Uno studio sostiene che chi si identifica come ‘gamer‘ sia più facilmente incline a comportamenti estremi ed eccessivi dando sfogo a razzismo e sessismo, oltre che a difendere in modo jihadista la comunità giocante. I giocatori rispondono allo studio difendendo in modo razzista, sessista e jihadista la comunità giocante. Tutto normale?
Il problema fondamentalmente è questo: letta una headline che ci fa salire il sangue alla testa non siamo in grado di dare delle risposte che la smentiscano. Ci fermiamo al titolo – peggio ancora, ci fermiamo alla rabbia che proviamo per colpa di quel titolo, al punto che tutto quello che è potenzialmente un attacco ai videogiochi diventa qualcosa da combattere. Leggi di uno studio che parla di come chi si identifica come gamer sia più incline ad una serie di comportamenti tossici e invece di applicare il tuo vissuto a questa informazione la interpreti come l’ennesimo caso in cui i mass media dicono che i videogiochi abbruttiscono la persona, l’ultima di una lunga serie di caccia alle streghe partita con DOOM e Mortal Kombat e culminata col Senatore Cangini.
letta una headline che ci fa salire il sangue alla testa non siamo in grado di dare delle risposte che la smentiscano
Che ci sia un problema di sessismo nei videogiochi è assodato. Si potrebbero citare un’infinità di casi da affiancare a quello di Estelle Tigani. Rimanendo sempre in Santa Monica, un paio di anni fa Alanah Pearce entrava nel team come junior writer. Il tenore dei commenti sui social e nelle varie community spaziava dalle battutacce da frat boy culture in piena regola – del tipo “chissà a chi l’avrà data” e “ecco perché Cory Barlog non sta dirigendo Ragnarok” – fino ad illazioni sulla professionalità di Pearce, etichettata come una “personaggia di Internet” assunta solo per il marketing e non per le sue competenze nonostante quello di scrivere i videogiochi sia il suo lavoro. All’annuncio del rinvio del gioco si è addirittura arrivati ad addossarle la colpa, con conseguente altro giro di molestie a mezzo Internet.
All’annuncio del rinvio del gioco si è addirittura arrivati ad addossare la colpa alla povera Alanah Pearce, con conseguente altro giro di molestie a mezzo Internet

Lo sapevi che all’annuncio di Final Fantasy 7 Remake c’è stata una polemica perché Square Enix ha ridotto il seno di Tifa? Però tranquilli, Nomura lasciamolo pure a piede libero…
Com’è l’ambiente di lavoro medio all’interno dell’industria? Ricollegandoci al concetto di frat boy culture evocato prima, qualche mese fa Activision-Blizzard è stata messa sotto inchiesta dal California Department of Fair Employment and Housing proprio per l’atteggiamento dei suoi dipendenti. Valigie riempite di dildo durante le trasferte, latte materno rubato dal frigorifero e foto dei genitali inviate nelle chat di lavoro. Il simbolo di tutto quello che c’è di sbagliato sul tema in Activision è la famigerata Cosby Suite dell’ex designer di World of Warcraft Alex Afrasiabi. Prima dell’azienda americana succedeva qualcosa di molto simile in Ubisoft, in una sorta di #metoo a sfondo videoludico che ha portato la casa francese a far fuori diversi dei suoi executive per via di atteggiamenti sessisti e razzisti sul posto di lavoro.
Basterebbe evocare lo spettro del Gamergate per dimostrare questo legame, ma parlare di spettro sarebbe improprio.
Basterebbe evocare lo spettro del Gamergate per dimostrare questo legame, ma parlare di spettro sarebbe improprio. Il Gamergate è ancora vivo, come ha ben dimostrato l’estate del 2019 a ridosso dell’uscita di The Last of Us parte II, con una vera e propria campagna d’odio nei confronti del gioco accusato di essere “troppo liberale” per via delle tematiche affrontate in-game. Notizie false, leak contraffatti, fantasiose comparative in cui si accusava Naughty Dog di aver reso Joel fisicamente più debole con un preciso intento propagandistico.
The Last of Us Parte II ha come tema fondante quello della necessità di spezzare il ciclo di odio che noi esseri umani non facciamo che reiterare

Aloy dopo essere andata dagli estetisti di Nexus Mod. Più “perfetta” forse, ma sicuramente meno plausibile. E quindi meno Aloy.
Insomma, alla luce di tutto questo davvero ci stupisce che uno studio dica che chi si identifica come videogiocatore è statisticamente più incline alla tossicità? Prova a pensare banalmente al tuo vissuto. Ai commenti che leggi nei vari gruppi e sui vari siti, magari anche a quelli che fai tu in prima persona.
davvero ci stupisce che uno studio dica che chi si identifica come videogiocatore è statisticamente più incline alla tossicità?