il concetto della fede, quella cieca e da seguire senza indugio, è un tema centrale della trilogia
Un percorso di fede che sigla il patto fondamentale con il Deus Ex Machina alla fine di Matrix Revolutions, e nel quale la razionalità calcolatrice e precisa delle macchine scende a patti con l’uomo (da sempre esempio di simulazione per le macchine nei grandi racconti di fantascienza). Non c’è la certezza o la comprensione del vantaggio (netto in questo caso a favore delle macchine) bensì anche da parte loro una parvenza di calcolo non compiuto, una momentanea pausa per vedere e assistere all’esito dello scontro finale tra i due virus più potenti in Matrix, Smith e Neo.
Anche l’Oracolo sapeva. O forse no. Alla fine di tutto, all’alba di una nuova Matrix le parole che si scambiano sono importanti, dove lui “accusa” lei di aver sempre saputo l’esito di quella battaglia, e invece “Saputo no, al contrario, ma ho molto creduto”.
CREDI CHE SIA ARIA QUELLA CHE RESPIRI ORA?
Nel modo in cui una macchina, un programma senziente riesce a credere, il pubblico all’epoca è stato travolto da un quantitativo impressionante di informazioni assai spiazzanti. In particolare il film ha dato adito a tante teorie complottiste partendo proprio dal concetto della simulazione e del simulacro, partendo da Baudrillard per poi approdare su realtà davvero inesistenti e frutto di poteri forti eccetera eccetera, ma mi fa comunque piacere immaginare il feedback del pubblico, venti anni dopo, a proposito di un sequel che dalle poche immagini proposte sembra progredire esattamente su quella falsariga proposta da Baudrillard. Ci sono le classiche scene di persone a testa china sugli smartphone e per quanto potrebbe trattarsi di una parabola metaforica fin troppo “facile” e abusata al giorno d’oggi, è incredibilmente attuale e funzionante nell’ottica di costruzione di un ulteriore capitolo di Matrix.
Abbiamo smesso di credere, abbiamo costruito quello che ci sembra il totalmente funzionamento di una società ottimizzata tanto sul lato sociale, quanto politico e anche digitale. Sappiamo tutto e non sappiamo nulla e il nichilismo ha vinto ancora una volta: ieri erano i soldi e qualche cd-rom in un libro, oggi sono like e concetti social affini. La verità che ci siamo costruiti è una simpatica illusione, una comfort zone che ci rende talmente omologati e spenti tanto da non accorgerci ci ciò che capita attorno a noi.
Esattamente così è la risposta ad un nuovo film – con un trailer certo, ma il progetto è concreto e in arrivo – di un caposaldo della fantascienza contemporanea: scetticismo, perché in qualche modo ancora non siamo pronti, perché “c’eravamo dati una regola: mai liberare un individuo che ha raggiunto una certa età, il cervello stenta a rifiutare il passato”. Forse questo passato assume le forme esteticamente sinuose e perfette di Reloaded e Revolutions, ma io, quella pillola rossa la sceglierei altre cento volte e sono qui a celebrare l’arrivo di un nuovo Matrix.
ECCOLO, IL MESSIA CIECO
C’è un ultimo punto, fondamentale, che non si può lasciare assolutamente in disparte, ovvero quello del cambiamento. Come già detto il primo Matrix è un grosso atto di fede, una costruzione narrativa sulla trinità religiosa di Matrix, con Padre (Morpheus), Figlio (Neo) e Spirito Santo (Trinity) a regnare incontrastato sul disegno delle due sceneggiatrici. Piccola parentesi giacché il paragone di Trinity con lo Spirito Santo è assai rischioso, ma a mio avviso ben contestualizzato.
Trinity è la pancia, l’amore, quel sentimento viscerale che non viene dal potere della mente ormai libera da ogni catena, è quel classico sentimento così primitivo, ma di difficile identificazione per le macchine. Mere onde sinaptiche. Lei e il suo amore risvegliano Neo dalla morte apparente per farlo rinascere nel pieno del suo nuovo potenziale come Eletto. Conosciamo bene il percorso “evolutivo” delle Wachowski nel corso degli ultimi venti anni: prima Andy e Larry, oggi Lilly e Lana. Nelle loro interviste e uscite pubbliche, un solo e unico discorso è uscito con periodica certezza, quello dell’amore. Dell’amore per il proprio corpo, il proprio essere, il proprio scoprirsi e la propria evoluzione.
Cloud Atlas, firmato assieme al regista Tom Tywker, è un compendio di quasi tre ore (tratto dall’omonimo romanzo cult) che attraverso centinaia e centinaia di anni di storie, mette in risalto la potenza senza tempo e senza spazio dell’amore, di un legame indissolubile verso se stessi o altri accanto a noi. Vuoi vedere che Nolan con Interstellar non aveva fatto un pastrocchio con quel concetto dell’amore?
Cloud Atlas è un film che le registe hanno fatto loro, preso, assimilato e modellato, un saggio sul cambiamento e sul mondo che ha costruito delle barriere sempre più ostili, barriere che necessitano di essere annientate per comprende appieno il significato di ciò che stiamo vivendo. Le Wachowski hanno in qualche modo sempre idealizzato Matrix nella nostra società come una forma di odio, dei colletti bianchi e abito nero, che nascondono sguardi freddi e distaccati dietro occhiali da sole e un auricolare all’orecchio dove vengono elargiti ordini. Le Wachowski sono dall’altra parte, sono fra coloro che costruiscono una comfort zone per mostrarci la ragazza vestita di rosso, perché in un mondo grigio, per quanto non perfetto, quel vestito salta all’occhio (che potrebbe essere in breve la recensione di Dune, bello esteticamente, ma narrativamente povero) e vogliamo godercelo senza filtri.
Oggi quel vestito rosso è Matrix Resurrections, qualcosa di necessario, di cui abbiamo dato un fugace sguardo senza approfondire, ma lo vogliamo, sentiamo che è necessario, come un brivido che scorre lungo la schiena per esplodere nel petto. Magari non sarà della stessa potenza narrativa o pregna di metafore dello stesso calibro del primo capitolo, ma le Wachowski, anche se in questo caso al film ha lavorato solo Lana, sono acute osservatrici di ciò che succede nel mondo. Che il vil denaro non abbiamo portato a una forzatura, e che ne venga – si spera – una nuova rivoluzione cinematografica.
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