Sono ormai molti anni che il termine roguelike è entrato nel linguaggio corrente dell’ambiente videoludico, tanto che gli esponenti di questo particolare genere videoludico nato ben quattro decenni fa continuano a moltiplicarsi a dismisura.
Eppure non è sempre stato così. La riscoperta dei titoli “simili a Rogue”, come vuole la definizione del termine, è relativamente recente. Un processo che di fatto coincide con l’esplosione del fenomeno dei videogiochi indipendenti, giacché questo ha permesso a molti sviluppatori di slegarsi dalle logiche di mercato imposte dai grandi publisher e dilettarsi nella creazione di opere sempre meno aderenti alle tacite convenzioni valide fino a quel momento. Lo sbocciare di nuove piattaforme distributive, spesso digitali, ha poi fatto il resto, permettendo a questi piccoli team indie di rivolgersi a delle nicchie ben precise di giocatori. È così che da una decina di anni a questa parte sono ritornati in auge i roguelike: titoli come Dungeons of Dredmor, Sword of the Stars: The Pit, Tales of Maj’Eyal hanno fatto da apripista agli inizi del decennio scorso, puntando principalmente a tutte quelle persone che avevano voglia di un’esperienza quanto più vicina possibile ai canoni stabiliti negli anni Ottanta dall’illustre precursore. Ci ritrovammo quindi ad avere tra le mani dei veri e propri dungeon crawler vecchio stampo, coadiuvati dalla generazione procedurale di livelli, mostri e loot. La ricetta classica veniva così riproposta in chiave moderna, senza particolari guizzi innovativi, tuttavia ognuno di questi primi titoli poteva contare su alcuni tratti distintivi ben delineati, spesso legati all’ambientazione.
ROGUE ALL’ACQUA DI ROSE
Eppure quella che sarebbe poi diventata una seconda epoca d’oro per i roguelike non si è interrotta qui. Col tempo le rigide regole a cui gran parte degli esponenti del genere avrebbero dovuto sottostare sarebbero andate strette a molti sviluppatori, i quali non volevano però rinunciare a determinate meccaniche da innestare all’interno dei loro progetti.
Nacque così il filone dei roguelite, prendendo in prestito alcune dinamiche tipiche del filone principale ma declinandole in modi differenti. Iniziano così a spuntare titoli sperimentali che uniscono più generi, mantenendo però inalterate diverse caratteristiche dei roguelike. Basti pensare a giochi come Rogue Legacy, in cui vi è sempre l’elemento della morte permanente del personaggio, così come è presente la generazione procedurale dei livelli, ma il tutto è stato racchiuso all’interno di un platform d’azione in cui una parte dei progressi di ogni incursione viene mantenuta e investita per rendere più facili le run successive, fino ad arrivare alla conclusione definitiva del viaggio.
Iniziano così a spuntare titoli sperimentali che uniscono più generi
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