Chi dimentica è complice – Editoriale

Per il suo ultimo compleanno, mio nipote dodicenne ha chiesto ai suoi genitori un PC con cui giocare, così da bravo zio ho deciso di completare il pacchetto con una discreta quantità di credito Steam, versione adeguata ai tempi del classico cinquantino nella busta. Dopo di che l’ho seguito nella creazione del suo account, non poco problematica in quanto minorenne, fino al fatidico momento della scelta: quali giochi acquistare col credito a disposizione?

Monkey Island, un classico adatto a tutte le età. O almeno così pensavo.

Vista la sua richiesta di consigli ho provato ad azzardare qualche titolo partendo da quello che per me è il classico per eccellenza, Monkey Island. “Mai sentito”. Ok, colpa mia, proviamo ad andare su qualcosa di più moderno. “Il nuovo Assassin’s Creed, ambientato in Grecia, ci ritrovi anche concetti e personaggi che stai studiando”. “Assassin’s Creed? Uhm, no, non lo conosco”. Sentendomi ormai più matusa di nonno Simpsons rilancio con Fall Guys e finalmente faccio centro: lo conosce, ovviamente, perché ne ha visto qualche partita su Twitch o Youtube. A quel punto però voglio capire fin dove si estenda davvero l’orizzonte videoludico di un dodicenne che passa tutto il tuo tempo libero a videogiocare: la risposta è non molto lontano dalla trinità di Mario, Yoshi e Zelda, unici titoli che mi ha confermato conoscere oltre a Fortnite, Minecraft e Brawl Stars su cui passa quasi tutti i suoi pomeriggi.

conservazione videogiochi

La bolla di Youtube e Twitch finisce per condizionare fortemente i gusti e le conoscenze dei giocatori più giovani.

Che un dodicenne non abbia mai sentito parlare di Street Fighter la dice lunga su come l’industria si prenda cura del suo passato

È ovvio che un’indagine statistica con un solo intervistato come campione lascia un po’ il tempo che trova, ma il fatto che un ragazzino che adora i videogiochi non abbia mai sentito parlare di Street Fighter la dice lunga su come l’industria si stia prendendo cura di quello che in termini culturali, ma anche economici, è un vero e proprio patrimonio. Se le nuove generazioni conoscono canzoni o film vecchi di decine d’anni, o quanto meno ne hanno sentito parlare, e non videogiochi, la colpa è da imputarsi per prima cosa all’industria stessa che condanna all’oblio, o peggio alla sparizione, tutto ciò che non ha più un valore commerciale immediato. L’obsolescenza è un fenomeno intrinseco al videogioco: tutto ciò che è legato a un supporto fisico vede la propria sopravvivenza legata a doppio filo con la conservazione del supporto stesso. Le vecchie cartucce di vecchie console sono fatte di plastica che si degrada e hanno bisogno che esistano vecchie console ancora funzionanti per essere avviate. Oggi è difficile trovare un PC che abbia non dico un lettore di floppy, ma un lettore cd, e anche quando presente i giochi concepiti per processori di un decennio fa faticano a girare correttamente sulle macchine odierne. È un destino normale per la componente hardware, ma non è detto che quella software debba seguire lo stesso percorso.

La bolla speculativa che ha colpito il retrogaming complica ulteriormente il processo di conservazione.

Tecnicamente, il codice sorgente di un videogioco appartiene al publisher e dovrebbe essere suo interesse preservarne l’integrità nell’ottica di un qualunque tipo di utilizzo futuro. Di fatto, però, gli esempi di software house a cui il destino dei loro vecchi giochi in catalogo pare non interessare sono molteplici. Uno degli esempi più recenti ed eclatanti è Blade Runner di Westwood, il cui codice sembra essere stato almeno in parte perso come conseguenza delle dispute legali sul suo possesso. In realtà, vista la remaster in lavorazione e la magica ricomparsa dei pezzi mancanti, nel caso specifico le cose potrebbero essere andate diversamente, ma allargando lo sguardo il numero di giochi vecchi o meno che ogni anno sparisce per svariati motivi (dimenticanza, disinteresse, fallimenti, etc.) è straniante. La conservazione dei codici sorgente, unica via per la tutela del passato, è spesso affidata unicamente e per loro iniziativa a privati o istituzioni che operano sul confine del copyright, quando non in sua aperta violazione come avviene per la scena dell’emulazione, che tuttavia è anche l’ultima barriera che separa il videogioco dalla perdita di una quantità inimmaginabile di titoli tra cui alcuni dall’innegabile valore storico.

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