Abbiamo bisogno di più It Takes Two

ciò che accomuna tutti i personaggi da me nominati è l’essere artisti dotati di visionarie doti creative e della capacità di dividere talvolta nettamente le opinioni della gente, ma in fondo è giusto che sia così

L’elenco non è completo, mancano diversi nomi importanti e forse sarebbe giusto menzionare anche chi ha contribuito senza metterci la faccia ma compensando col sudore della fronte, ma oggi mi sono incaponito con gli autori più importanti, non posso farci niente. Ad ogni modo, per quanto ognuno di loro abbia percorso a modo suo l’impervia strada del successo (a proposito, Sakaguchi potrebbe prendersi una pausa di lunghezza ignota dopo Fantasian), ciò che li accomuna è l’essere artisti dotati di visionarie doti creative e, come tali, tutti possiedono la stessa identica capacità di dividere talvolta nettamente le opinioni della gente, ma in fondo è giusto che sia così: se anche Dante viene criticato allora nessuno è al sicuro.

Probabilmente qualcuno si starà chiedendo perché mai ho deciso di dedicare uno sproloquio a questo argomento. È qualche tempo che l’argomento mi intriga, per la precisione dopo aver finito e metabolizzato il Bartolini-sim di Kojima (si scherza eh, impersonare Norman Reedus mi ha coinvolto più di quanto mi aspettassi), ma non ho mai avuto l’opportunità di dedicarmici come avrei voluto; improvvisamente però la questione è tornata a galla dentro me dopo aver letto le recenti dichiarazioni di Josef Fares in merito al suo ultimo gioco. Più che altro mi ha incuriosito quel suo modo volutamente provocatorio di dire la sua senza peli sulla lingua invece di schivare questioni che, solitamente, vengono annacquate dalla diplomazia, dal “politicamente corrotto” o dalla paura di scatenare la caccia alle streghe sui social. Chiaramente se sei il boss è decisamente più facile fare lo splendido, ma questo è un altro discorso. Immagino che qualcuno avrà percepito arroganza, manie di protagonismo o chissà cos’altro dalle parole del capo di Hazelight Studios, ma personalmente la sua ribelle sicumera mi ha rammentato che la gaming industry ha bisogno di personalità forti, di uomini e donne che hanno delle idee in testa e sono pronti a seguirle fino in fondo pur di concretizzare ciò che hanno dentro e renderci partecipi dei loro sogni.

Il videogioco come mezzo tramite cui veicolare un concetto, un messaggio, un abbraccio o un’emozione

Il videogioco quindi come mezzo tramite cui veicolare un concetto, un messaggio, un abbraccio o un’emozione, non solamente come strumento di trastullo e men che meno per spremere le carte di credito. Che poi a pensarci bene il nostro medium è perfetto per tale scopo: un solo sapiente progetto videoludico può sfruttare il mix di immagini, testi, sonorità, video, dialoghi, scorci evocativi e meccaniche di gioco per stabilire un legame attivo/passivo incredibilmente intenso con chi sta dall’altra parte. Ok, ma chi progetta questi mirabolanti mezzi che tanto amiamo? Sì, proprio loro, i maestri di prima, ma anche tutti quelli che sfruttano senza freni il talento creativo per stupire prima il videogiocatore e poi la persona.

it takes two editoriale

Oggi è a loro che va il mio pensiero, agli artisti del pixel che rischiano e ci provano, che sperimentano come scienziati pazzi e talvolta non ci azzeccano, che si sforzano di cambiare, mescolare e reinventare, di spostare il traguardo ogni volta un centimetro più in là, loro che si lanciano nel vuoto affidando al gusto del pubblico il paracadute. Insomma, la mia elucubrazione è rivolta a tutti coloro che, seguendo senza posa una visione, le tentano tutte pur di appassionarci ed emozionarci in nome di una innovazione che, in fondo, è l’ingranaggio principale in grado di fare evolvere il medium e noi con lui perché, ora e sempre, l’idea di un singolo essere umano è la vera scintilla che può fare la differenza tanto nel mondo virtuale quanto in quello reale.

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