Chiunque scriva, per diletto o per professione, è incappato almeno una volta nella “sindrome di Jack Torrance”. Si tratta dell’impulso di scrivere in maniera ossessiva e ripetitiva la stessa frase. Una volta, dieci volte, cento volte. È successo anche a me, dopo aver trascorso quattro ore filate a sudare con Spike Volleyball. Chiudendo gli occhi sono apparse davanti a me quattro parole. Come se fosse un vecchio listato per Commodore 64, dopo aver digitato “run”, nel mio schermo mentale si susseguiva riga dopo riga la stessa frase: non comprate questo gioco. Non comprate questo gioco. Non comprate questo gioco. Non comprate questo gioco.
PALLA MAGICA
Spike Volleyball mette le cose in chiaro sin dall’inizio. Ancor prima di essere accolti dalla schermata dei titoli, una partita/tutorial illustra le basi di gioco. E lo fa in maniera perfetta, evidenziando cioè i drammatici problemi che affliggono indistintamente il comparto tecnico e quello strutturale. Le prime perplessità derivano da meccaniche di gioco che limitano al minimo la libertà di movimento, e che lasciano la sensazione di avere a che fare con dinamiche sin troppo forzate e lineari. È vero che la pallavolo è uno sport che segue schemi ben precisi, ma il titolo di Bigben Interactive incanala tutto in una ripetitiva sequenza di azioni che risultano noiose già dopo pochi set. In definitiva, si preme un tasto con il giusto tempismo per effettuare la ricezione, si sceglie a chi alzare la palla e si schiaccia muovendo il puntatore nella metà campo avversaria per indirizzare il colpo. Nel fare questo, si perdono però tantissimi gesti tecnici che rendono interessante la pallavolo. È impossibile ad esempio calibrare l’attacco per eseguire un “mani e fuori” o anche solo fintare un primo tempo con il centrale. Insomma, troppo spesso si colpisce la palla e si spera che tutto vada per il meglio.
Le meccaniche di gioco limitano al minimo la libertà di movimento
PALLAVOLISTI IN CARRIERA
La vita dell’aspirante pallavolista di Spike Volleyball non è particolarmente ricca, oltre a non essere caratterizzata da spunti originali o brillanti. Ci sono le partite amichevoli, i tornei, i match online (a patto – impresa non da poco – di trovare qualcuno da sfidare) e infine la Carriera. Quest’ultima, l’opzione che dovrebbe rappresentare il fulcro dell’esperienza di gioco, si rivela ben presto una versione annacquata delle controparti viste in altre simulazione sportive. In estrema sintesi si tratta di un susseguirsi di incontri in fantomatiche competizioni internazionali in cui si affrontano compagini costituite da illustri sconosciuti. Le squadre, maschili e femminili, sono abbastanza numerose, ma l’assenza di licenze ufficiali è un peso che, ai giorni nostri, si fa sentire in maniera piuttosto evidente. Tra una partita e l’altra, unico elemento gestionale a disposizione, è possibile inviare degli osservatori in giro per il mondo in cerca di nuovi talenti da aggregare alla propria squadra o da trasformare in “consulenti”. Tutto qui. Manca una qualsivoglia schermata legata agli allenamenti, o un sistema di evoluzione che ricompensi in un modo qualunque i risultati ottenuti sul campo. Sarebbero bastati punti esperienza da spendere nelle schede dei singoli giocatori o una maggiore profondità nello scouting per fornire qualche spunto capace di mantenere desto l’interesse almeno per qualche minuto. Così, purtroppo, è davvero troppo poco.
La vita dell’aspirante pallavolista di Spike Volleyball non è particolarmente ricca
Riuscire a trovare un solo elemento di Spike Volleyball che si avvicini a una risicata sufficienza è una vera (e fallimentare) impresa. Gli enormi problemi grafici si ripercuotono sulle dinamiche di gioco, con un susseguirsi di bug e glitch da far accapponare la pelle. Assistere a un singolo scambio che si sviluppa in maniera normale e coerente è una vera impresa, con azioni che si susseguono tra colpi invisibili, impatti improbabili e attacchi di narcolessia dei giocatori controllati dalla cpu. La pochezza nel comparto opzioni è la pietra tombale su un titolo mediocre, che potrebbe causare una crisi depressiva anche al più accanito pallavolista.