Battleborn: cronache di un insuccesso – Speciale

BATTLEBORN RAPPRESENTA IL PRIMO ESPERIMENTO MULTIPLAYER DI GEARBOX, CON UNA UNIONE DEI GENERI FPS E MOBA

Ciascun personaggio del variegato cast di personaggi di Battleborn poteva infatti contare su un loadout ben preciso. Un’inseparabile arma, due abilità principali e un’ultimate dal cooldown generalmente molto lungo. Niente armi sparse da cercare in giro per la mappa: qui non siamo su Unreal Tournament o su Quake, ma sulla trasposizione semplificata e in prima persona di League of Legends o Dota. A garantire una certa dose di varietà e di personalizzazione all’esperienza c’era un ramo di talenti nel quale si progrediva all’interno di ogni partita, in maniera non troppo dissimile alle abilità dei MOBA, e il sistema di oggetti. Proprio quest’ultimo costituisce una delle prime bizzarrie del gioco di Gearbox. All’inizio di ogni partita, potevamo infatti scegliere un set di tre oggetti da portarci dietro, che poi avremmo potuto acquistare con le risorse acquisite durante la partita; l’idea, di per sé, non era male, visto che queste risorse potevano essere utilizzate anche per acquistare o potenziare alcuni elementi della mappa, ponendoci così di fronte a una scelta: preferiamo rendere più efficace il nostro personaggio o cercare di puntare sul gioco di squadra? Meglio avere a disposizione una stazione curativa o rendere più letali le nostre abilità?

Il talenti non erano affatto un’idea malvagia. Continuando a giocare con il personaggio avremmo anche sbloccato una terza scelta.

Il problema, però, stava nel come potevamo ottenere questi oggetti: andavano infatti sbloccati mano a mano, giocando o acquistando casse speciali, e le loro proprietà erano casuali. Una componente di grind che forse avrebbe avuto il suo perché in un titolo free to play o dal prezzo budget, non certo in un gioco venduto a 60€ com’era Battleborn all’inizio.

LA PRESENZA DEL GRIND E DELLE MICROTRANSAZIONI IN UN GIOCO DA 60€ NON POTEVA CHE LASCIARE L’AMARO IN BOCCA

A questa considerazione, poi, va a sommarsi il fatto che eroi aggiuntivi venivano venduti come DLC separati, acquistabili anche tramite la valuta ingame, certo, ma a carissimo prezzo. Non una bella prospettiva se si considera che il concorrente principale del titolo di Gearbox, cioè Overwatch, offriva invece un pacchetto completo – mappe ed eroi futuri inclusi – ad un prezzo di 40€.

QUESTIONE DI STILE

Il confronto con Overwatch ci permette di parlare di quello che ritengo sia un altro significativo punto debole di Battleborn. A cinque anni dal lancio, sono sicuro che di motivi per criticare il gioco di Blizzard e la gestione dello sviluppatore, particolarmente per quanto riguarda la componente esport, non manchino. Ma nel 2016 pochi avrebbero potuto negare quanto semplicemente bello da vedere era (ed è ancora oggi) Overwatch: la prima impressione per chiunque lo prenda in mano è quella di trovarsi davanti un prodotto incredibilmente curato, con colori piacevoli da vedere e personaggi che sembrano usciti da un film Pixar.

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