Cosa vuol dire indie? (Ma soprattutto perché dovrebbe fregartene) - L'Opinione

Da etichetta per indicare il videogioco fuori dalle major a spazio occupato abusivamente dalle major stesse: a noi giocatori che cambia? Spoiler alert: più di quello che penseresti. “Nota sulla terminologia. Ho parlato con Lorne Lanning di Oddworld di questo spazio tra i Tripla-A e gli indie quest’anno alla GDC di San Francisco [era il 2014, n.d.r]. Lui ha usato l’espressione “AAA indie”. Io uso la più neutrale “indipendente AAA” perché c’è un particolare ethos, una cultura e un’energia che circonda la parola “indie” che io ammiro ma non sento di essermi guadagnato.“

— Tameem Antoniades (co-fondatore di Ninja Theory), “The Indiependent-AAA proposition”, 2014

Nel 2010 la differenza tra un Super Meat Boy e un Mario Galaxy 2 era talmente evidente che nessuno ha mai nemmeno pensato di tracciare una linea netta che separasse questi due estremi. D’altronde Super Meat Boy era il sequel di un giochino flash che quasi per caso era finito su Xbox Live Arcade mentre Mario… Beh, era Mario. Provare a tracciare questa stessa linea oggi è molto meno intuitivo. Pensaci: se il criterio fosse l’essere auto-pubblicati allora sullo stesso scaffale di Super Meat Boy dovremmo mettere anche Black Myth: Wukong o addirittura Baldur’s Gate 3, quando è stata la stessa industria Tripla-A a dire davanti all’opera di Larian che non può essere considerato uno standard a livello produttivo perché si setterebbe l’asticella troppo in alto, più in alto di quanto Meat Boy avrebbe mai potuto saltare. E quindi, che facciamo?

INDIE PER CUI

La prima domanda da porsi in realtà dovrebbe essere “perché dobbiamo farlo?”. Alla fin fine da questo lato del pad poco cambia se chiamiamo un gioco indie, Tripla-A o tutto quello che ci sta in mezzo, la cosa importante dovrebbe essere il gioco. Solo che banalmente per giocare qualcosa dobbiamo prima renderci conto che esiste, e in un mercato che produce sempre di più si finisce per emergere perché si ha avuto una migliore campagna marketing – o perché per un tiro di dadi Twitch e TikTok hanno deciso così. Fare un bel videogioco non basta più, ed è anche per questo che l’etichetta “indie” negli ultimi anni è diventata così inflazionata. Potersi definire indie permette di presidiare tutti quegli spazi dedicati a questa fascia di mercato – inevitabilmente è soprattutto un discorso di soldi – e di concorrere nelle categorie a tema dei vari award del videogioco, beneficiando di quella visibilità. Per i giocatori tutto questo si traduce con un termine che ormai evoco sempre più spesso: “discoverability”, cioè la “scopribilità” di un videogioco. Se nel calderone dell’indie inizia a finirci roba che per un motivo o per l’altro ha le spalle coperte ne fanno inevitabilmente le spese i titoli più deboli mediaticamente parlando, o quelli a cui l’algoritmo non ha sorriso.

Ravenous Devils è uno di quei giochi che deve molto del suo successo a TikTok: grazie a un singolo video il gioco a qualche giorno dal day one ha avuto un secondo picco di vendite.

Capito perché ci interessa, adesso, cosa vuol dire indie oggi? Come per nditeun sacco di etichette che nel videogioco non si sono mai andate a codificare in modo preciso (tipo quella “soulslike”) ora come ora “indie” è una definizione empirica che si affida soprattutto alle sensazioni che un gioco lascia. Al di là della forzatura con cui si è aperto questo articolo empiricamente siamo in grado di dire che tutto sommato Baldur’s Gate 3 non è un videogioco indie, perché rispetta tutti i canoni che nella nostra testa (e quindi sul mercato) si associano alle produzioni Tripla-A. Non sappiamo però spiegare esattamente il perché. È per le dimensioni dello studio? E allora questo vorrebbe dire che al di sopra di un certo numero di dipendenti si perde lo status di indie. Come fissiamo questo numero? E quali sono i criteri per conteggiare il numero di persone che hanno effettivamente lavorato ad un videogioco? Quanto tempo e/o che mansioni bisogna ricoprire?

Non sappiamo però spiegare esattamente il perché. È per le dimensioni dello studio? E allora questo vorrebbe dire che al di sopra di un certo numero di dipendenti si perde lo status di indie

Un altro criterio che potrebbe venire in mente è la dimensione del progetto. Qui oltre al problema di stabilire il magic number oltre il quale si smette di essere indie bisogna considerare che spesso e volentieri non abbiamo assolutamente idea di quanto sia costato un videogioco, e chi lo produce è molto restio a comunicare apertamente queste cifre. Si potrebbe allora pensare di lasciar perdere i numeri ed appellarsi al concetto di indipendenza dal punto di vista creativo, ma anche da quel punto di vista non si può fare altro che prendere in parola lo sviluppatore (a parte sperare in qualche gola profonda che decida di contattare il Jason Schreier di turno per raccontargli in forma anonima la sua verità), magari soggetto pure a qualche NDA per cui è costretto a ricorrere a no comment e dichiarazioni di facciata.

Si potrebbe allora pensare di lasciar perdere i numeri ed appellarsi al concetto di indipendenza dal punto di vista creativo

Ci sono poi dei casi specifici dove è difficile stabilire dei confini netti sull’indipendenza creativa: Inscryption di Daniel Mullins (pubblicato da Devolver nel 2021) nasce in realtà nel 2018 durante una game jam – più precisamente la 43esima Ludum Dare. All’epoca il progetto si chiamava Sacrifices must be made, ed è ancora disponibile sulla pagina itch.io di Mullins. Ad un certo punto della faccenda arriva Devolver con quello che probabilmente era un pacco di soldi funzionale a rendere Inscryption il gioco che poi abbiamo giocato. Quanta carta bianca avrà effettivamente lasciato Devolver a Mullins? Non c’è dato saperlo. E se accettiamo che un gioco pubblicato da Devolver perda il suo status di indie visto che Devolver è una società quotata in borsa con un’influenza mediatica sugli addetti ai lavori percepibile (così percepibile che Trek to Yomi l’abbiamo giocato tutti nonostante facesse tutto sommato abbastanza schifo), quand’è che durante il suo sviluppo Inscryption ha smesso di potersi definire indie?

Sempre a proposito di Mullins, va assolutamente recuperato Pony Island. Anche in vista del sequel.

MA QUINDIE?

L’unica cosa che posso dire è che a pelle non ce la faccio a dire a Andrew Shouldice che il suo Tunic non è davvero indie perché l’ha pubblicato Humble Games, nonostante Humble Games faccia parte dello stesso gruppo di IGN Entertainment (giusto per complicare le cose aggiungendo anche il conflitto di interessi). È una sensazione personale, perché credo che attorno a Tunic ci sia quello stesso ethos che evocava Antoniades già nel 2014. 10 anni dopo possiamo dire che la sua etichetta, “indipendente Tripla-A”, non ha mai davvero preso piede, e lo stesso Hellblade (che poi è il progetto nato all’interno di quella proposta) ha finito per essere acquistato da Microsoft assieme a tutta Ninja Theory. Da un paio di anni si sta utilizzando una definizione molto simile, Tripla-I, che però giocoforza ricorrendo al termine “indie” e non a quello “indipendente” vuole comunque reclamare quell’ethos, o più prosaicamente quegli spazi di cui si parlava prima.

L’unica soluzione che posso dare io in questo, di spazio, è quella di continuare a discutere la questione ogni volta che è possibile, pubblico e sviluppatori

L’unica soluzione che posso dare io in questo, di spazio, è quella di continuare a discutere la questione ogni volta che è possibile, pubblico e sviluppatori. Perché se trovare una quadra forse è impossibile l’unico modo che abbiamo per sviluppare un minimo di consapevolezza del medium è coltivare il seme del dubbio, continuare a chiedersi se alla fine Tunic sia da incasellare come indie o no. Perché forse la risposta è questa: dimostrare di essere noi per primi quelli che sono circondati da quella certa ethos, cultura ed energia.

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