Meno di due settimane ci separano dall’uscita di Sekiro: Shadows Die Twice e, nonostante stia tentando in tutti i modi di tenere a bada il mio entusiasmo per svariate ragioni, non riesco a smettere di pensarci nemmeno per un attimo. Se ancora non posso essere certa di quale sarà la qualità finale complessiva, perché non ingannare questa snervante attesa parlando delle tante novità che differenziano questa nuova IP dagli altri capolavori firmati Miyazaki? La verità è che ho proprio bisogno di farlo, dato che, da gennaio a questa parte, non faccio altro che contare i giorni sul calendario!
ANOTHER STORY
Se c’è qualcosa a cui i “soulsborne” ci hanno abituati è un peculiare e decisamente criptico storytelling, da scoprire passo dopo passo attraverso una miriade di oggetti e una manciata di NPC. Da questo punto di vista, From Software è stata subito molto chiara: la narrazione seguirà tutt’altra strada. La differenza si noterà in realtà sin dai primi istanti di gioco, dove non avremo la possibilità di dar vita a un nostro personaggio. Non nego di essermi subito ritrovata in un certo senso impaziente di abbandonare i pesanti panni del cavaliere e quelli insanguinati del cacciatore per per impersonare un silenzioso e letale Shinobi. Il misterioso passato del nostro protagonista – chiamato il “Lupo da un braccio solo” – e il suo legame con i tanti NPC secondari presenti saranno infatti il punto di partenza e la base sulla quale si costruirà l’intera storia, alla quale farà da cornice un rivisitato Giappone del sedicesimo secolo.
Il livello di difficoltà sembra proprio essere quello che ci si aspetta da uno studio che chiamò l’edizione completa di una sua IP “Prepare to Die”
ANOTHER DEATH
C’è un’altra caratteristica che, forse ancor più dello storytelling, sintetizza alla perfezione l’esperienza su un soulsborne: la morte. In Sekiro: Shadows Die Twice non solo avrà tutto un altro significato, ma avrà un impatto notevole sulla nostra progressione di gioco nonché sui singoli combattimenti. Una volta subito un colpo fatale, infatti, potremo decidere (anche se per un numero limitato di volte) di ritornare in vita, riprendendo il duello da dove lo avevamo lasciato o riposizionandoci in maniera più vantaggiosa. Meglio però evitare inutili allarmismi o, al contrario, persino false speranze: il livello di difficoltà sembra proprio essere quello che ci si aspetta da uno studio che chiamò l’edizione completa di una sua IP “Prepare to Die”, solo un po’ diverso dai titoli precedenti. Il “game over” sarà infatti quasi inevitabile, almeno nelle prime run, e influirà sul propagarsi del Dragonrot, una misteriosa incurabile malattia che contagerà progressivamente le persone a noi vicine e che, all’atto pratico, si ripercuoterà sull’ammontare di esperienza e di oro persi con ogni morte. Persino uccidere sarà un’operazione più complessa.
Sebbene sia un prodotto decisamente lontano dai suoi precedenti lavori, in qualche modo fa trasparire l’anima di Miyazaki