Crafting, ti odio... e poi ti amo

Come avrete intuito dal titolo, il mio rapporto con il crafting è decisamente conflittuale, sin da quelle prime spade forgiate sulle incudini male in arnese di Gothic. Lo so, lo so: cito spesso l’opera prima di Piranha Bytes; d’altronde, si è trattato invero di un gioco in anticipo sui tempi, avendo preceduto Morrowind di un anno.

in Gothic, la gestione del crafting è ad un livello basico

Ora, se Baldur’s Gate è l’epitome del Gioco di Ruolo vissuto secondo l’ottica di Dungeons & Dragons prima maniera, è con i titoli della software house teutonica che l’apprendimento di abilità e incantesimi è diventato ben più di un mero automatismo legato al passaggio di livello o alla lettura di una pergamena. Apprendere, nella saga di Gothic così come nei primi due Risen, significa imparare da opportuni istruttori a maneggiare una spada oppure a craftare pozioni e rune, a forgiare affilati strumenti di offesa. Parliamo di un livello basico della gestione del crafting, tanto vero che bastano un frammento di zolfo, una pietra runica intonsa e un’omonima pergamena per creare il “dardo di fuoco”, giusto per citare l’incantesimo di partenza. Eppure, dà non poche soddisfazioni vedere l’eroe senza nome realizzare i propri strumenti magici al tavolo runico, con tutto che la rarità di certi ingredienti e il fatto di dover spendere “punti apprendimento” rendono l’impresa non certo semplice. L’esperienza viene resa ancora più complessa se si installa l’espansione La notte di Raven, che lesina in quanto a risorse monetarie e incrementa il costo di apprendimento delle skill.

CHI FA DA SÉ…

Similmente, i titoli Bethesda concedono al giocatore un ampio ventaglio di possibilità quando si tratta di craftare pozioni, armi e/o oggetti magici. L’abilità incantamento, in Skyrim e TES III, è inoltre direttamente responsabile del livellamento del personaggio, e dunque dedicarsi al crafting è remunerativo non solo in termini di mera realizzazione di clamorosi artefatti (la mia staffa daedrica incantata con fuoco e fulmine era in grado di fare a pezzi anche gli opponenti più ostici, in Morrowind), ma anche per incrementare la potenza dell’eroe… per non parlare del fatto che incantare persino il più rugginoso dei pugnali può rivelarsi un’ottima fonte di introiti (in TES V)!Va detto che già con la terza installazione delle The Elder Scrolls il quantitativo di ingredienti da collezionare era ingombrante in maniera a dir poco imbarazzante. Non bastava l’inventario mal gestito, con poca differenziazione tra le fiaschette create, si trattava anche di raccogliere dozzine fra erbe e componenti di mostri, più le relative gemme dell’anima (di 5 diverse fogge) in cui assorbire l’essenza del nemico ucciso per conferire potere all’oggetto incantato. La soddisfazione, però, come detto sopra, era notevole: una pozione in grado di rigenerare la stamina (principale cruccio di Morrowind) per diverse decine di secondi era una vera e propria manna.

la presenza di scrigni ricolmi di tesori, posti ad uso e consumo del player sulla mappa di gioco, è un difetto intrinseco di quasi tutti i GdR

Il primo The Witcher fa addirittura meglio, soprattutto con i perfezionamenti introdotti dalla Enhanced Edition: l’inventario a caselle, una suddivisione logica e ordinata degli ingredienti (tanti, ma non in numero eccessivo) e potenziamenti significativi garantivano un’esperienza di crafting davvero unica. Probabilmente, il primo capitolo delle avventure dello Strigo offre il sistema alchemico di maggior soddisfazione a livello ruolistico. Oltre all’animazione che vede Geralt ungere la lama o trangugiare una pozione, si rivelava una sfida – economica e di combattimento – raccogliere le basi alcoliche e le componenti di mostri per realizzare oli e pozioni.

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