Becoming Saint – Recensione

PC

Becoming Saint ti trasforma in un predicatore lanciato verso la santità, nel cuore dell’Italia del XIV secolo, tra battaglie non letali, seguaci da sfamare e una fede da plasmare.

Sviluppatore / Publisher: Open Lab Games / Firesquid Prezzo: € 14.99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 7+ Disponibile su: PC (Steam) Data di uscita: Già disponibile

Dimenticate miracoli e martiri. Becoming Saint, annunciato lo scorso anno e recentemente sbarcato su Steam, prende la figura della santa e la trasforma in una figura politica, manipolatrice oltre che assetata di dominio spirituale e culturale. A capo di un culto personale, la protagonista non cerca di diffondere il Verbo, ma di piegare l’Italia medievale alla propria visione del mondo, impiantando dottrine, impostando regole, convertendo città, schierando truppe di seguaci e assicurandosi l’appoggio di un preciso numero di cardinali.

Un’idea affascinante, originale, che mette insieme strategia, battaglie non violente su griglia, costruzione dottrinale e gestione delle risorse in un impianto roguelike dove ogni run, se dice bene, può portare addirittura alla santità. Peccato solo che, per quanto audace e pieno di spunti intriganti, Becoming Saint tenda a inciampare nei suoi stessi meccanismi.

L’ASPIRANTE SANTA SEI TU

L’elemento più cool risiede nella costruzione identitaria della protagonista. Ogni partita inizia con tre scelte che definiscono la nostra personalità: anarchica, capitalista, machiavellica, pacifista e così via. Questo archetipo influisce su dottrina, eventi e persino sulle unità disponibili. Non si tratta però di una scelta rigida: con l’avanzare della run, infatti, è possibile mutare la propria indole, evolvere il credo o persino contraddirsi. Una beata può diventare una sanguinaria crociata, oppure un’utopista egualitaria, purché riesca a gestire le conseguenze.

Becoming Saint

Prima run: full anarchia.

Tuttavia, l’illusione di libertà ideologica presto mostra qualche crepa. Le opzioni di dialogo e scelta, che dovrebbero nascondere effetti e ricompense per incentivare l’immedesimazione, in verità rivelano abbastanza chiaramente il risultato delle proprie azioni. Il senso di rischio e scoperta ne esce quindi smorzato, e col tempo si ha la sensazione che le partite – seppure diverse nel contenuto in base alle nostre scelte – seguano un’impostazione guidata. Questo non toglie valore alla struttura roguelike, la quale resta sicuramente solida e ben articolata.

l’illusione di libertà ideologica presto mostra qualche crepa

Ogni partita prevede una lenta ma continua crescita: si sbloccano nuove unità, si scoprono sinergie e si affina la propria strategia, un città alla volta partendo da Assisi. Anche se i rami dottrinali sono limitati, le combinazioni fra approccio bellico, tipo di fede e stile di conquista mettono sul piatto un buon margine sperimentale e di personalizzazione del proprio culto.

BECOMING SAINT: GUERRA A COLPI DI CARISMA

Il cuore ludico di Becoming Saint è diviso in due anime. Da un lato c’è la mappa dell’Italia del 1349, divisa in città da conquistare, ognuna con valori di potere, cibo e fede differenti; dall’altro c’è il campo di battaglia, una scacchiera dove le unità si muovono automaticamente – o manualmente: io per praticità ho optato per l’auto – dopo la pianificazione iniziale e su cui possiamo intervenire tramite l’uso di benedizioni, maledizioni od oggetti. Il sistema di combattimento, sulla carta, ricorda alcuni esperimenti tra RTS e autobattler, con 16 tipologie di unità che si sbloccano in base alle nostre azioni; ciascuna di esse prevede delle affinità differenti a seconda degli alleati e dei nemici, oltre a dei valori di Energia, Fede, Coraggio. L’approccio alle battaglie non violente è quasi gestionale: si scelgono i seguaci, si imposta la formazione, comincia lo scontro, si lanciano poteri – a patto di avere abbastanza Carisma- e si continua così finché non si ha la meglio, conquistando la città e una certa quantità di Cibo, che poi va gestito saggiamente se non si vuole perdere unità.

Le meccaniche che regolano gli scontri sono nebulose.

Purtroppo, al di là di una ripetitività di fondo che il gioco prova a mitigare, il combat system risulta troppo omertoso circa i suoi segreti. Le statistiche non vengono spiegate in modo chiarissimo e lo stesso vale per il funzionamento delle dinamiche che regolano gli scontri. Il risultato? Spesso non si capisce davvero perché si vinca o si perda.

Spesso non si capisce davvero perché si vinca o si perda

Anche la gestione delle risorse ha margini di miglioramento. Nonostante ci siano fondamentalmente soltanto due risorse di cui occuparsi, la sensazione è che il bilanciamento possa essere perfezionato: il Cibo, ad esempio, si consuma a ritmi serrati, ma le fonti di approvvigionamento sono limitate e, senza vettovaglie, i seguaci ci abbandonano. Ogni marcia verso la prossima città da convertire, evento o battaglia erode le provviste e, nonostante l’intento punitivo sia coerente con il tono del gioco, talvolta il sistema dà l’impressione di essere più frustrante che stimolante (in caso di problemi si può attivare la modalità facile). Il discorso comprende il Carisma, concettualmente un’idea ben inserita nel contesto narrativo, nonché l’altra risorsa fondamentale: esaurirne una delle due, Carisma o Cibo, significa game over.

TANTA CARNE AL FUOCO, MA NON TUTTA BENEDETTA

Artisticamente ci siamo eccome, invece. Lo stile visivo è colorato, quasi fanciullesco, eppure nasconde una cura sorprendente nelle animazioni e nella rappresentazione delle città italiane. Ogni centro ha caratteristiche proprie, e anche se non tutte le meccaniche legate alla conquista risultano pienamente soddisfacenti, la varietà di scenari gioca a favore della rigiocabilità. L’elemento narrativo non brilla particolarmente, ma riesce comunque a mantenere un tono coerente e ironico che non dispiace. L’intero impianto di gioco è immerso in un’atmosfera surreale, si parla di miracoli, eresie e conversioni con leggerezza e ironia, ma anche con un certo gusto per l’assurdo. La colonna sonora invece non è all’altezza dell’art style, mi duole sottolinearlo.

Alla conquista dell’Italia!

Nonostante i limiti, Becoming Saint conserva un certo fascino che sa esprimere con eleganza. Ciò avviene quando si iniziano a riconoscere le sinergie fra le unità, quando si impara a risparmiare Carisma e ottimizzare il Cibo mantenendosi in virtuoso equilibrio per un’intera run: ecco il momento in cui l’esperienza nostrana mostra il suo profilo più seducente.

L’idea di dover plasmare una fede, non solo gestire eserciti, conferisce una freschezza inaspettata al gameplay

L’idea di dover plasmare una fede e non solo gestire eserciti come in qualsiasi altro gioco, conferisce una freschezza inaspettata al gameplay. Le run più appaganti sono quelle in cui ci si muove agilmente tra narrazione emergente e tattica, in cui la protagonista diventa un’estensione di noi stessi modellata dalle nostre scelte. Peccato che tutto ciò si manifesti soltanto dopo un po’ di tempo, quando per qualcuno potrebbe essere già troppo tardi.

In Breve: Becoming Saint è un titolo a suo modo coraggioso, capace di proporre qualcosa di diverso nel panorama roguelike in maniera raffinata. Ha l’anima da progetto “strano ma interessante”, con idee fuori dagli schemi, una buona rigiocabilità e una ricostruzione dell’Italia del XVI secolo che incuriosisce. È però anche un’opera caratterizzata da diversi difetti, più o meno evidenti, che le conferiscono un’aspetto ruvido che stride con l’eleganza dell’art style. Se cercate in primis un’esperienza strategico-gestionale profonda, ricca di fattori da considerare e particolarmente stratificata, forse è meglio guardare altrove. Se invece non è un problema sorvolare su qualche lacuna in caso di indie un po’ folli, pittoreschi e dall’identità riconoscibile, allora dategli una possibilità: la vostra fede in Open Lab Games potrebbe essere ripagata.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: Ryzen 7 7800X3D, Radeon 7800XT Nitro+, 32 GB RAM DDR5, SSD NVMe
Com’è, Come Gira: Niente da segnalare sulle prestazioni con la configurazione in firma: il gioco è talmente leggero che potrebbe girare su un 486 o giù di lì.

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Pro

  • Idea originale e ben contestualizzata / Buona rigiocabilità e personalizzazione dottrinale / Direzione artistica indovinata

Contro

  • Combat system poco chiaro, spiegazioni assenti o insufficienti / Gestione delle risorse da bilanciare meglio / Può risultare ripetitivo
7.5

Buono

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