Neoclassici #3: Hollow Knight

Cosa c’è di più alieno e misterioso degli insetti? Spesso nascosti all’occhio umano, protetti dalle dimensioni di un mondo immenso in cui mimetizzarsi, osservando, dettando le proprie regole, creando società incredibilmente strutturate o muovendosi in solitaria, anarchici, guidati solo dallo spirito di sopravvivenza. E quando li si riesce a scorgere si rimane disorientati, affascinati, a volte ripugnati da comportamenti straordinariamente brutali o meticolosamente organizzati, sfoggiando caratteristiche che non hanno niente di umano e poco di animale, conturbanti. Un regno nascosto in piena luce, oppure scavato nel sottosuolo, in cui li si può immaginare lavorare, cacciare, ordire complotti, perfino amare, tormentati da miasmi fungini e lotte fratricide, combattendo nell’oscurità.

Hollow Knight Neoclassici

Qualcosa di simile al viaggio mentale che ha spinto William Pellen (web designer e sviluppatore amatoriale) e Ari Gibson (animatore professionista) ad indagare il mondo sotto la superficie, fondendo le proprie idee in Team Cherry e trasformando una campagna Kickstarter dalle pretese modeste in un successo clamoroso, dando vita ad uno dei mondi bidimensionali più dettagliati mai esplorati. Da una suggestione nata nel calderone creativo della Ludum Dare fino a Nidosacro, dalle ispirazioni al plebiscito: Hollow Knight, il metroidvania neoclassico.

NON AVRAI ALTRO DIO ALL’INFUORI DEL WORLDBUILDING

Per capire Hollow Knight bisogna togliere la terra dalle sue radici, ispirazioni dichiarate dagli stessi sviluppatori, fondamentale background per portare nutrimento creativo al progetto: Faxanadu, sofisticato action-platform-RPG dell’87 sviluppato da Nihon Falcom per NES, Zelda II, ancora oggi l’unico capitolo a scorrimento orizzontale della saga, l’originale Metroid, il più criptico e angosciante, nonché Mega Man X, preso a modello soprattutto per il preciso sistema di controllo senza inerzia. Quattro opere che diventano connotati di un identikit chiarissimo: indole esplorativa che porta a un senso di meraviglia e scoperta costante, progressione suggerita dal level design e mai didascalica, pericoli nascosti in ogni anfratto dello scrolling e azione immediata, tosta, appagante. Hollow Knight è però tutt’altro che un gioco ancorato al passato, un’emulazione, o meglio, l’intento di Gibson e Pellen era certamente quello di ritrovare e ricreare nel loro gioco emozioni infantili, quelle del loro primo contatto videoludico, folgoranti, ma la volontà era portare quel tipo di esperienza nel presente, fast forward, sviluppandola in chiave moderna, lontana dal “tributo” e dalla nostalgia fine a sé stessa, estremamente rifinita e fresca, impossibile da etichettare come “retro”.

Hollow Knight Neoclassici

La piazzetta di Pulveria, ultimo baluardo prima della discesa nell’oscurità. Tornarci è sempre rinfrancante.

È il 2013 quando il progetto è al suo stadio larvale, in piena era post-Dark Souls, opera che attirerà Hollow Knight nella sua sfera d’influenza, quasi naturalmente, inevitabilmente. D’altronde anche la nuova vita di From Software nacque dalla necessità di Hidetaka Miyazaki di riscoprire e reinterpretare concetti di gameplay démodé, “fuori mercato”, dandogli un senso e una forma adatti al presente. È il contesto storico perfetto per un gioco del genere, tra Dark Souls e rinascita del 2D, infatti Hollow Knight comincia a fare notizia, creare hype, attirare backer su Kickstarter, bruciando velocemente l’obiettivo dei 37.000 dollari australiani e arrivando, alla fine, a 57.000 per mano di 2.158 sostenitori, finanziando cinque stretch goal e permettendo alla coppia di assumere un direttore tecnico, David Kazi, e un compositore che si rivelerà assolutamente fondamentale, Christopher Larkin.

Sarà per caso un omaggio a Metroid? Nessun metroidvania può prescindere da chi ha inventato il genere e nel buio entomo-alieno di Hollow Knight vibra il buio 8-bit del capostipite per NES.

Solo una cosa però doveva rimanere tale e quale ai giochi d’epoca, l’ingrediente segreto di Miyazaki per mantenere intatto quel senso di mistero non solo fondamentale a livello ambientale ma anche ludico: una sceneggiatura accennata ma intrigante, accompagnata e sorretta da una mitologia raccontata quasi esclusivamente per immagini. Una lezione che Team Cherry fa sua e che esploderà grazie alla spettacolare e distintiva direzione artistica gotico-entomologica dal tratto cartoonesco, interamente disegnata a mano da Gibson. Un worldbuilding esemplare, fantastico nell’adattare un’architettura spiccatamente fantasy all’idea che ad abitarla siano gli insetti (senza mai sacrificare la leggibilità), dando forma ad un immaginario suggestivo, vivido e profondo, ricco di contrasti, tratteggiando una società post-calamità dove l’ordine piramidale del Regno, crollato sotto i colpi della pestilenza, ha lasciato il posto all’organizzazione tribale, all’esoterismo, al fanatismo religioso, mentre la follia dilaga e uccide, ricordando la caduta dei Chozo in Metroid.

Hollow Knight Neoclassici

Nonostante i tratti puliti ed essenziali, la caratterizzazione di personaggi secondari e boss è di prim’ordine, contribuendo a creare un immaginario subito riconoscibile.

Hollow Knight diventa l’anti-A Bug’s Life, un mondo a misura d’insetto (dove le varie specie hanno ruoli e caratteristiche “naturali”, contribuendo alla solidità del contesto) sotterraneo, malato, decadente, avvolto da un’oscurità fitta e angosciante di tanto in tanto squarciata da sorprendenti botte di colore, popolato da personaggi grotteschi e senza speranza, dove il senso di pericolo si mescola al non detto, alla mancanza di punti di riferimento, accettando il rischio dell’esplorazione con l’aculeo sempre pronto a saettare.

LA FORMULA VINCENTE DI HOLLOW KNIGHT

Tratti scenografici che diventano diegetici in un gameplay che (ri)porta il metroidvania alle sue origini di proto-open world, non lineare, mai esplicito, fortemente interconnesso, in controtendenza rispetto alle opere di genere della new wave, come Guacamelee! o lo stesso Ori and the Blind Forest, che puntavano a un’esperienza più spettacolare, fluida e guidata. Entrare in una nuova area, rigorosamente senza mappa (col cartografo da trovare seguendo la sua voce, gran tocco di classe), procedendo cauti, tesi, agitati da un sound design strisciante come scarafaggi che si muovono nella notte, è un’esperienza intensa, esaltante, fisica e psicologica, sottolineata da meccaniche e tratti smaccatamente “Souls” come la rarità dei save point, la pericolosità della fauna locale e la condanna a perdere alcuni dei propri averi alla morte, ritornando poi sul luogo del delitto per scacciare la propria ombra e recuperare il bottino. Le boss fight in questo contesto diventano naturalmente catartiche, splendidamente costruite a livello ludo-scenografico, spietate e spettacolari, sicuramente tra le migliori del panorama 2D degli ultimi anni.

Il combat system evolve di pari passo con l’esplorazione, con la possibilità di personalizzare sostanzialmente le abilità del cavaliere senza però snaturare il moveset pensato dagli sviluppatori.

La scelta di non basarsi su una progressione del personaggio legata all’esperienza, al level up, ha poi permesso a Team Cherry di mantenere il livello di difficoltà costante, spingendo il giocatore ad affinare la propria manualità (con un accento sul platforming) e il feeling col cavaliere (azzardata ma vincente la scelta di fargli impugnare la stessa arma per tutta l’avventura), rendendo al contempo meno meccanico il backtracking e fondamentale la ricerca di segreti, vitali per migliorare le abilità del silenzioso protagonista (oltre ai power up obbligatori di rito). Un rapporto tra rischio e beneficio implicito e quasi sempre conveniente, ammiccante e stimolante, essenziale per secernere quella curiosità morbosa che è cibo per il gameplay, fluidificato da un mood quasi placido.

NON SI PERCEPISCE URGENZA, NON SI È MOSSI DALL’EROISMO MA DALLA SETE DI AVVENTURA

Non si percepisce urgenza, d’altronde c’è poco da salvare in questo mondo sospeso nel tempo, ed è la stessa natura del protagonista vagabondo, inizialmente estraneo all’equazione di Nidosacro, a diventare determinante: non si è mossi dall’eroismo o da motivazioni personali ma dalla sete di avventura, combattendo per scoprire, squarciare il velo di mistero, finendo accidentalmente per dare una speranza al sottomondo. Non è un caso che la longevità sia sproporzionata rispetto alla media dei metroidvania, oscillando tra le 30 e le 60 ore, lasciando respirare la sua enorme mappa bidimensionale, svelata cunicolo dopo cunicolo, imbattendosi accidentalmente in quest secondarie e rimettendo insieme i cocci della mitologia, della Storia. Un ritmo dettato dal senso dello spazio, dentro al quale la colonna sonora di Larkin risuona, echeggia, sprofonda, donando ad ogni ambientazione la sua identità musicale, amalgamando l’atmosfera in un viscoso contesto audiovisivo. Sonorità che vanno a ricordare addirittura certe composizioni di Nobuo Uematsu, estremamente organiche, espressive, ricche a livello strumentale, andando a pizzicare corde scoperte, sensibili.

Certe scenografie sono pazzesche, soprattutto quando l’oscurità cede il passo ai colori dominanti di ogni area. Cromo-narrativa.

Elementi amalgamati in maniera omogenea, senza che uno prevalga sull’altro, che restituiscono al giocatore un senso di coesione e coerenza rari. Col senno di poi il successo non stupisce, con più di 3 milioni di copie vendute tra tutte le piattaforme, frutto di uno sviluppo serio, metodico, realmente indipendente, finanziato dal basso e senza major alle spalle. E stupisce ancora meno che fin dal suo annuncio Hollow Knight: Silksong, sequel che vedrà protagonista Hornet, uno dei personaggi più interessanti dell’originale, sia costantemente nelle classifiche dei giochi più attesi, raccogliendo quanto seminato nel sottosuolo e pronto a sbocciare, ma solo quando la qualità dell’opera sarà ritenuta soddisfacente da Team Cherry, impegnato in uno sviluppo silenzioso, lontano dalle luci dell’hype a tutti i costi. Un classico moderno, influente e solidissimo nel gameplay, ora e negli anni a venire.

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