“Gioco” per molti è solo una parola legata alla fanciullezza, cinque lettere che riportano alla mente il periodo dell’infanzia e ciò, davanti a occhi superficiali, ci rende dei bambinetti cresciuti solo nel corpo
Forse è proprio il termine videogioco in sé che inganna, perché “gioco” per molti è solamente una parola da legare alla fanciullezza, cinque lettere che riportano alla mente il periodo dell’infanzia e ciò, davanti quegli occhi giudicanti e superficiali, ci rende dei bambinetti cresciuti solo nel corpo. Tuttavia, se si osserva questo
mondo bizzarro e i suoi strani abitanti sbirciando oltre le cime dei pregiudizi, magari qualcuno scoprirà che non siamo soltanto degli sfigatelli capaci di uccidere mostri immaginari. Magari è ormai ovvio affermarlo, ma I
videogiochi possono stare sullo stesso piano concettuale del
cinema e dei
fumetti, giacché sono anch’essi un veicolo capace di trasmettere un messaggio, non sono solo un rumoroso passatempo. Possono esserlo, certo, ma
tutto dipende dalla profondità dell’intento che guidava le mani di chi ne ha modellato il profilo.

Parliamo di strumenti in grado di aiutare chi presenta patologie fisico-mentali, proporre nell’ambito dell’istruzione progetti condivisi, indagare feconde frontiere tecnologiche, magari in medicina, e tanto altro ancora
Parliamo di idee e strumenti in grado di aiutare chi presenta patologie fisico-mentali, come racconta la commovente storia di
Mats, il ragazzo norvegese diversamente abile che visse l’amicizia grazie ai suoi compagni di gilda in
World of Warcraft; ci sono poi titoli come
SimCity che, se sfruttati da persone cui l’immaginazione non fa difetto, possono aiutare i ragazzi a migliorare le proprie
capacità organizzative e gestionali in quanto rappresentazione virtuale di una realtà articolata, che richiede l’ideazione di strategie risolutive a breve e a lungo termine, piani e soluzioni. Oppure ancora
Minecraft, un universo a cubetti tanto semplice quanto affascinante attraverso cui l’insegnante può proporre alla classe un progetto condiviso, creando un
ambiente in cui ogni studente è sollecitato a dare il proprio contributo in base alle sue capacità. Le possibilità sono immense, i limiti si spostano ogni giorno qualche centimetro più avanti e chissà cos’altro ci riserverà in questo senso il futuro, perché oggi sempre più persone elastiche mentalmente hanno compreso come i videogiochi possano essere uno strumento dalle potenzialità devastanti, divertente e inclusivo grazie alla
naturale capacità di mutare forma ottenendo così un canale personalizzato attraverso cui
ognuno può esprimere il proprio essere e le proprie capacità.

Talvolta, in alcuni invisibili casi di grave disagio familiare, la leggerezza di questi momenti di fuga digitale possono rivelarsi l’unica maniera che c’è per auto proteggersi dal dolore
Avendo le conoscenze adatte si potrebbe magari aprire una discussione sulla
realtà virtuale e le sue applicazioni medico-chirurgiche, oppure ancora analizzare la possibilità intrinseca di alcuni titoli in cui la marcata componente online aiuta ad allacciare rapporti con persone distanti e culture diverse, fomentando condivisione e lavoro di squadra, o come altri giochi ancora consentano di migliorare le
capacità analitiche o i riflessi cognitivi, ma forse è più facile e conveniente per taluni individui rimarcare il fatto che
in America ci siano massacri senza senso e sparatorie ogni tre giorni “
perché i videogame sono violenti”. Sicuramente è assai più impegnativo e straziante soffermarsi a pensare ai videogiochi come evasione da un terrore che opprime quando si è troppo piccoli per affrontarlo,
un modo immaginario per calare attraverso le sbarre della finestra di una cella-cameretta un lenzuolo che permetta di allontanarsi da un mostro puzzolente d’alcol che russa nella stanza accanto mentre, in sala, sul divano, c’è una madre che s’è addormentata sfinita da botte, lacrime e tormenti.
La libertà è come la fantasia, non ha forma né confini, ma se si chiudono gli occhi il sapore è simile. Talvolta, in alcuni invisibili casi di grave disagio familiare, la
leggerezza di questi momenti di fuga digitale possono rivelarsi l’unica maniera che c’è per auto proteggersi dal dolore che certi inferni casalinghi racchiudono dentro quattro mura e dalla pena che si cela dietro quella sintetica
felicità di plastica mostrata agli estranei.

Vorrei che tutti i “Fra” là fuori leggessero queste righe senza museruola e si sentissero meglio, proprio come se bastassero queste mie parole per alleggerirli da un potenziale e insensato senso di colpa
Perdonatemi, non volevo andare fuori tema
trascinandovi con me nell’infinita, oscura tristezza di quel baratro. Ancor meno volevo risultare pesante, perciò chiedo venia per la divagazione: quando mi si imbizzarrisce la penna ci vuole un po’ a domarla, forse è un vizio di gioventù cui il tempo e l’esperienza porranno rimedio. Vorrei invece, questo sì, che tutti i “Fra” là fuori leggessero queste righe senza museruola e si sentissero meglio, proprio come se bastassero queste mie parole per alleggerirli da quell
’insensato senso di colpa nato dall’avere seguito il vento delle proprie passioni: già, sarei felice oltre ogni dire se questi pensieri scritti a voce alta aiutassero qualcuno a non sentirsi più in colpa per ciò che è. Forse, per quanto enorme e inquietante possa sembrare a fine anno il
monte ore, quello è solo un numero e, come tale, non può raccontare fino in fondo tutte le emozioni che ognuno di quei momenti ci ha saputo intimamente donare: a prescindere dall’età e dal perché gli dedichiamo il nostro tempo, quelle
sensazioni rimangono nostre e nostre soltanto,
genuine e indimenticabili, intoccabili e ingiudicabili.
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