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RIOT - Civil Unrest

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RIOT - Civil Unrest – Provato

Reduce da uno sviluppo travagliato, è finalmente giunto in Accesso Anticipato su Steam RIOT – Civil Unrest. Frutto di un chiacchierato kickstarter, negli ultimi anni questo simulatore di tumulti di piazza era scomparso dai radar dei videogiocatori, facendo temere l’ennesimo fallimento di un progetto nato dal basso. Sono molto affezionato al concept del gioco ed è stato uno dei primi crowdfunding che ho finanziato nella mia vita, giacché la ritengo potenzialmente un’opera capace di compiere un passo avanti all’interno del nostro media di riferimento, che faticosamente sta lottando per uscire dal suo stato di minorità per approdare a vero e proprio linguaggio mediatico, tramite il quale far passare idee e sensazioni sul mondo che ci sta intorno quotidianamente. Prodotto sotto l’egida di Ivan Venturi e con la “regia” di Leonard Menchiari, RIOT si mostra in questa versione beta portando sui nostri schermi un titolo in grado di cogliere importanti snodi sociopolitici dei nostri tempi, immergendosi totalmente nello zeitgeist degli anni duemiladieci e ammantandosi di questo spirito del tempo. RIOT ci mostra eventi che, nel bene e nel male, hanno influenzato la nostra decadente società Occidentale: per farlo non rinuncia alla sua essenza ludica, pur avendo sempre bene in mente che, sì… arrivati quasi al 2018, i “giochini” non sono più solo una questione di algoritmi, ma vere e proprie tavolozze post-moderne dove poter dipingere una visione del mondo, e di conseguenza dell’uomo, pregna ed esperibile tramite mouse e tastiera.

VITA ACTIVA

Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca famosa per i suoi lavori sulla Shoah e sulle responsabilità di popolo della Germania nazista, amava definirsi più come pensatrice politica; non a caso un suo testo, forse fin troppo sottovalutato, parla di azione politica come fondamento della nostra essenza di essere umani. Quel Vita Activa scritto sul finire degli anni ’50 è un manifesto dell’uomo del Ventesimo Secolo che tenta di riappropriarsi di un vero spazio politico che vada al di là del mero ritualismo della partecipazione elettorale, inserendosi poi in un discorso più ampio che attinge a piene mani dall’Etica Nicomachea di Aristotele. Nel pensiero del celeberrimo filosofo greco etica e politica arrivano a coincidere; l’azione politica, e di conseguenza la vita, diventano l’attività più alta cui un uomo possa ambire. Negli ultimi anni abbiamo visto come il significato di politica abbia subito un grosso mutamento, arrivando – perlomeno nell’immaginario collettivo dell’”uomo qualunque” – a risultare come un sinonimo di qualcosa di sporco, oscuro, elitario e fortemente antagonista rispetto alla purezza e al candore della massa, che resiste a suon di complotti denunciati. Può sembrare strano, ma RIOT riesce a inserirsi perfettamente in questo dibattito grazie alla volontà di simulare un ambito come quello delle rivolte di piazza che, nonostante ci abbiano voluto far credere fosse un modo di agire anacronistico, ha dimostrato ancora una certa efficacia nel saper influenzare la società.

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ciò che più si avvicina a RIOT, nonostante meccaniche ludiche alla base diverse, è il magnifico Papers Please

RIOT è a tutti gli effetti un gioco politico. La scelta di introdurre due schieramenti netti, da una parte i manifestanti e dall’altra le forze dell’ordine, non deve far pensare che con timore si sia tentata una via “cerchiobottista”, perché per Menchiari e il suo team la stessa scelta della verosimiglianza, senza filtri e rifiutando l’ideologia spinta, è una scelta politica. La volontà, palese e urlata a pieni polmoni da ogni fibra della pixel art con cui RIOT è ottimamente disegnato, è allontanarsi dalla grande narrazione dei media tradizionali, incapaci di rendere appieno la complessità di quello che si muove in uno scontro di piazza, per farci giocare e sperimentare scelte che si vestono da vera e propria palestra etica. Probabilmente, ciò che più si avvicina a RIOT, nonostante meccaniche ludiche alla base diverse, è il magnifico Papers, Please di Lucas Pope – non a caso influenzato anche lui dalle teorizzazioni della Arendt – dove il messaggio politico e quello filosofico si fanno fondamento della nostra avventura come grigi burocrati di una trasfigurata Unione Sovietica. A voler ben vedere, anche This War of Mine, nella sua rappresentazione della guerra dal punto di vista degli ultimi, ha diversi punti in contatto con RIOT. Tutti esempi di prodotti che riescono a usare il proprio gameplay come fondamento dell’esperienza artistica, che il giocatore sperimenta sulla propria pelle in quanto artista e allo stesso tempo fruitore dell’opera ludica.

QUATTRO PIAZZE PER QUATTRO RIVOLTE

No TAV in Italia, la Primavera Araba in Egitto, le proteste degli indignados in Spagna e la rivolta di Keratea (nella Grecia della crisi economica che spazza via tutto) sono le quattro campagne che fungono da cuore del gioco. In ciascuna di esse è presente una riproduzione certosina dei principali avvenimenti, delle figure iconiche nonché degli ambienti, entro la quale è possibile muoverci con un impianto simil-RTS guidando la folla o le forze dell’ordine. Ciascuna fazione ha obbiettivi diversi e le stesse meccaniche si differenziano in base alla nostra scelta di schierarci dalla parte delle molotov o da quella dei manganelli. Se i comandi di base ricordano in entrambi i casi quelli degli strategici in tempo reale, l’esecuzione dei livelli segue regole nettamente diverse. Usando i manifestanti, infatti, ci ritroveremo a condurre una folla che mai potremo controllare con estrema precisione, ma che anzi è spesso e volentieri vittima della psicologia dei singoli rivoltosi che, in base all’andamento, possono prendere scelte individuali. La mentalità di ciascun manifestante è infatti simulata dagli algoritmi di gioco: i manifestanti fuggono, diventano improvvisamente violenti alzando il livello dello scontro e cominciano a ignorare i nostri ordini, in base a ciò che sta succedendo e a come si sta evolvendo la faccenda. Ciò che qualcuno vede come limite intrinseco di RIOT è invece una precisa scelta di design, in grado di simulare bene il manzoniano caos della folla.

RIOT Civil Unrest anteprima immagineDall’altra parte della barricata ci troveremo a gestire poliziotti e varie unità speciali che, grazie al loro addestramento militare, risponderanno prontamente ai nostri ordini e potranno assumere formazioni in grado di contrastare i rivoltosi. La costante situazione di inferiorità numerica delle forze dell’ordine, però, potrebbe portare anche i suoi membri a impazzire, fuggendo, manganellando più duramente di quello che avreste voluto o finanche sparando nei casi più gravi. L’uso della violenza, e le sue conseguenze, è tra l’altro una meccanica ben precisa del gioco: manganellare o uccidere manifestanti durante una situazione in cui la folla non si è dimostrata violenta, o di contro applicare troppa violenza contro forze dell’ordine tranquille che non cedono al manganello facile, porta ad avere svantaggi nel livello successivo. Alla fine di ogni scenario i giornali commenteranno le nostre gesta e saranno la nostra cartina tornasole di quanto siamo stati politicamente efficaci. Durante la mia prima run, guidando i No TAV all’occupazione di un’autostrada, le forze dell’ordine hanno perso la testa e hanno fatto il più classico errore: il martire. Un solo morto in Italia, dove questo genere di esiti in una manifestazione di piazza non sono più ormai così comuni, mi ha dato un enorme vantaggio nel successivo livello, dal momento che ha richiamato decine e decine di persone in più tra le fila dei manifestanti, disposte anche a lasciarsi andare a gesti di violenza. Allo stesso modo in Spagna, guidando i temibili Mossos d’Esquadra, sono stato vittima di una folla inferocita che ha finito per mandare all’ospedale decine dei miei agenti, nonostante io avessi mantenuto un profilo basso, cercando di contenere i manifestanti in modo passivo-difensivo. Allo schema dopo la folla aveva molti meno partecipanti, e molti meno disposti ad attaccare a viso aperto le squadre di poliziotti, dal momento che la violenza precedente era stata percepita come inutile e poco produttiva per la causa.

Ciascuna fazione ha obbiettivi diversi e le stesse meccaniche si differenziano in base alla nostra scelta di schierarci dalla parte delle molotov o da quella dei manganelli

Molto interessante, già allo stato attuale, è anche la diversità di equipaggiamento tra i due schieramenti. Ci sono power-up equipaggiabili dai manifestanti e abilità specifiche; si può poi scegliere quante bandiere portare (più simboli alzano il livello di militanza ma portano meno persone a sentirsi rappresentate) nonché che tipo di equipaggiamento difensivo preparare (ad esempio, arrivare in piazza con caschi e scudi in tenuta “guerrilla” tiene lontani i manifestanti pacifici). La gestione della folla si muove quindi in quel limbo tra la violenza e la non-violenza: a volte potremo scegliere, in altre sarà il flusso degli eventi a farlo per noi. Al contrario, le forze dell’ordine avranno un sistema di equipaggiamenti del tutto simile a quello di un gioco di ruolo, con vari slot da riempire seguendo un budget che ci viene affidato a inizio missione, nonché formazioni militari ciascuna con una sua precisa efficacia (mettersi a cuneo per dividere una folla, per dirne una) e diverse “classi” che vanno dai tiratori di lacrimogeni a quelli incaricati di caricare, fino a veri e propri cecchini, disponibili in alcuni livelli ambientati in situazioni ad alto tasso di criticità.

CROCI E DELIZIE DI UN ACCESSO ANTICIPATO

Esteticamente RIOT è davvero molto bello, con una pixel art certosina che riesce a trasmettere un certo umore “sporco” e “urbano”. I modelli dei personaggi, dei veicoli e degli ambienti sono riprodotti benissimo; ottime anche le scene di intermezzo durante i livelli, realizzate sempre in pixel art e molto precise nel rappresentare i reali avvenimenti accaduti. Giocando le campagne principali e qualcuno degli scenari singoli (ce ne sono davvero tanti e spaziano dalle rivolte studentesche in Cile fino alle proteste contro la Foxconn in Cina) è chiaro però come RIOT sia un titolo ancora in beta con alcuni problemi di fondo che andranno risolti. La pubblicazione ufficiale dovrebbe avvenire in primavera: il tempo non è così tiranno, ma ci sono alcuni lati critici impossibili da ignorare. In primis il gioco manca di pulizia generale. Gradualmente gli sviluppatori stanno migliorando l’interfaccia grafica, ma sicuramente c’è bisogno di maggiore chiarezza e ordine durante l’azione. Anche il bilanciamento necessita di qualche ritocchino: piano piano la situazione sta migliorando, ma alcuni livelli ancora oggi sono fin troppo difficili, mentre altri si risolvono in pochi minuti e in modo fin troppo sbrigativo. Pur non palesando grossissimi bug e crash sporadici, RIOT non è fluidissimo e il frame rate risulta un po’ ballerino negli schemi dove si compaiono tanti personaggi in contemporanea; inoltre, a volte l’input lag è un po’ eccessivo, sconfinando talvolta in una pigrizia nel comandi che, qui sì, non può essere vista come scelta di design, bensì come evidente problema di gameplay.

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RIOT è già in grado di mostrarsi per quello che realmente è: un invito a giocare e approfondire tutto ciò che sta cambiando il nostro mondo

Insomma, siamo ancora lontani da una build ben rifinita, ma RIOT è già in grado di mostrarsi per quello che realmente è: un invito a giocare e approfondire tutto ciò che sta cambiando (e che continuerà a cambiare) il nostro mondo. In quest’ottica è financo commovente l’invito degli sviluppatori all’inizio del gioco. Il messaggio è chiaro: giocate a RIOT, poi spegnete il PC e informatevi, ovunque e con qualsiasi cosa e esercitate il vostro pensiero critico. In questo modo starete facendo politica, quella sana che pone le sue basi nella dialettica e nella vita pubblica della democrazia diretta delle poleis greche. RIOT non è un’esperienza piacevole, ma in senso positivo: il gioco è ben pensato, gli scontri sono soddisfacenti, anche nella modalità 1vs1 in locale (o in cooperativa contro l’IA), ma al termine di ogni livello a prevalere erano sensazioni contrastanti, in bilico tra il divertimento e la soddisfazione di aver finito un livello e la consapevolezza di stare, perlomeno in piccolo, sperimentando quello che si prova in mezzo a una piazza, tra un lacrimogeno e una carica. Vedere la polizia egiziana sparare a piazza Tahir contro inermi manifestanti che lanciano pietre è un’esperienza forte e che fa venire voglia di andare a guardarsi cosa è stata davvero la Primavera Araba, scoprendo tanti piccoli dettagli e tante storie che l’hanno animata.

Mi sono divertito? Forse, ma più che altro ho pensato, ed è questo probabilmente il più grande lascito di RIOT come opera videoludica. Gli aggiornamenti settimanali, poi, fanno ben intendere la volontà degli sviluppatori di seguire i feedback dei propri sostenitori: dall’avvento dell’Accesso Anticipato il gioco è infatti migliorato tantissimo, ad esempio con l’introduzione di una serie di tutorial in grado di farci capire bene le meccaniche e con numerosi interventi ai lati della GUI. A tutto questo uniamo anche un’ottima colonna sonora e una precisa ricerca anche dal punto di vista degli effetti sonori: i cori dei manifestanti, ma alla fine anche le loro storie, sono infatti frutto di un lavoro a priori che ha portato Menchiari e il suo team a un vero e proprio lavoro sul campo con un afflato quasi antropologico, ad esempio andando a vivere le situazioni rappresentate o con numerose interviste alle forze dell’ordine. L’obbiettivo è sempre lo stesso: essere senza filtri, rappresentare la realtà per quella che è e passare comunque un messaggio forte e preciso.

Se siete pronti a uscire dalla vostra comfort zone, fateci un pensierino sin da subito

Consigliare RIOT come gioco non è una questione facile. L’effetto che può fare su ciascuno di noi è mediato dalla personalissima sensibilità agli argomenti trattati, tuttavia bisogna dare atto al team di sviluppo di una certa coerenza di intenti nel progetto. Gli stessi problemi di bilanciamento o tecnici mostrano come RIOT si voglia allontanare dalle sperimentazioni che, al grido di arte, estremizzano il videogioco depurandolo quasi del tutto dei suoi elementi ludici. RIOT è quindi un vero e proprio videogioco. Al netto dei problemi che abbiamo delineato, finanziare il progetto è una scelta che può venire solo dal vostro cuore. Se avete voglia di fare un passo in avanti, provando qualcosa di diverso e dal setting inusuale, RIOT può essere fin da ora un buon acquisto, ma se vi aspettate un RTS più classico – o un qualcosa prettamente à la Hooligans: Storm Over Europe – ne rimarrete indubbiamente delusi. In ogni caso, i contenuti presenti garantiscono già da ora un discreto monte ore (almeno una decina); peraltro, la presenza di un editor, seppur in una versione ancora embrionale, fa ben sperare per la futura varietà. La scelta è vostra e, ovviamente, si tratta di una scelta politica. In questo consumistico periodo tra feste natalizie, Black Friday e Boxing Day, tirare il fiato e giocare a qualcosa in grado di far generare dentro di noi il germe della volontà di capire il mondo può fare del bene sia al noi-videogiocatori che al noi-uomini: d’altronde nessuno è un’isola, e forse un po’ di vita politica può aiutare a sconfiggere la solitudine dell’uomo contemporaneo. Se siete pronti a uscire dalla vostra comfort zone, fateci un pensierino sin da subito: è molto probabile che non ve ne pentirete.

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