Fino a qualche mese fa non avevo mai dato troppa importanza alla questione, anche perché la scusa era servita: “quando gioco online non posso mica mettere in pausa, eh”
A me è capitato in piena pandemia, esattamente il 28 aprile 2020, e da quel giorno che le parole non sanno descrivere ogni cosa è cambiata per sempre: adesso una partita online non è più soltanto cliccare su join e
welcome to the jungle, dietro quel semplice gesto c’è
un lavoro certosino di planning domestico atto a ritagliarmi il momento giusto in un colorato ed esplosivo scenario casalingo in cui abbondano pupazzi, carillon, ruzzoloni e pianti. Del resto è giusto che sia così, non è che lo scricciolo d’uomo possa essere lasciato in balìa del suo inconsapevole istinto suicida (un bebè tenta di ammazzarsi in media 10 volte al giorno, è scientificamente provato), men che meno se il patello pieno è più fastidioso di Wladimiro e le sue pubblicità delle suonerie per cellulari negli anni 2000. E allora come coniugare gaming e babysitteraggio ai tempi dei DPCM?

Questi primi fantastici otto mesi nei panni del papà gamer mi hanno ricordato l’importanza della pausa, quel meraviglioso e colpevolmente sottovalutato privilegio di poter interrompere una partita sul più bello senza colpo ferire. Il pianto-sirena del pupo annuncia al mondo l’improvvisa fine del pisolino? Tasto Start/Esc e coccole istant per la serenità di tutti i presenti e dei loro nervi: nessun party lasciato zoppo in attesa che si palesi il ban e poi il sostituto, niente malus per aver piantato i compagni e nada giramento di maroni a 120 fps per il classico match “oggi sono inarrestabile, di sicuro faccio il record di U/M” irrimediabilmente rovinato e destinato a scivolare negli abissi più reconditi dello sconfinato oceano dei se e dei ma, laggiù dove riposano eternamente le potenziali leggende e le sparate più memorabili. Non fraintendetemi, forse ancora non si capisce dove ci stiano guidando queste parole ma di certo non vogliono essere una crociata in favore dei giochi singleplayer né dar luogo a una campagna denigratoria contro le produzioni multiplayer, ma soprattutto lungi da me l’intenzione di sconsigliare a un videogamer incallito di procreare. Prendetele come un’ampia riflessione a metà tra il serio e il faceto decisamente più orientata alla celia, possibilmente dopo un paio di birre durante una chiacchierata tra vecchi compari che si ritrovano dopo anni o, assai più verosimilmente, tra un tumultuoso cambio di pannolino e un biberon preparato con una mano sola, roba che Terence Hill e i suoi fulminei pistola-sberla-pistola sono quisquilie.

BEN VENGA LA VERSATILITà OFFERTA DALLA NEXT GEN E DAL SUO QUICK RESUME
Al di là della goduria del tasto Start/Esc oggi ancor più dolce grazie al Quick Resume e delle sostanziali discrepanze tra addormentarsi gamer e risvegliarsi genitore gamer, più mi faccio strada nell’unica run che mi è concessa in quest’incredibile open world con permadeath non opzionale chiamato Vita,
più mi accorgo dei molteplici modi in cui la passione per i videogame matura con noi e cambia forma per adattarsi alla nostra imprevedibile quotidianità, talvolta spingendoci a mettere di nuovo piede accanto alle nostre stesse orme lasciate in generi ed esperienze ove eravamo già passati e che, magari, abbiamo accantonato. Siamo partiti tutti dai giochi singleplayer, giusto? Non metterei la mano sul fuoco per le nuove generazioni, ma chi ha vissuto l’escalation videoludica in prima persona sicuramente sì anche perché non è che ci fossero grandi alternative. Come dimenticarsi di quegli scrigni incantati altrimenti conosciuti come cassette? Sfruttando l’annuale aumento delle nostre stat conseguenti la crescita, dai primi basilari singleplayer probabilmente poi ci siamo spostati su quelli più complessi e sugli scontri gomito a gomito in locale con gli amichetti finché, grazie anche allo sviluppo tecnologico e la diffusione del www, non è giunto il momento di saggiare le nostre abilità sulla scena competitiva e infognarci in sfrenate sfide online un po’ per indole, un po’ per curiosità, un po’ perché da casa loro gli amici giocavano a [inserire nome gioco in voga tra i choomba].
Continua nella prossima pagina…