MA AL DI Là DELLE SUE CRITICITà, DEMON’S SOULS è UN TITOLO MAGNETICO, CHE DIVENTA QUASI ESERCIZIO DI MEDITAZIONE, ALIMENTATO DA UN’INESAURIBILE BRAMA DI CONOSCENZA

Sensazioni lovecraftiane si sprecano davanti a certe creature e shock visivi. Demon’s Souls vive di suggestioni.
La strada verso la sconfitta dell’Antico è Tetris, fredda matematica e incastri che nella loro quadrata certezza ripudiano il panico dell’allievo, diventato ora maestro. L’ambiente, inteso come spazi e vuoti, atri o corridoi, mura o legno marcio e il loro alternarsi e mescolarsi è ancora oggi un esempio di come sfruttare la tridimensionalità per condizionare le mosse del giocatore in combattimento, costretto a tenerla sempre in conto; una variabile fisica e tangibile come un vibrante colpo di spada che sbatte contro la roccia viva e si riverbera per tutto lo scheletro. Visto da questo lato si può anche firmare un patto di non belligeranza con le sue dissonanze, per dedicarsi a incanalare l’energia di gesti e consuetudini da ripetere allo stremo, comunque sempre meno sorpresi e sensibili alle nostre azioni, fremendo dall’attesa, tentatrice e seducente, di tornare finalmente nell’oscurità della prima volta in una nuova area, quando la magia torna a brillare.
L’ANALOGICO A METà CORSA, AVANZARE CON CAUTELA, PERCHé DIETRO OGNI ANGOLO SI NASCONDE UNA POTENZIALE MINACCIA

Impossibile trovare redenzione. La forza di confessarsi nella realtà è invece più facile da trovare, se i vicini non vi avranno già rovesciato un’acquasantiera addosso.
Ma basta sentire un rumore fuori posto, nuovo, lontano arrivare all’orecchio per far perdere l’orientamento, sprofondando all’improvviso nelle sabbie mobili di un sound design labirintico, talmente nitido e sfacciato da far venire i brividi, creando eco che rimbalzano tra i cunicoli di Stonefang, lontani canti liturgici tutt’altro che santi o ruggiti di draghi che tagliano i timpani, arrivandoci alle spalle vomitando lava, ubriachi di potere.
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