NON ERO IO A ESSERE SCARSO: SEMPLICEMENTE, I VIDEOGIOCHI ERANO L’ATTIVITÀ PIÙ DIFFICILE E COMPETITIVA CHE ESISTESSE
Io, invece, devo combinare decine di oggetti sempre diversi, avventura dopo avventura. Guarda qua. Devo salvare il mondo dagli alieni con un kazoo. Suoni al pianoforte l’Hammerklavier di Beethoven indossando guantoni da boxe senza la minima esitazione? Quisquilie, stai solo premendo dei tasti come faccio io con Super Mario Bros., ma
tu non hai tartarughe assassine che cercano di ucciderti. Io ero bravo. Solo non avevo ancora avuto l’occasione di dimostrarlo. E questa si presentò quando la sala giochi più grande della mia città organizzò
un torneo di Bubble Bobble, in compagnia del quale avevo già trascorso diversi pomeriggi in uno dei baretti vicino a scuola.

BUBBLE BOBBLE, TRE CABINATI, ZERO REGOLE. MI ARMAI DI CORAGGIO E MI AVVENTURAI NELLA SALA GIOCHI
Il gioco non era nuovissimo per l’epoca, ma si trattava di un evergreen e
la manifestazione ebbe un successo strepitoso. Per l’occasione furono installati tre cabinati, e non c’erano regole: per tutto il mese, chi ne avesse trovato uno libero sarebbe stato padrone di giocarci fino all’ultimo gettone, comunicando poi al gestore l’eventuale punteggio degno di nota. Mi armai di coraggio e mi avventurai nella sala giochi, luogo più pericoloso dei vicoli più bui di Tijuana.
Era un mondo difficile. Dovevi essere trentaduesimo dan di almeno sei o sette arti marziali, apprese direttamente dal vecchio maestro centenario che viveva in un eremo, se volevi tornare a casa con scarpe, giubbotto e portafogli.
Servivano alte capacità di negoziazione per concordare al momento giusto con il teppista giusto la cessione di alcuni dei tuoi contanti in cambio di un periodo di tranquillità. Ok, delinquentello. Qui ci sono le tue mille lire. Ora fammi vedere che liberi dalla tua presenza
Bubble Bobble, Solomon’s Key e Double Dragon.
Dovetti sviluppare anche una forte abilità di manipolazione psicologica per convincere i gestori che avevo già compiuto i 16 anni richiesti per essere ammesso al locale, e una buona capacità di gestione dello stress, perché non era facile completare un livello scappando da Baron von Blubba mentre assicuravi al tamarro di turno che no, non avevi una monetina da dargli, quella che avevi appena inserito era l’ultima, e che no, non lo stavi prendendo in giro, non ti saresti mai permesso, ma allo stesso tempo no, non gli avresti fatto vedere cosa avevi in tasca. Dopo due settimane di frequentazione della sala giochi, fui contattato dalla Legione Straniera Francese che mi chiese se per favore li avrei potuti onorare della mia presenza. Quanto al torneo, mi resi subito conto che non sarei entrato nemmeno nella top ten, il Game Over poneva fine ai miei sogni di gloria intorno al livello 30 mentre accanto a me sentivo imprecare per aver perso il primo omino – pardon, draghetto – al cinquantaquattresimo.
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