Un sentimento che diventa genere, quello dei Cozy Games. Amore, dramma, vendetta, tutte emozioni ben definite e protagoniste di centinaia tra film, libri e videogiochi. Quello che però in inglese è definito con il termine ombrello “cozy” è un insieme di sensazioni fisiche e psicologiche sfumate, meno delineate; è qualcosa di rilassante, avvolgente, comodo, intimo. Cozy è una serata invernale, avvolti in una coperta di lana a sorseggiare una tisana dal sentore di cannella e arancia, è prendere il sole in giardino, leggendo un libro e godendosi il calore del sole sulla pelle.
Cozy è fare giardinaggio, ascoltare musica lo-fi, cucinare ma anche passeggiare in riva al mare, senza particolari pensieri e senza particolari scopi. Ma come si fa a raccontare il relax, a renderlo interattivo e interessante? La risposta sembrano averla svariati studi indie che, grazie ai “cozy games”, hanno centrato il successo commerciale, creando e poi riempiendo una nicchia di mercato di cui, evidentemente, c’era un gran bisogno. Perché il videogioco non è solo sfida, ma anche un impagabile momento di decompressione.
SLOW GAMING IN COZY GAMES
Prima della “indie era” ci sono stati altri esempi di giochi esplicitamente rilassanti, chill, ovvero interessanti e coinvolgenti pur essendo, per design, privi di una sfida classica. Poi, certo, una persona si può tranquillamente rilassare anche con Doom, eh! Però pensiamo a tutta la touch generation di DS, con titoli come Nintendogs e Electroplankton, due esempi limpidi tra una sfilza di giochi nati per venire incontro ai non-giocatori, da tirare dentro incuriosendoli più che sfidandoli. Ma anche al bellissimo LocoRoco della rivale PSP di Sony, Katamary Damacy di Namco ma pure Viva Piñata di Rare per Xbox 360. Oppure i farming simulator, da Harvest Moon per SNES in avanti, nati come costola dei JRPG con lo specifico intento di calare il giocatore in un ambiente bucolico, lontano dalla quotidiana frenesia cittadina. Anche Nintendo ha sempre avuto un occhio di riguardo per i titoli più confortevoli, dal platforming gommoso, lento e umoristico di Kirby ad Animal Crossing (a sua volta una reinterpretazione dei farming sim), con l’ultimo capitolo per Switch che è diventato rifugio di milioni di persone nel terribile periodo della pandemia e, sicuramente, ha contribuito in maniera decisiva a cementare la rilevanza sul mercato di questo tipo di titoli, insieme al fenomeno Stardew Valley. Soprattutto nel contesto pandemico e post-pandemico, quando si è cominciato seriamente a mettere in discussione convenzioni che davamo per scontate, a cercare un ritmo di vita più sano e bilanciato, il cozy gaming è diventato quasi un atto politico, una necessità sociale per tutta una generazione di giocatori.
Quelli che prima erano considerati, in maniera tranchant e reazionaria, dei titoli di serie B, per chi non era abbastanza abile, “skillato”, roba infantile, hanno invece assunto sempre più rilevanza sulla scena
Spesso i cozy games sono infatti molto legati alla vita reale, per tematiche e giocabilità, spesso incentrati sulla casa, gli hobby o il lavoro, reinterpretandoli però in chiave anti-stress, come a esorcizzare una certa routine
GIOCHI INTEGRATI NEL QUOTIDIANO
Spesso i cozy games sono infatti molto legati alla vita reale, per tematiche e giocabilità, spesso incentrati sulla casa, gli hobby o il lavoro, reinterpretandoli però in chiave anti-stress, come a esorcizzare una certa routine, una cura detox. I “coffee simulator” come Coffee Talk (e seguito) o VA-11 Hall-A (coi cocktail al posto dei caffè e l’atmosfera cyberpunk) ripensano l’atmosfera del bar e il ruolo del barista, che diventa un confidente, quasi una via di mezzo tra psicologo e alchimista, capace di trattare con empatia tanto la materia prima quanto i propri clienti. Sempre di lavoro si parla, ma qui invece si interpreta una postina. Meredith in Lake è l’esempio perfetto di “quiet quitting”; ritirarsi dalla vita di città, dagli uffici, dal caos, per tornare alle origini, in un paese a misura d’uomo, in riva al lago, un lavoro all’aria aperta a contatto con le persone del luogo. Un camioncino da guidare, il panorama fuori dal finestrino e un capo da ghostare. Bellissimo. C’è poi un vero caso videoludico di un paio d’anni fa, quell’Unpacking capace di raccontare la storia della sua protagonista senza dire neanche una parola, ma lasciando al giocatore l’onere e l’onore di sistemare le sue cose, trasloco dopo trasloco, ripercorrendo la sua vita, le sue relazioni, dalla cameretta fino alla convivenza, dalla vita da single alla famiglia.Spesso questi titoli si affidano a forme di storytelling inedite, perfettamente integrate al gameplay, inscindibili e innovative. Altre volte di narrativa non c’è neanche l’ombra invece, come A Little to the Left, che sarebbe stato il gioco preferito dell’ossessivo compulsivo detective Monk, dove il puzzle game incontra la mania dell’ordine in modo estremamente chic e umoristico. Mini Metro e Mini Motorways trasformano treni e traffico in musica, colori, movimento stilizzato ed elegantissimo, mini city builder dove ogni run è destinata finire nel caos, tra stazioni sovraffollate e autostrade intasate, facendo riflettere sui ritmi e sugli spazi della nostra vita urbana. Un altro sotto-genere che indaga gli spazi in modo interessantissimo è quello dei simulatori di fotografia come Toem, Pupperazzi e Umurangi Generation che, attraverso l’obiettivo della macchina fotografica riescono a raccontare mondi e prospettive racchiusi nel momento dello scatto
Soprattutto nel contesto pandemico e post-pandemico, quando si è cominciato seriamente a mettere in discussione convenzioni che davamo per scontate, a cercare un ritmo di vita più sano e bilanciato, il cozy gaming è diventato quasi un atto politico