ricercando un’accezione moderna di Resident Evil davvero appropriata e convincente, la realtà delle cose appare a portata di mano, sancita da un trittico di ottimi capitoli
La verità dunque, come capita spesso, è nel mezzo. In quel piccolo lembo di terra incontaminato da condizioni, chiacchiere o ferree prese di posizioni torno a chiedermi: qual è il vero Resident Evil? È davvero possibile che dalla sua prima apparizione, nel 1996,
Resident Evil abbia in qualche modo impostato una
linea canonica anche per il gameplay, oltre che per la complicatissima timeline narrativa? Un canone che sfugge persino a Capcom, evidentemente, ma non a una certa categoria di giocatori che, però, non trova nemmeno un vero accordo sull’esatta “miscela della verità”. Riprendendo il discorso iniziale delle lodi al
tank control, proprio lo stesso
Mikami non pochi mesi fa si è scagliato contro chi sperava in un ritorno di questa meccanica, evocando la già citata evoluzione dei videogiochi e delle relative tecnologie, che avanzano giorno dopo giorno.

Sotto questo punto di vista, ricercando un’
accezione moderna della saga davvero appropriata e convincente, la realtà delle cose appare semplice e a portata di mano, sancita da un trittico di ottimi capitoli che, però, nelle rispettive uscite non sono comunque rimasti al sicuro dagli appassionati più integralisti.
lo stesso Mikami non pochi mesi fa si è scagliato contro chi sperava in un ritorno della meccanica di tank control
Resident Evil 4 ha influenzato la visuale di tutti i TPS ma, sostanzialmente, non può essere considerato come tale e, anzi, rappresenta ancora il vertice moderno della saga, nonostante la forte vena d’azione; il tono fortemente survival di
Resident Evil 7 è poi servito a bloccare in modo a tratti magistrale la deriva action che ne è seguita, fondendo la visuale di una progenie di nuovi e talvolta ottimi horror indipendenti con il linguaggio di game design (presentazione visiva e funzionale dell’inventario, risorse per il crafting, dosatura delle stesse o delle munizioni, sistema di salvataggio) tipico della saga; a quel punto, con
Resident Evil Village, gli sviluppatori si sono sentiti liberi di riequilibrare le due visioni in un’unica soluzione,
a nostro parere in modo piuttosto efficace.

Ed è abbastanza inutile, in questo quadro, evocare la sostanza del racconto: come ha già scritto il buon Daniele Cucchiarelli nella sua recensione,
Resident Evil ha sempre fatto riferimento al cinema
horror (orgogliosamente) di
serie B, con trame certo non da premio Oscar e con espedienti narrativi futili pur di veicolare l’arrivo di un nuovo virus. Vogliamo davvero parlare della trama di
Resident Evil 4? O di quanto il povero
Ethan Winters venga martoriato nei due capitoli che lo vedono protagonista? Suvvia.
La questione dunque è da porsi non al franchise che sta cambiando, crescendo e acquisendo un’identità addirittura più marcata, bensì al pubblico, una domanda secca e decisa a seguito di una certezza che qualcuno sembra avere: cos’è per voi un vero Resident Evil?
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