COMMODORE SI FECE FURBA, SPINSE IL VIC20 PIÙ COME UN COMPUTER CHE UNA PIATTAFORMA PER VIDEOGIOCHI. MA, INTANTO, IL PERFIDO ELVIN ATOMBENDER ANDAVA PUR FERMATO
Quello che accadde negli anni seguenti è sotto gli occhi di tutti: la lobby degli scrittori di mattoni micidiali di psicologia infantile condizionò il pensiero critico delle persone, inducendole a credere che
i videogiochi fossero dannosi, accusando capolavori della pedagogia come la serie GTA di influenzare le menti dei giovani, spingendoli a compiere atrocità. Io invece avevo colto fin da subito l’immenso potenziale educativo dei videogame, e ne ebbi la prova tangibile quando giocai con mia figlia in co-op sulla Wii a
Scooby Doo e le Origini del Mistero, già che all’epoca era una grande fan del cartone animato. Le diverse abilità dei personaggi, la necessità di dividersi i compiti per risolvere gli enigmi, e le ondate numerose di nemici che ci attaccavano, la spinsero a
formulare le prime strategie sviluppando dei concetti che le sarebbero stati utili anche nella vita reale. Sapersi arrampicare sulle grondaie non serve a niente se adesso siamo bloccati da una cassa pesantissima, le spiegavo, qui ci vuole uno dotato di grande forza. Allora tu tieni a bada i cattivi mentre io libero la strada, poi mentre io li attiro su di me tu raggiungi il tetto e completiamo il livello.
SCOOBY-DOO CI AIUTÒ A SVILUPPARE SPONTANEAMENTE QUELLO CHE OGGI SI CHIAMEREBBE “TEAMWORK”
Se fossi un grigio professorone tutto chiacchere e diplomi inizierei a sproloquiare sul Team Working pronunciato con accento maccheronico, ma sono una persona umile e lo definisco “giocare in doppio”,
come ai vecchi tempi sui coin-op. È chiaro che sotto le mentite spoglie di programmatori e game designer, si celano mentori pronti a dare alla nostra prole preziose lezioni di vita, ma
bisogna avere la giusta apertura mentale per coglierle poiché alcune volte sono ben nascoste. Non ci sono perle per i porci nei videogiochi! Tornando a mia figlia, una pietra miliare nella sua educazione è rappresentata da
New Super Mario Bros Wii. Per la prima volta nella sua carriera videoludica, completare un livello non era più il vero obiettivo, ma il minimo sindacale.

Solo raccogliendo le tre monetone d’oro, in ogni livello di ogni mondo, avrebbe sbloccato gli ultimi stage segreti, preclusi invece a mediocri e pigroni. Le applicazioni nella vita reale si sprecarono:
se metti a posto la cameretta buttando tutto alla rinfusa dentro l’armadio delle bambole, non hai fatto un lavoro da tre monetone. Una sufficienza risicata in inglese equivale forse, e sono buono, a una monetona. Puoi – devi! – fare di meglio. I checkpoint, da soli, valgono cinque libri di pedagogia. Rappresentano il punto in cui prendere una pausa è lecito, senza perdere quanto fatto finora. Significa che prima di mettere da parte i compiti per metterti a giocare un po’,
dovresti almeno finire questa espressione matematica, altrimenti perderai il filo logico e dopo dovrai ricominciare daccapo. So che vorresti mollare adesso, ma credimi, non ne vale la pena. Il periodo della paura del buio lo superammo con Luigi’s Mansion sul 3DS. Il fifone Luigi, quando doveva entrare in azione, lo faceva senza indugio, e così insegnai a fare a lei. E venne il turno dei sandbox. Installammo
Portal Knights sui tablet, e si rese conto come la gestione delle risorse fosse fondamentale.
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