Wolf Man - Recensione

Aggiornare un classico con intelligenza e perizia non è cosa da poco e dopo l’ottimo L’uomo Invisibile, a Leigh Whannell viene chiesto di replicare tale successo con Wolf Man.

Dopo la debacle durata appena qualche minuto del Dark Universe, la Universal non ha avuto altro modo di sfruttare le licenze dei suoi mostri sacri del cinema, decidendo di puntare sulle riletture moderne e attuali, sfruttare le nuove visioni e storie sociali (e politiche) per narrarci come, al netto del tempo che passa, i mostri sono sempre lì, nascosti nell’ombra, hanno forme e connotati diversi, ma incarnano le paure più profonde dell’essere umano.

In tal senso, Wolf Man rilegge il mito della licantropia, trasformandola in un’infezione che si tramanda (di generazioni), mentre al mutare dell’essere umano in mostro, c’è anche modo di parlare della paura della morte, della difficoltà di vedere un nostro caro spegnersi, come anche dell’incomunicabilità in una coppia ormai arrivata al capolinea.

Blake ritorna nel profondo Oregon, dove ha vissuto fino alla maggiore età, ma ora ci ritorna adulto, seguito dalla moglie Charlotte e la figlia Ginger. Lo Stato ha ufficializzato la morte del padre di Blake, ormai dato per disperso, dunque quel casolare perso nelle montagne è lui, ma qualcosa di aggira in quei boschi umidi e profondi e non sarà facile sopravvivere alla prima notte.

Wolf Man, nella sua interezza, è un film oscuro. C’è pochissima luce e quella che vedrete spesso proviene dalla Luna, giacché Whannell decide che l’immersione in questo contesto per lo spettatore deve essere totale. Via i faretti, via qualunque altra forma di luce. L’oscurità deve prendere la forma delle paure e del messaggio che il film veicola.

wolf man recensione

Con L’uomo Invisibile il discorso sulla violenza domestica e sulla mascolinità tossica in una relazione era evidente, sfruttando il classico quadro di donna che subisce violenze da qualcosa che non riesce a vedere. Realtà o paranoia? Giustizia per lei, o viaggio di sola andata in qualche clinica psichiatrica? Wolf Man aggiorna la lettura della licantropia, sfruttando l’infezione. Niente zombie, bensì una malattia che quando attanaglia pelle e organi del malcapitato, segna le tappe della trasformazione grazie al più classico body horror, sfruttando proprio alcuni stilemi a suo favore.

Mentre Blake si trasforma, la sua percezione del buio diventa sempre più nitida, riuscendo a vedere in modo chiaro, mentre Charlotte brancola cercando di difendersi da qualcosa che vive nell’oscurità. Mentre Charlotte implora aiuto urlando e parlando, Black perde l’uso della parola e la comunicazione non diventa più verbale, bensì gestita su pochi e semplici gesti.

wolf man propone la miglior rilettura possibile attorno la licantropia, parlando di lutto e di relazioni al capolinea

Almeno finché c’è lucidità, almeno finché vogliamo credere di poter salvare i nostri cari, la speranza porta Charlotte e la piccola Ginger a combattere per la persona amata – ma c’è ancora amore? Dove finisce il sentimento e inizia la pietà?

Nel suo complesso e con inutili paragoni, Wolf Man si posiziona un gradino, seppur piccolissimo, sotto il livello qualitativo de L’uomo Invisibile. Questo perché la scrittura è decisamente più esigua e relegata a pochi momenti, mentre il film si muove esattamente in contesti di aspettative che il pubblico può sapientemente aspettarsi.

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Non manca comunque la capacità tecnica di Whannell di veicolare musica, ambiente, suono e immagini su un piano comunicativo di grande prestigio. Insomma, per farla breve, non è tanto il valore della metafora che il film propone, bensì come questa arrivi allo spettatore, stimolando i suoi sensi. Ecco, questa arriva direttamente nelle vene, facendo zampillare sangue quando al quadro inserisce anche un secondo licantropo a cui poter costruire basi solide per continuare a parlare di fantasmi del passato, di violenze domestiche intrise – spesso – nel DNA di alcune persone, che anche spostandosi dalla campagna alla città, si trascinano dietro un’infezione sotto le unghie.

Lasciatevi coccolare dalle immagini e dalla portentosa colonna sonora di Wolf Man, giacché Universal ha capito perfettamente come rileggere questi grandi classici, senza snaturarli e proiettargli attorno il nostro peggiore incubo, ovvero il nostro quotidiano, i nostri insuccessi, le nostre paure.

VOTO 8

wolf man recensioneGenere: Horror
Publisher: Universal
Regia: Leigh Whannell
Colonna Sonora: Benjamin Wallfisch
Interpreti: Christopher Abbott, Julia Garner, Sam Jeager
Durata: 103 minuti

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