La conservazione dei codici sorgente è spesso affidata unicamente a iniziative di privati o istituzioni che operano sul confine del copyright, quando non in sua aperta violazione
Capisco che mio nipote e il suo giro di compagni non siano indicativi, ma se fossi a capo di qualche grande publisher due domande su cosa vorranno giocare gli adolescenti tra 3, 5 o 10 anni me le farei, perché il rischio di avere tra le mani oggi IP milionarie destinate a valere molto poco in breve tempo è alto. La sola soluzione che vi viene in mente è quella di investire in cultura (sempre che si voglia trovare una soluzione, perché il mercato si regola da solo, no? E allora affari loro, non fosse che con la scomparsa di publisher si perdono le tracce dei giochi, alimentando il circolo vizioso). Se un adolescente appassionato di cinema guarda film vecchi di decine d’anni e un adolescente appassionato di videogiochi non conosce il primo GTA è perché qualcuno ha spiegato al primo il valore di Quarto potere, mentre al secondo non ha mai raccontato nessuno della portata rivoluzionaria di Rockstar.
Se le cose stanno così, è anche perché l’industria ha sempre trattato la stampa come un megafono promozionale

The Strong Museum of Play in Rochester è uno degli enti che si occupa della conservazione dei videogiochi, con scarsi support dei publisher per altro.
Siamo fortunati perché una parte di chi ha costruito questa industria è ancora in vita e può raccontarci cosa è successo. Allo stesso modo i magazzini delle software house, con un po’ di fortuna, saranno pieni di studi, bozzetti e versioni preliminari di giochi che oggi consideriamo classici. Non è il mio lavoro trovare un modo per salvare i videogiochi, ma così su due piedi qualche idea si potrebbe anche azzardare, e visto il successo di Game Over su Netflix o di piccole case editrici specializzate in libri di qualità sulla storia del videogioco, direi che basterebbe farsi ispirare per cavare fuori qualche buona intuizione. Certo servirebbe la voglia, ad esempio, di competere con streamer e youtuber che giocano tutti gli stessi prodotti. In fondo non si tratterebbe nemmeno di filantropia, quanto piuttosto di una strategia economica mirata a preservare il valore delle proprie IP in ottica futura, invece di spolpare tutto lo spolpabile oggi sperando ci sia sempre lì fuori qualcuno disposto a comprare una mini console a 80€ per non affrontare la consapevolezza del tempo che passa.
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