Lo Stanford Bridge è uno stadio pazzesco, un po’ come molti di quelli inglesi: una cittadella dedicata a una squadra, l’espressione di alcuni valori e, legittimamente, un posto da sogno per chi, innamorato di quella casacca blu, vorrebbe vivere da protagonista. Mentre mi avvicinavo all’ala dello stadio dove si è tenuta la presentazione di FIFA 17 ho avuto il piacere di camminare accanto al vecchio muro della Shed End Terrace, dove sono esposte le effigi di tutti i giocatori più importanti della storia del Chelsea. Mi son fermato davanti a Zola, perché, vabbè… è Zola, e ho pensato quanto debba farti sentire onorato essere su quel muro. Un attestato di gloria non per tutti, nonché un aspetto, dal punto di vista della percezione eroica del campione, mai esplorato completamente dalle simulazioni videoludiche. Sicuramente non da FIFA, la cui carriera da giocatore sul campo è sempre rimasta a metà strada tra un vezzo alternativo con cui divertirsi (e prepararsi alla mai sufficientemente supportata modalità Be A Pro online) e una vero e proprio modo di vivere il titolo EA.
Il punto è che, a differenza di una serie come NBA 2K, nel gioco della software house canadese è sempre mancato un framework narrativo che riuscisse a costruire un legame empatico tra il giocatore e il suo alter ego virtuale, troppo uguale agli altri 21 in campo per essere davvero “noi”. Poco meglio ha fatto Konami con la modalità Diventa un Mito di PES, leggermente più forte nel creare un minimo di aura leggendaria intorno al nostro campione. Quello che è certo, però, è che FIFA 17 rompe questa coltre di pochezza narrativa raccontando la storia di Alex Hunter, un giovane ragazzo il cui sogno è, ovviamente, diventare un fenomeno di livello mondiale. Il destino di Alex, a partire dal 29 settembre, sarà nelle nostre mani.
THE JOURNEY
Questo è il nome della modalità che rompe completamente gli schemi del titolo EA e che si presenta come qualcosa di originale, assolutamente imperdibile e per certi versi anche più “nuova” di quanto visto in NBA 2K. Sì, perché intanto la scelta di definire un personaggio unico per tutti, per quanto limiti la libertà espressiva e, se vogliamo, anche la capacità di immedesimarsi dei giocatori, preserva il carattere narrativo, la credibilità dell’universo diegetico e l’aspetto di coinvolgimento emotivo. Alex Hunter non possiamo essere noi, certo, ma possiamo facilmente innamorarci della sua storia e viverla con il giusto trasporto. Da quello che ho capito, Alex non è l’unico calciatore della famiglia e il suo desiderio di emergere non è solo spinto dal sogno personale, quanto una questione di onore.
Alex Hunter non possiamo essere noi, certo, ma possiamo facilmente innamorarci della sua storia e viverla con il giusto trasporto
Nei panni di Alex, per mia somma gioia, mi sono ritrovato nel ventre dell’Old Trafford – in una strana inception in cui giocavo nello stadio dello United da una hall di Stanford Bridge – seduto in panca ad aspettare il mio momento contro il Liverpool. Mou a un certo punto mi guarda e dice che tocca a me. Mi riscaldo e il preparatore mi chiede come mi senta: a quel punto, manco fosse Mass Effect, mi tocca rispondere scegliendo un’opzione tra quattro che copre diversi atteggiamenti per una scala di umiltà che va da Grava a Ibrahimovic. La partita, nel frattempo, va avanti in maniera scriptata in modo che possa entrare sul pari – e chissà se poi tutte le partite avranno un plot o si divideranno tra quelle importanti e quelle normali – ed essere l’ago della bilancia. Ho giocato due volte il mio esordio e ho avuto due obiettivi diversi: in uno il focus era decidere il match, in un altro era dimostrarmi uomo squadra. C’è da capire in base a cosa cambieranno gli obiettivi, ma rispetto alla prestazione ovviamente è cambiata l’intervista pre partita.
Aaron Mchardy, producer del gioco, ci ha assicurato che le prestazioni sul campo determineranno esperienze profondamente diverse e influenzeranno lo sviluppo del nostro personaggio, che ha una sorta di scheda con tratti e abilità, e può essere ovviamente sviluppato nel tempo. Io voglio sperare che davvero tutto funzioni al meglio, perché mi è bastata una sola partita per essere già molto preso da The Journey. Nei trailer che abbiamo potuto osservare la storyline sembra abbastanza varia e, al di là di poter scegliere la propria squadra tra le venti di Premier, il mondo di gioco sembra soggetto a tante variazioni (in un filmato c’era Kane che firmava per il Leicester) e non dovrebbero mancare scenari vari in cui interagire con altri giocatori e allenatori anche fuori dal campo.
le prestazioni sul campo determineranno esperienze profondamente diverse e influenzeranno lo sviluppo del nostro personaggio
Tutto, insomma, sembra promettente e c’è solo da sperare che sia scritto con criterio, ma in questo sempre Mchardy ci ha rivelato che condividere lo stesso tetto con Bioware ha aiutato non poco nel realizzare una parte ruolistica e narrativa interessante. Resta da capire, soprattutto, quanto possa essere limitante per il senso di immersione il fatto che tutto sia circoscritto alla Premier e quale sia l’obiettivo finale della modalità, ma per questo dobbiamo ancora attendere. Quello che già certezza è la qualità grafica, che in questa fase di gioco sembra notevole, anche e soprattutto grazie alla seconda novità di FIFA 17, ovvero l’esordio di Frostbite come motore grafico.
UN CALCIO PIÙ FISICO
Oltre alla possibilità di integrare nel mondo di FIFA 17 ambientazioni più ricche e varie (e che esulano dal classico rettangolo verde) adottare il Frostbite vuol dire poter lavorare su molti più fronti per rendere non solo il gioco più bello, ma anche più credibile. Per quanto l’impatto visivo sia comunque quello di sempre e accompagnato da un look estremamente televisivo, è evidente già da ora che espressioni e corpi degli atleti sono finalmente più realistici: i ventidue in campo sembrano sempre meno marionette senza vita e molto più capaci di provare emozioni. Analogamente, il nuovo sistema di illuminazione dona molta più profondità, e giocare all’Old Trafford di sera è davvero uno spettacolo. C’è, invece, da registrare ancora qualcosa nella gestione dei contrasti luce/ombra, visto che di giorno le zone scure mi sembravano inficiare un po’ la lettura del campo, ma nel complesso distinguere FIFA 17 da una partita in TV diventa a tratti difficile. Il merito è anche da ascrivere ad animazioni sempre più accurate e a una cura dei dettagli maniacale, con magliette che si muovono molto più coerentemente e con contatti fra i giocatori molto più naturali e meno esasperati rispetto a quanto non accadesse con Ignite.
La diretta conseguenza, a livello di gameplay, è l’aumento esponenziale di piccoli contrasti, spostamenti e uso del corpo. Per questo motivo, al trigger sinistro è stato affidato il compito di attivare la protezione del pallone, che permette ai nostri giocatori di ostacolare attivamente il recupero dei difensori: a volte il sistema è ancora un filo eccessivo e brusco, ma in generale funziona molto bene e permette a giocatori di movimento forti ma lenti di assumere un peso determinante nell’economia della fisicità. La lotta alla supremazia della velocità dei brevilinei si può combattere anche in difesa, sfruttando lo stesso tasto che assolve il compito di strattonare con vigore l’avversario per sbilanciarlo. Se fatto con la giusta perizia è possibile far valere il fisico del difensore, tanto che anche l’anguilla di turno può finire per i campi ed essere neutralizzata.
nel complesso distinguere FIFA 17 da una partita in TV diventa a tratti difficile
A contribuire lo sviluppo della manovra c’è il nuovo sistema di tagli dell’Intelligenza Artificiale, che legge lo spazio in maniera completamente diversa e lo occupa in modo più razionale, con i compagni che finalmente provano a sfruttare backdoor o rallentano il movimento per evitare il fuorigioco. In generale, pad alla mano, la sensazione è che non cerchino soltanto di avvicinarsi alla porta, ma di stare nella posizione più corretta per concretizzare l’azione e attaccare la difesa. Lo sfruttamento dello spazio è la chiave anche dei nuovi splendidi passaggi, che seguono la filosofia del pass with purpose dell’anno scorso: si aggiungono alla verticalizzazione tesa anche il filtrante a uscire, ma soprattutto i rinvii nello spazio del portiere, sempre grazie alla pressione del dorsale destro.
GIOCO DA FERMO
La piccola grande rivoluzione di FIFA 17 ha previsto anche la riscrittura completa di tutti i calci da fermo. Le punizioni, adesso, prevedono la possibilità di modificare elementi della rincorsa come distanza e direzione, e includono un after touch molto più intuitivo. In pratica, dopo il tiro la telecamera indugia alle spalle del calciatore ed è possibile dare il giro al pallone con la levetta analogica e vedere l’effetto da una prospettiva privilegiata: una feature bella e molto spettacolare, ma non mi ha convinto il fatto che in caso di ribattuta o deviazione ci voglia un attimo di più per riprendere il controllo dei compagni. Da rivedere, e di parecchio, invece i calci di rigore: bellissima senza dubbio la possibilità di intervenire sulla rincorsa, ma il sistema di mira al momento ha qualche problema. In una decina di partite che ho fatto non ho ben capito quale fosse la logica con cui indirizzare il pallone, e non è andata diversamente ai miei colleghi, per partite ai rigori che diventavano delle lotterie nel senso stretto del termine, con palloni spediti molto lontano dalla porta. Per ora mi limito a dire che non abbiamo capito noi, in attesa di prove sul campo più corpose.
la transizione al Frostbite sembra aver donato a FIFA una profondità che, al primo impatto, è davvero impressionante
FOOTBALL HAS CHANGED
Dieci partite in multiplayer, un paio da solo contro l’IA (estremamente competitiva come al solito a livello Leggenda) e le due con The Journey, a quella che comunque è una versione alpha di FIFA 17, non rappresentano una base di valutazione chissà quanto approfondita, ma l’assenza di veri e propri bug nel gameplay, i portieri apparentemente abbastanza affidabili come approccio alla palla e la “garra” che ha generato tra noi giornalisti sono sicuramente un segno estremamente positivo per la rivoluzione portata da EA alla sua visione di calcio. Complessivamente, la transizione al Frostbite sembra aver donato a FIFA una profondità che, al primo impatto, è davvero impressionante, garantendo quell’imprevedibilità di situazioni che, negli ultimi due anni, ha permesso a PES di recuperare un po’ di terreno. Quest’anno la sfida al vertice del calcio virtuale promette davvero tanto, e il twist importante che Electronic Arts ha dato con la modalità The Journey è qualcosa che può davvero fare la storia della trasposizione videoludica dello sport più popolare al mondo. D’altronde, nel trailer, Mourinho lo dice: il calcio è cambiato. Anche FIFA. E, apparentemente, in meglio.