Antica Libreria TGM #22: B-Human. Vite di seconda classe nell'industria dei videogiochi

Un grande classico del giornalismo italiano sono le recensioni accomodate. Funziona così: uno della redazione – di solito uno famoso – scrive un libro e nella pagina della cultura dello stesso giornale qualcun altro – più o meno famoso a seconda dei casi – ne scrive una recensione, ovviamente estasiata. Altrettanto ovviamente, il segreto è non fare menzione di tutti questi rapporti intrecciati e affidarsi alla distrazione o all’ingenuità dei lettori. Ora, è successo che due loschi figuri della redazione di TGM, Alteri e Iacullo, abbiano scritto un libro. Loro però non sono esattamente famosi e per quanto riguarda me mi riconosce giusto il cane quando torno. Però che li conosco ve l’ho detto e ci aggiungo che la copia del libro me l’ha gentilmente fornita l’editore. Ora che sapete tutto, possiamo cominciare.

FILE 022 – B-Human. Vite di seconda classe nell’industria dei videogiochi

Dove trovarlo: Ledizioni

Quello che noi chiamiamo giornalismo videoludico è in realtà un’altra cosa. Lo è ormai anche il giornalismo a tutto tondo, quello classico, ma questo sarebbe un discorso troppo lungo e ci porterebbe troppo lontano dal nostro settore. Per affrontare il discorso è invece utile iniziare da una definizione: il giornalismo è il cane da guardia del potere. Partendo da qui è facile capire come quello videoludico non sia e non sia mai stato giornalismo; basti pensare a come quasi l’intera produzione si riduca a recensioni e news, dove le prime sono largamente intese come consigli per gli acquisti e le seconde sono diventate copia&incolla di comunicati stampa a cui si appiccica un titolo clickbait.

QUELLO CHE NOI CHIAMIAMO GIORNALISMO VIDEOLUDICO È IN REALTÀ UN’ALTRA COSA

Qualche eccezione c’è, soprattutto allargando il campo alla stampa internazionale. Il più famoso è Jason Schreier, il cui recente passaggio a Bloomberg è l’emblema di come funziona il nostro piccolo angolo di mondo. Il buon Jason è diventato un po’ il simbolo di un diverso approccio al parlare di giochini. Dopo la pubblicazione di Blood, Sweat & Pixels, libro in cui racconta la realizzazione di alcuni giochi di successo e che di fatto ha portato sulla mappa il tema del crunch, Schreier ha affrontato sempre più di frequente nei suoi articoli le tematiche del suo libro-inchiesta, complicando la propria vita professionale e quella del suo editore. Per capirne il perché e perché il passaggio di Jason Schreier a Bloomberg sia una notizia bisogna conoscere come funzionino le redazioni delle riviste di videogiochi, la cui esistenza (e dunque la sopravvivenza economica) dipende dalla capacità di pubblicare recensioni con un certo tempismo e questo tempismo è scandito dai publisher che distribuiscono secondo il loro volere i codici review (oltre a comprare gli spazi pubblicitari). Si può immaginare a questo punto quanto “SITO DI VIDEOGIOCHI A CASO” possa essere entusiasta di pubblicare un’inchiesta sulle pratiche lavorative di una software house con un giocone in uscita e banner sparsi tra le pagine. Il rischio è quello di non aver più i codici o di vedere chiudersi i cordoni della pubblicità. Un timore che non tocca Bloomberg, a cui di avere il codice del prossimo AAA interessa zero.

È un segreto di Pulcinella, ma è anche la chiave di volta per capire come funziona l’industria e l’editoria che vi ruota attorno. Gli eventi recenti hanno aumentato la sensibilità anche dei lettori verso alcune tematiche e quindi nelle colonne delle news ormai più o meno quotidianamente, purtroppo, appaiono le notizie di licenziamenti e riorganizzazioni aziendali (il capitalismo ha un vocabolario davvero divertente)..

NON BASTEREBBE TUTTA LA CARTA DEL MONDO A RACCONTARE TUTTO

Va riconosciuto ad Alteri e Iacullo di essere tra i pochi ad alimentare un discorso online tra social e autoproduzioni che non si limita alla dimensione commerciale del prodotto videogioco, ma che include anche la dimensione etica e sociale legata al suo consumo, attirando per altro poche simpatie anche tra i colleghi di settore.

La copertina di B-Human. Vite di seconda classe nell’industria dei videogiochi.

Persino nel loro caso, comunque, per affrontare in maniera sistematica il tema hanno dovuto migrare altrove, nell’editoria di varia. Al di là della facile ironia del cappello introduttivo, non credo sia questo il luogo per una trattazione critica del loro lavoro con B-Human, per un evidente conflitto di interessi. Lascio ad altri il compito, anzi mi limito a muovere un paio di critiche, seppur ovviamente bonarie, siamo pur sempre in redazione. Per un totale estraneo al mondo dei videogiochi, immagino che la scrittura possa risultare un po’ troppo compressa e forse non chiarissima (ma sono loro stessi ad ammettere in coda al volume che non basterebbe tutta la carta del mondo a raccontare tutto); e qua e là ogni tanto fa capolino un tono un po’ canzonatorio che appartiene a loro, ma che non apprezzo fino in fondo (poi è un po’ come  lamentarsi della vernice sui monumenti mentre le città vengono sommerse dal fango, me ne rendo conto).

Dopo di che, parlare di B-Human: Vite di seconda classe nell’industria dei videogiochi ha rappresentato comunque un’ottima occasione per portare qualche chiacchiera sull’etica del settore all’interno della Libreria, il che non guasta visto che in fondo lo scopo di una rubrica letteraria è quello di allargare gli orizzonti. Continuo a sospendere il giudizio critico, ma penso che leggere il lavoro di Alteri e Iacullo possa aiutare a sviluppare una maggiore consapevolezza come fruitori di videogiochi, dopo di che si è comunque liberi di fregarsene e continuare a trattarli come giocattoli. Se però nell’epoca che viviamo il consumo etico è impossibile, quello consapevole appare comunque come la migliore opzione sul tavolo.

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