“Tu sai perché sei qui. Sai cosa ti ha condotto in questa casa. Se non uccidi la principessa, l’intero mondo verrà distrutto”. A dire queste parole è il narratore di Slay the Princess, opera indipendente sviluppata e pubblicata da Black Tabby Games un anno fa. Da qualche giorno, è anche disponibile su console, dopo essersi assicurata voti estremamente positivi e un’accoglienza su Steam che lo ha definito davvero, davvero un capolavoro, nell’immenso parco titoli delle avventure narrative. È diventato, a tutti gli effetti, un reale esponente del genere al pari di altre grandi produzioni, facendo semplicemente ciò che spesso, e in modo alquanto diffuso, riesce complesso ai team più blasonati: scrivere una storia.
A volte è bene esista, che il gameplay sia legato appunto a quest’ultima, e che le scelte messe in campo mettano in difficoltà. Slay the Princess fa piombare nell’oblio, dona certezze, tenta di dare sicurezze… ma nulla è effettivamente reale. Niente è davvero palpabile. Chi siamo, noi? Da dove veniamo? È un mistero. Stringiamo un pugnale acuminato, abbiamo una missione, quel narratore ci dice che dobbiamo porre fine alla vita della principessa e fuggire. Ma perché? Non esiste un’altra scelta?
FIDARSI O NO?
Ne esistono mille, ma direi pure di più. Uccidere la principessa, o salvarla, lasciando che il mondo faccia la fine che merita. È un’idea che mi è bazzicata tante volte in testa, senza però arrivare mai a realizzare quell’intenzione. Tanto, ecco, si sta autodistruggendo, come si sta notando in queste ore, tra inondazioni e un’umanità latente ormai bellamente allo sfacelo. Non serve altro che staccare la spina e lasciare che tutto quanto finisca per sempre. È un po’ cosa chiede il narratore di Slay the Princess in qualsiasi nuovo arco narrativo delle vicende raccontate da Black Tabby Games.
“Uccidi la principessa e salverai il mondo”. È come dire che è meglio fare del male a un’ape per non lasciarsi pungere, non ricordandosi però che si compromette completamente l’ambiente, scegliendo di ammazzarla. È una chiave di lettura semplicistica, ma la prima volta che conclusi Slay the Princess arrivai a una conclusione analoga, che probabilmente meritava un’analisi più oculata. A distanza di un anno dalla mia recensione, ho rammentato perché è così complesso riuscire ad andare oltre quel velo di mistero che cela un personaggio considerato malvagio. Ed è qui che intendo soffermarmi: non si ha mai l’assoluta certezza che la principessa sia effettivamente la cattiva della situazione.
Slay the Princess, in un modo del tutto originale, si parla di libertà
In Dracula di Bram Stoker, la grande opera dello scrittore irlandese, si parla di come il vampiro più famoso e pericoloso del tempo ebbe la capacità di attirare le attenzioni di un vecchio avvocato. Esattamente come un Jonathan Harker alla ricerca della verità nel castello di Bram, considerato il maniero in cui Vlad Tepes visse, il narratore racconta di un cavaliere perduto alla ricerca di una nuova strada. Intende salvare il mondo per sempre e, per questo, è pronto a tutto. Se poi però ciò cambia, cosa può accadere? Ci sono mille motivi per cui qualcuno potrebbe spingersi a rivedere totalmente le sue azioni. Dracula uccideva perché aveva bisogno di nutrirsi, ma la principessa – in ogni sua forma – lo fa perché ama vivere. Ama vivere nonostante la sua esistenza comprometta per sempre il mondo per com’è conosciuto. E nonostante il mondo intero la voglia morta.
QUANDO LA CHIESA METTEVA LO ZAMPINO
Ora, provate a immaginare il contesto storico. In Slay the Princess si racconta di un mondo medievale, in cui il bene e il male sono reali e tangibili. Il narratore racconta che la principessa è il male assoluto, che è la malvagità, che è da estirpare. Il narratore è certo delle sue tesi, tanto che per gran parte dell’avventura ero pure disposto a credergli. In un contesto del genere, con il tallone della Chiesa messo sulla gola dei poveri e dei disperati, era complesso riuscire a trovare la verità che non arrivasse dalla coscienza.
Gli unici a poterlo fare senza che la Santa Inquisizione giungesse all’uscio di casa erano, per l’appunto, gli uomini con un crocifisso al collo, alcuni di essi certamente pii, ma altrettanti degli approfittatori, interessati più al sodalizio e alla pecunia che a rendere migliore il mondo. Il narratore di Slay the Princess racconta allo stesso modo le vicende, facendo capire che il cattivo è quello legato con una catena a una parete e che è il momento di ucciderlo per impedirgli di compiere ulteriori atrocità. Per gran parte dell’opera non viene spiegato affatto cosa abbia fatto la principessa di così orribile.
La Chiesa ha arso innocenti nel nome di Dio, e intanto…
UCCIDERE, SALVARE O AMARE LA PRINCIPESSA
Ma come, poco fa non ho detto che il narratore è una guida? In Slay the Princess, ben più che in qualsiasi altra avventura narrativa, è sempre bene non farsi ingannare dalle apparenze. La giovane è legata con delle catene, e inizia a parlare di come si sente, ma mai del perché si trova in quel luogo. Ciò si apprende successivamente, quando le si dà effettiva confidenza, andando oltre quel velo di mistero che la circonda, il quale è supportato da un modo elegantissimo per proporsi in modo adeguato al giocatore. Collegandomi a personaggi realmente malvagi, la ragazza non sembra essere mai effettivamente la cattiva della situazione. Si ha la certezza che niente, da lei, potrebbe capitare.
Eppure, quando si decide di salvarla, o anche solo di ascoltarla, qualcosa muta; qualcosa diventa incontrollabile, tanto che il racconto sembra dare ragione al narratore, per certi versi. Black Tabby Games ha creato un videogioco che pone a delle riflessioni sul senso della verità e di cosa s’intende ascoltare. Slay the Princess diventa horror quando si decide di ascoltare la propria testa, invece che l’imposizione voluta dal narratore.
Strapparsi la carne. Letteralmente
LIBERACI DAL MALE
In Slay the Princess tutto viene comunicato attraverso dei dialoghi. Il gameplay è legato a risposte e a scelte da compiere, ad azioni che si tramutano in conseguenze reali. Questo peso lo si avverte sulla schiena così tanto che diventa quasi complesso riuscire a sostenerlo, e talvolta si vorrebbe non provarlo. Quando si tratta di stringere un pugnale e di affondare il colpo nel collo della principessa, sembra quasi tutto più semplice. Qui mi ricollego al discorso di prima, quello sul male che può consumare la bellezza del mondo.
È complesso riuscire a cogliere cosa provi realmente la giovane, com’è difficile carpire altro dalla stessa, ma è comunque importante asserirlo: la ragazza ha perso tutto. Ha smarrito la felicità, poiché, al suo posto, è sopraggiunto il disprezzo. E immagino che il motivo per cui il mondo potrebbe disintegrarsi, se non viene assassinata prima che accada, sia per questo motivo. Qualunque sia la lettura che qualcuno ha deciso di dare alla produzione, è libera. È libera perché quel cavaliere in costante difetto, che non sa cosa fare né come comportarsi, è il giocatore. Siamo noi, siamo quel cavaliere con la spada puntata al collo della giovane, in procinto di cogliere il momento per arrivare a dare il colpo fatale.
È complesso riuscire a cogliere cosa provi realmente la giovane, com’è difficile carpire altro dalla stessa, ma è comunque importante asserirlo: la ragazza ha perso tutto