ma, in effetti, così non é: davanti a noi si presentano isole piatte che, però, sono collocate su diversi livelli di profondità. Il contrasto tra bidimensionalità e realtà virtuale funziona bene e offre un’estetica poco comune e, in quanto tale, rinfrescante.

Ho molto apprezzato il design di Pop-up Pilgrims perché mantiene la propria identità di puzzle-platformer con coerenza: l’aumento del livello di complessità graduale consente di godersi un’esperienza gradevole e mai frustrante, senza mai allontanarsi dallo spirito del gioco. Per fare un esempio, col passare dei livelli troveremo ponti che uniscono piattaforme distanti, oppure avremo modo di trasformare per breve tempo un pellegrino in un arciere; tutti elementi che mischiano le carte in tavola e mantengono viva l’attenzione del giocatore. Inoltre, non non so assenti nemmeno i classici momenti “Eureka!”, quando si intuisce come risolvere un enigma inizialmente incomprensibile, la cui soluzione all’improvviso diventa limpida come l’acqua di ruscello.

The Inpatient

Il livello di difficoltà non é elevato e questo potrebbe essere per qualcuno un limite, solo in parte alleviato dai tradizionali badge di bronzo, argento e d’oro ottenibili al raggiungimento di hi-score progressivi. Anche le boss fight, seppur presentino una gradita nota di varietà, non eccellono per innovazione o sfida; non sarebbe stato male vederne qualcuna di più, e più ispirata. In definitiva, Pop-up Pilgrims costituisce una simpatica aggiunta alla già variegata offerta di titoli per PSVR: realtà virtuale non vuol per forza dire wave shooter e prima persona, ed é apprezzabile la possibilità di un secondo giocatore che può, sullo schermo tradizionale, aiutare chi indossa il visore impersonando un cinghiale, con un proprio set di movimenti e abilità. Evviva il gioco di squadra!

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